Ordinanza N. 10 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
30/01/2002
Data deposito/pubblicazione
30/01/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/01/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), promosso
con ordinanza del 22 novembre 2000 dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sezione I, sul ricorso proposto da Vittorio
Cardarelli contro Ministero della giustizia ed altro, iscritta al
n. 295 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione di Vittorio Cardarelli nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 4 dicembre 2001 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
Uditi l’avv.to Giovanni Pellegrino per Vittorio Cardarelli e
l’Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
sezione I, ha sollevato, con ordinanza del 22 novembre 2000
depositata il successivo 22 dicembre, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 211 (recte: primo comma) del regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), in riferimento
all’art. 3 della Costituzione;
che la norma impugnata, vietando la riammissione in
magistratura del magistrato cessato dal servizio in seguito a sua
domanda, ad avviso del giudice a quo realizzerebbe una irragionevole
disparità di trattamento rispetto al caso in cui è stata dichiarata
la decadenza dall’impiego per assenza ingiustificata dall’ufficio,
poiché, in quest’ultimo, è invece ammissibile, ex art. 132, primo
comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, la riammissione in servizio;
che, secondo il tar, la disposizione censurata violerebbe
inoltre l’art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe priva di una
plausibile giustificazione e realizzerebbe in danno dei magistrati
ordinari una non ragionevole disparità di trattamento rispetto ai
magistrati amministrativi e contabili, per i quali le dimissioni non
precludono la successiva riammissione in servizio, stabilendo così
una disciplina intrinsecamente irragionevole;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, sostenendo l’infondatezza della questione;
che si è costituito in giudizio il ricorrente nel processo a
quo il quale, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata in
prossimità dell’udienza pubblica, ha chiesto che la questione sia
accolta.
Considerato che il tar per il Lazio, sezione I, dubita della
legittimità costituzionale dell’art. 211, primo comma, regio decreto
n. 12 del 1941 nella parte in cui stabilisce che il magistrato, il
quale ha cessato di far parte dell’ordine giudiziario a sua domanda,
da qualsiasi motivo determinata, non può essere riammesso in
magistratura, in quanto la predetta norma, oltre ad essere priva di
ragionevole giustificazione, determina, in violazione dell’art. 3
della Costituzione, una disparità di trattamento sia rispetto al
caso di cessazione del rapporto di impiego derivante dalla
dichiarazione di decadenza per assenza ingiustificata dall’ufficio,
sia rispetto alla disciplina stabilita al riguardo per i magistrati
amministrativi e contabili;
che, spettando al legislatore ordinario un’ampia
discrezionalità nella materia dell’inquadramento e
dell’articolazione delle carriere del pubblico impiego e “non essendo
consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel
merito delle opzioni legislative” (sentenza n. 5 del 2000), in
mancanza di un valido termine di confronto va escluso che la norma
sia manifestamente irragionevole o arbitraria;
che, indipendentemente dal fatto che la diversità di regime
relativa alla cessazione del rapporto di impiego per dimissioni o per
decadenza non è in contrasto con l’art. 3 della Costituzione non
essendo le due situazioni comparabili (sentenza n. 433 del 1994), va
osservato che la norma censurata è norma speciale che non può
essere messa in utile comparazione con norme generali, in quanto non
è irragionevole che il legislatore, considerando nella sua
discrezionalità le differenze e le peculiarità, disciplini di
conseguenza i vari aspetti dello status e dei compiti dei magistrati
(sentenza n. 289 del 1992);
che la giurisprudenza costituzionale è consolidata
nell’affermare che l’ordinamento vigente non contempla uniformità di
attribuzioni di funzioni, né di regolamentazione dell’assetto
strutturale degli uffici e dello stato giuridico delle diverse
magistrature, sicché, non sussistendo la asserita omogeneità tra le
figure in comparazione (cfr. da ultimo ordinanza n. 434 del 2001), la
diversità di disciplina del profilo in esame non si pone in
contrasto con il principio di eguaglianza;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
infondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 211, primo comma, del regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), sollevata,
in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, sezione I, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola