Ordinanza N. 100 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
26/03/1999
Data deposito/pubblicazione
26/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
2, 238, comma 2-bis del codice di procedura penale e dell’art. 6
della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del
codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove),
promossi con ordinanze emesse il 16 dicembre 1997 dal pretore di
Pisa, sezione distaccata di Pontedera, il 3 aprile 1998 dal Tribunale
di Milano, il 28 marzo 1998 dal Tribunale di Verbania, il 2 aprile
1998 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Milano, l’11 e il 16 febbraio
1998 e il 14 gennaio 1998 dal Tribunale di Monza e il 1 giugno 1998
dal Tribunale di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 433, 462,
463, 464, 465, 470, 471, 634 e 712 del registro ordinanze 1998 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25, 26, 28,
38 e 41, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il pretore di Pisa, il Tribunale di Milano, il
Tribunale di Verbania, il Tribunale di Monza e il Tribunale di
Pescara hanno sollevato, con nove ordinanze, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 513, comma 2, 238, comma
2-bis del codice di procedura penale e dell’art. 6 della legge 7
agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di
procedura penale in tema di valutazione delle prove), in riferimento
agli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione;
che, in particolare, il pretore di Pisa (r.o. n. 433 del 1998),
il Tribunale di Milano (r.o. nn. 462, 464 e 465 del 1998), il
Tribunale di Verbania (r.o. n. 463 del 1998) e il Tribunale di Monza
(r.o. nn. 470, 471 e 634 del 1998) dubitano della legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, 101, 111 e 112
Cost., dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., come modificato
dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui subordina
all’accordo delle parti l’utilizzabilità ai fini della decisione
delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini dai soggetti di
cui all’art. 210 cod. proc. pen., che si avvalgono a dibattimento
della facoltà di non rispondere, in quanto, consentendo alle parti e
ai dichiaranti ex art. 210 cod. proc. pen. di disporre della prova,
ostacola l’accertamento della verità, così irragionevolmente
sacrificando i principi del giusto processo – nel quale il principio
dell’oralità deve essere bilanciato con quello di non dispersione
degli elementi di prova legittimamente acquisiti -,
dell’obbligatorietà dell’azione penale, della soggezione del giudice
soltanto alla legge, della indefettibilità della giurisdizione;
che il pretore di Pisa, il Tribunale di Milano e il Tribunale di
Verbania ritengono, inoltre, che la disposizione impugnata –
precludendo la utilizzazione ai fini della decisione delle
dichiarazioni contra alios rese in precedenza da soggetto che si
avvale in dibattimento della facoltà di non rispondere e che, per
tale motivo, risultano oggettivamente e imprevedibilmente
irripetibili – detta irragionevolmente una disciplina diversa
rispetto ai casi consimili, disciplinati dagli artt. 500, comma
2-bis, e 512 cod. proc. pen., nei quali pure si determina una
oggettiva e non prevedibile impossibilità di ripetizione dell’atto
dichiarativo;
che il pretore di Pisa censura, inoltre, la irragionevole
disparità di trattamento rispetto al testimone che la disposizione
impugnata riserverebbe all’imputato di reato connesso la cui
posizione sia stata definita con sentenza divenuta irrevocabile e
che, a differenza del testimone, può rifiutare di rispondere;
che il Tribunale di Verbania assume che, subordinandosi
all’accordo delle parti l’utilizzabilità delle dichiarazioni in
precedenza rese da imputato di reato connesso, sarebbe leso anche
l’art. 24 Cost., e cioè il diritto di difesa del coimputato che
abbia, in ipotesi, interesse all’acquisizione di quelle
dichiarazioni;
che il pretore di Pisa estende le medesime censure rivolte
all’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3,
101, 111 e 112 Cost., all’art. 238, comma 2-bis cod. proc. pen;
che il Tribunale di Monza impugna formalmente anche l’art. 513,
comma 1, cod. proc. pen., non rilevante nel giudizio a quo e censura
con le medesime argomentazioni svolte in relazione all’art. 513,
comma 2, cod. proc. pen. l’art. 6 della legge n. 267 del 7 agosto
1997, nella parte in cui non prevede che la previgente disciplina
continui a trovare applicazione nei processi nei quali, alla data di
entrata in vigore della legge, era già stato emesso il decreto che
dispone il giudizio;
che, infine, il Tribunale di Pescara (r.o. n. 712 del 1998)
dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.
3, 101, 111 e 112 Cost., dell’art. 6, commi da 2 a 5, della legge 7
agosto 1997 n. 267, in relazione all’art. 513, comma 2, cod. proc.
pen., nella parte in cui non prevede che il regime transitorio debba
trovare applicazione nei giudizi in corso anche quando al momento
dell’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997 non è ancora
stata disposta la lettura delle dichiarazioni rese dalle persone
indicate dall’art. 513 cod. proc. pen. che si avvalgono a
dibattimento della facoltà di non rispondere;
che a parere del Tribunale di Pescara le disposizioni transitorie
censurate disciplinerebbero diversamente situazioni sostanzialmente
identiche, escludendo l’utilizzazione, sia pure con ridotta efficacia
probatoria, delle dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento
connesso che si avvalgono a dibattimento della facoltà di non
rispondere quando nei procedimenti in corso non sia stata già
disposta la lettura dei verbali dei precedenti interrogatori, e
recherebbero in tal modo irrimediabile pregiudizio all’accertamento
della verità, fine primario della giurisdizione, e ai principi di
uguaglianza, legalità e obbligatorietà dell’azione penale;
che le questioni sono state sollevate in altrettanti giudizi di
primo grado nei quali la difesa degli imputati non aveva consentito
alla utilizzazione delle dichiarazioni rese durante le indagini
preliminari da alcuni imputati di reato connesso, giudicati
separatamente, che si erano avvalsi in dibattimento della facoltà di
non rispondere;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, riportandosi all’atto di intervento prodotto in relazione alla
questione iscritta al n. 776 del registro ordinanze del 1997,
sollevata dal Tribunale di Bologna e decisa con la sentenza n. 361
del 1998.
Considerato che le ordinanze di rimessione, muovendo dal quadro
normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto
1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di inutilizzabilità
ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle
dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari
dall’imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento
della facoltà di non rispondere;
che, parimenti, le questioni relative alla disposizione
transitoria censurano tale disciplina nella parte in cui subordina
l’utilizzazione, ovvero assoggetta la valutazione, delle
dichiarazioni rese in precedenza dall’imputato in procedimento
connesso che si avvalga in dibattimento della facoltà di non
rispondere, alle regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, sulla
base del dato meramente occasionale che, al momento dell’entrata in
vigore della legge, le dichiarazioni fossero già state acquisite
mediante lettura;
che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni,
vanno riuniti;
che successivamente alla emissione delle ordinanze questa Corte,
con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo
modificato dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimità
costituzionale, tra l’altro, dell’art. 513, comma 2, ultimo periodo,
cod. proc. pen. “nella parte in cui non prevede che, qualora il
dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di
rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già
oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo
delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del
codice di procedura penale”, ed affermando, in relazione a questioni
che avevano impugnato le disposizioni transitorie, che doveva essere
valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi
superate a seguito della modifica della disciplina a regime, “che ora
permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i
singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza”;
che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti
affinché verifichino se, alla luce della disciplina applicabile a
seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano
tuttora rilevanti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al pretore di
Pisa, al Tribunale di Milano, al Tribunale di Verbania, al Tribunale
di Monza e al Tribunale di Pescara.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola