Ordinanza N. 100 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
10/04/2002
Data deposito/pubblicazione
10/04/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
08/04/2002
Presidente: Massimo VARI;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE;
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico
delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili
dello Stato), promossi con tre ordinanze emesse l’8 marzo 2001 dal
Tribunale amministrativo regionale della Liguria rispettivamente
iscritte ai nn. 710, 712 e 713 del registro ordinanze 2001 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª serie
speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice
relatore Massimo Vari.
Ritenuto che, con tre distinte ordinanze (iscritte ai nn. 710,
712 e 713 del registro ordinanze dell’anno 2001), tutte emesse
l’8 marzo 2001 e analogamente motivate in diritto, il Tribunale
amministrativo regionale della Liguria ha sollevato, in riferimento
all’art. 36 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), “per la
parte in cui prevede il divieto di retribuire le mansioni superiori
svolte dal dipendente pubblico”;
che le ordinanze – nel rammentare, in punto di fatto, che
tutti i giudizi principali sono stati promossi da docenti di ruolo,
inquadrati nel 6o livello, al fine di ottenere l’accertamento delle
svolte mansioni superiori, pari al 7o livello, per l’insegnamento
reso negli anni scolastici 1996/1997 e 1997/1998, con riconoscimento
dei conseguenti benefici economici – evidenziano che i ricorrenti nei
giudizi a quibus hanno espletato mansioni superiori “in ottemperanza
a disposizione emessa da organo competente al fine di coprire una
vacanza in pianta organica”;
che, tanto premesso, il rimettente adduce che il più recente
orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato si pone “su
di una linea di rigetto della tesi della retribuibilità delle
mansioni superiori prestate dal pubblico dipendente sulla base
normativa dell’art. 2126 cod. civ. e dell’applicazione diretta
dell’art. 36 della Costituzione”, affermando che, anteriormente alla
vigenza del decreto legislativo n. 387 del 1998, non si rinviene
“nell’ordinamento la norma specifica utile a generare” siffatto
diritto, salvo casi specifici, come quello del comparto sanitario
(art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979);
che, pertanto, argomenta ancora il giudice a quo “il
principio” applicabile sarebbe quello di cui all’art. 33 del d.P.R.
n. 3 del 1957, il quale, secondo il ricordato orientamento
giurisprudenziale, “ricollegherebbe i diritti retributivi del
dipendente alla sua mera situazione di diritto”;
che, ad avviso del rimettente, è possibile, tuttavia,
pervenire, come già ritenuto da precedente ordinanza di rimessione
di altro tribunale amministrativo (iscritta al n. 133 del registro
ordinanze del 2000), ad “una lettura di principi che porta alle tesi
opposte a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato”;
che, difatti, in virtù di numerosi precedenti della
giurisprudenza costituzionale, è dato evincere che l’art. 36 della
Costituzione “è norma di applicazione diretta che impone di
retribuire le mansioni superiori svolte dal dipendente nel rispetto
della proporzionalità tra retribuzione e lavoro prestato” e che la
sua “forza cogente … è assicurata dall’art. 2126 cod. civ.”,
mentre “la natura pubblica del datore di lavoro e i principi di
imparzialità e buon andamento degli uffici e della concorsualità
nell’assunzione dei pubblici impieghi sono comunque garantiti
dall’esistenza del posto (vacante) in pianta organica e dalla
temporaneità delle mansioni superiori”;
che, pertanto, il giudice a quo sostiene, conclusivamente,
che l’art. 33 del d.P.R. n. 3 del 1957 “si pone come un divieto
irragionevole di retribuire le mansioni prestate secondo quanto
determinato per legge in riferimento a quel determinato tipo di
mansioni”;
che è intervenuto, in tutti i giudizi, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia
dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.
Considerato che le ordinanze denunciano tutte la stessa
disposizione, prospettandone il contrasto con l’art. 36 della
Costituzione in base ad identiche censure, sicché i relativi giudizi
vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che, quanto al merito, va osservato che il rimettente
ripropone, avverso l’art. 33 del decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, le medesime doglianze già più
volte scrutinate dalla Corte (da ultimo, con ordinanza n. 349 del
2001; in precedenza, con le ordinanze n. 347 del 1996 e n. 289 del
1996) e dichiarate manifestamente infondate, a motivo del fatto che
il menzionato art. 33 si riferisce “alla situazione fisiologica degli
uffici”, cioè alla normale situazione normale nella quale sussiste
coincidenza tra mansioni svolte dall’impiegato e la sua qualifica
funzionale, “sicché nel caso eccezionale di adibizione temporanea
del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto
vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione
all’adeguamento del trattamento economico secondo i principi
ripetutamente enunciati da questa Corte in conformità agli artt. 36
della Costituzione e 2126 cod. civ.”;
che, pertanto, non adducendo il rimettente nuovi o diversi
profili di censura o, comunque, tali da indurre a discostarsi dal
menzionato orientamento, le questioni vanno dichiarate manifestamente
infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente
della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello
Stato), sollevate, in riferimento all’art. 36 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale della Liguria con le ordinanze in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’8 aprile 2002.
Il Presidente: Vari
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 aprile 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola