Ordinanza N. 101 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
10/04/2002
Data deposito/pubblicazione
10/04/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
08/04/2002
Presidente: Massimo VARI;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE;
del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un
procedimento penale, dal Tribunale di Biella con ordinanza emessa il
giorno 11 ottobre 2000, iscritta al n. 599 del registro ordinanze
2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1a
serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità
alla funzione di giudizio del giudice del dibattimento che abbia
rigettato la richiesta di giudizio abbreviato subordinata, a norma
dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., ad una integrazione
probatoria;
che il rimettente premette che, prima dell’apertura del
dibattimento, la difesa degli imputati aveva formulato, ai sensi
degli artt. 438, comma 5, e 555, comma 2, cod. proc. pen., richiesta
di giudizio abbreviato subordinata alla ammissione di una nuova
perizia contabile;
che tale richiesta era stata respinta, in quanto la prova era
stata ritenuta non necessaria ai fini della decisione e incompatibile
con le finalità di economia processuale del rito;
che il giudice a quo rileva che, avendo dovuto
necessariamente esaminare gli atti del fascicolo del pubblico
ministero per effettuare tale valutazione, è venuto a trovarsi in
una situazione del tutto analoga a quella del giudice del
dibattimento che, a seguito del rigetto di una richiesta di
applicazione della pena, è incompatibile alla funzione di giudizio
per effetto della sentenza n. 186 del 1992 della Corte
costituzionale;
che, ad avviso del rimettente, in entrambe le ipotesi il
giudice deve infatti “procedere approfonditamente ad esame e
valutazione degli atti del fascicolo del P.M.” ed “entrare nel merito
del processo” nell’un caso per accertare se la richiesta di
integrazione probatoria sia necessaria ai fini della decisione,
nell’altro per valutare la fondatezza della richiesta di applicazione
della pena;
che la mancata previsione della incompatibilità nella
ipotesi considerata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della
Costituzione per la diversità di trattamento cui vengono
assoggettate due situazioni del tutto analoghe e con gli artt. 24 e
111, secondo comma, della Costituzione per violazione del principio
secondo cui il processo si svolge davanti a un giudice terzo e
imparziale;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile e
comunque infondata, in base al rilievo che l’incompatibilità a
partecipare al giudizio è determinata da una preventiva valutazione
in ordine alla responsabilità dell’imputato, e non dalla mera
conoscenza degli atti.
Considerato che il rimettente, giudice del dibattimento che nel
corso degli atti preliminari ha respinto la richiesta di giudizio
abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, ritiene di
trovarsi in una situazione di incompatibilità assimilabile a quella
individuata da questa Corte con la sentenza n. 186 del 1992 in
relazione alla ipotesi del giudice del dibattimento che abbia in
precedenza respinto la richiesta di applicazione della pena, e
pertanto denuncia il contrasto dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale con gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della
Costituzione, per il diverso trattamento riservato a casi del tutto
analoghi e per la violazione dei principi della terzietà e
imparzialità del giudice;
che nel richiamarsi alla sentenza n. 186 del 1992 il giudice
a quo omette di considerare che già in quella occasione la Corte ha
messo in rilievo la differenza tra il rigetto della richiesta di
applicazione della pena, che “comporta quanto meno una valutazione
negativa circa l’esistenza delle condizioni legittimanti il
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.” e determina quindi un
pregiudizio per l’imparzialità del giudice, e la valutazione circa
la definibilità del giudizio allo stato degli atti (condizione di
ammissibilità del rito abbreviato alla stregua della disciplina
allora vigente), che si sostanzia in “una decisione di natura
meramente processuale, per ciò stesso inidonea a dar luogo ad un
“pre-giudizio” rispetto alla decisione di merito”;
che tali rilievi valgono a maggior ragione in ordine alla
nuova disciplina del giudizio abbreviato introdotta dalla legge
16 dicembre 1999, n. 479, in base alla quale il giudice, a fronte di
una richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione
probatoria, è chiamato a stabilire soltanto se la prova sia
necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di
economia processuale proprie del procedimento, operando così una
valutazione che non implica alcun giudizio di merito in ordine alla
responsabilità dell’imputato;
che, quanto alla conoscenza degli atti del fascicolo del
pubblico ministero, nella quale il rimettente individua la causa del
pregiudizio per l’imparzialità del giudice, questa Corte ha
ripetutamente affermato che tale conoscenza è ininfluente ai fini
della incompatibilità con la funzione di giudizio ove non
accompagnata da una valutazione contenutistica, di merito, sui
risultati delle indagini preliminari (v. tra le tante, oltre alla
menzionata sentenza n. 186 del 1992, sentenze n. 131 del 1996, n. 455
del 1994, n. 502 del 1991, nonché ordinanza n. 152 del 1999);
che, infine, in merito alla censura mossa alla disposizione
impugnata sotto il profilo della violazione dei principi della
terzietà e imparzialità del giudice, è già stato osservato che la
nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione “non innova
sostanzialmente rispetto ai principi già desumibili dagli a suo
tempo invocati artt. 24 e 3 della Costituzione, quali interpretati
dalla giurisprudenza di questa Corte” (ordinanza n. 112 del 2001; v.
inoltre sentenza n. 283 del 2000 e ordinanza n. 167 del 2001);
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111,
secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Biella, con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’8 aprile 2002.
Il Presidente: Vari
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 aprile 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola