Ordinanza N. 104 del 1979
Corte Costituzionale
Data generale
01/08/1979
Data deposito/pubblicazione
01/08/1979
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/1979
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof.
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI,
Giudici,
legge 15 luglio 1966, n. 604 e dell’art. 9 del r.d.l. 14 aprile 1939,
n. 636 (limite di età pensionabile per le lavoratrici), promosso con
ordinanza emessa il 14 marzo 1977 dal pretore di Pavia nel procedimento
civile vertente tra Zanardi Landi Gemma, Perotti Carla, la s.p.a.
Necchi e il Banco Ambrosiano, iscritta al n. 179 del registro ordinanze
1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 del
1 giugno 1977.
Visti gli atti di costituzione del Banco Ambrosiano, della società
Necchi e di Perotti Carla, nonché l’atto d’intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 giugno 1979 il Giudice relatore
Virgilio Andrioli;
uditi l’avv. Gustavo Romanelli per la società Necchi ed il Banco
Ambrosiano, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che al Pretore di Pavia proposero separati ricorsi, poi
riuniti, Zanardi Landi Gemma e Perotti Carla, dipendenti l’una della
s.p.a. Necchi e l’altra del Banco Ambrosiano (imprese che – asserisce
il Pretore all’inizio della ordinanza di rimessione – occupavano più
di trentacinque dipendenti), e chiesero annullarsi i licenziamenti
intimati dai datori di lavoro per aver esse raggiunto il limite di età
pensionabile (la Zanardi spiegò anche domanda di reintegrazione ex
artt. 7 e 18 legge 300/1970) prospettando questione di illegittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 11 legge 604/1966 e 9
r.d. 636/1939 in riferimento agli artt. 3 e 37 Cost. Nel corso del
giudizio ambo le ricorrenti hanno chiesto di essere reintegrate nel
posto di lavoro con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
Malgrado le obiezioni dei datori di lavoro, il Pretore ha ritenuto
non manifestamente infondata la questione di costituzionalità del
combinato disposto delle due norme in riferimento agli artt. 3,37,2,4 e
35 Cost., con ordinanza 14 marzo 1977 (regolarmente notificata e
comunicata, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 1 giugno
1977; n. 179 reg. ord. 1977), con la quale ha per contro respinto le
istanze di reintegrazione ex art. 700 c.p.c. per difetto di fumus boni
iuris.
Nel provvedimento di rimessione si osserva, sul postulato conflitto
del combinato disposto delle due norme con gli articoli 3 e 37 Cost.,
che il trattamento complessivamente riservato alla lavoratrice è
discriminatorio poiché, se la donna può godere anticipatamente del
trattamento pensionistico, il non avere a sua disposizione cinque anni
di attività si riflette non solo sul quantum percepito o percipiendo
nel quinquennio, ma anche sulle possibilità di carriera, che si
consumano per le lavoratrici in tempo sensibilmente più ridotto di
quello riservato ai lavoratori.
Il giudice a quo, poi, giustifica il contrasto ipotizzato tra il
combinato disposto delle norme impugnate e gli artt. 4 e 35 Cost. con
la considerazione che il lavoro è funzionalizzato non solo al
percepimento di un compenso, ma anche alla realizzazione della
personalità umana. Nessuna spiegazione è, invece, offerta
dell’ipotizzato contrasto della ripetuta normativa con l’art. 2 Cost.
Avanti la Corte si sono costituiti il Banco Ambrosiano con
deduzioni 21 giugno 1977, in cui ha chiesto dichiararsi inammissibile
e, comunque, manifestamente infondata e, in linea subordinata,
infondata la questione di costituzionalità, e la Necchi con memoria 20
giugno 1977, in cui ha instato per la declaratoria d’infondatezza della
questione.
Il Banco eccepisce la inammissibilità di questioni
d’illegittimità di combinati disposti sul riflesso che il controllo di
costituzionalità non potrebbe coinvolgere se non singole disposizioni;
ravvisa poi la ratio dell’art. 11 in ciò che il potere organizzativo
del datore di lavoro riprende vigore allorquando i lavoratori – quale
che ne sia il sesso – attingono la soglia del pensionamento; l’art. 37
si occuperebbe del lavoro “in essere” e non al tempo della sua
cessazione; gli artt. 2 e 35 Cost., infine, non sarebbero pertinenti
perché non offrono indicazioni della età pensionabile e delle
modalità di cessazione del rapporto lavorativo.
La Necchi sostiene che la denuncia del solo art. 11 legge 604/1966
è irrilevante perché “il riferimento all’età pensionistica contenuto
nella norma in discorso è fatto solo agli effetti di determinare il
campo di applicazione dell’art. 1, onde, finché l’età pensionabile
rimane quella che attualmente è, il diritto di licenziamento ad nutum
è e rimane un diritto ineccepibile”; “la pronuncia di
incostituzionalità dell’art. 9 non toccherebbe la legittimità
dell’art. 11” perché “simile pronuncia non inciderebbe sulla materia
del contendere in quanto nel momento in cui venisse sanzionata, il
rapporto sarebbe, come è, estinto”, dato che la pronuncia
d’incostituzionalità non incide sui rapporti già esauriti. Infine la
Necchi pone in guardia contro i rischi che il ritardo dell’età
pensionistica delle donne rappresenterebbe per l’occupazione giovanile.
Tali argomenti sono riassunti nella memoria 5 giugno 1979.
Delle attrici si è costituita la sola Perotti con memoria 27
ottobre 1978 (peraltro presentata fuori termine) in cui ha aderito alla
motivazione del Pretore.
Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri con
atto 16 giugno 1977, in cui ha ribadito la proposizione che la
differenza fisica tra uomini e donne e la particolare funzione
familiare della donna giustificano il principio discrezionalmente
fissato dal legislatore, che consente al datore di lavoro di licenziare
i lavoratori sessantenni e le lavoratrici cinquantacinquenni.
Alla pubblica udienza del 27 giugno 1979, nel corso della quale ha
svolto la relazione il giudice Andrioli, sono comparse le difese dei
datori di lavoro, che hanno rapidamente illustrato le già svolte
deduzioni e conclusioni, e i ‘Avvocatura generale dello Stato, la
quale, richiamato l’atto d’intervento, ha accennato alla opportunità
di verificare l’incidenza, sulla questione, della sopravvenuta legge
903/1977.
Considerato che il Pretore di Pavia, a differenza degli altri
giudici, le cui ordinanze han dato vita agli altri procedimenti
assegnati per la trattazione alla stessa udienza del 27 giugno 1979, ha
avvertito l’esigenza, imposta dall’art. 11 legge 604/1966, di
verificare se i datori di lavoro resistenti occupino più di
trentacinque dipendenti, ma tutto si riduce a mera asserzione priva di
quella motivazione, che pur si richiede per il giudizio di rilevanza
della prospettata questione. Questione, rispetto alla quale, nel chiaro
contesto dell’art. 11, la sussistenza di più di trentacinque
dipendenti si colloca come preliminare rispetto ad ogni e qualsiasi
indagine giudiziale in cui sia contestato, a livello costituzionale e
no, l’altro elemento costitutivo della fattispecie descritta nell’art.
11: il diritto – si vuol dire – alla pensione di vecchiaia (e, prima
della sent. n. 174/1971 di questa Corte, il compimento, da parte di chi
pur non avesse conseguito tale diritto, del 75 anno di età).
Né al fine di rendere superflua la restituzione degli atti
potrebbe questa Corte ipotizzare che la sussistenza di più di
trentacinque dipendenti, in complessi delle dimensioni del Banco
Ambrosiano e della s.p.a. Necchi, rappresenti una di quelle nozioni di
fatto, che, per rientrare nella comune esperienza, non egent probatione
(art. 115, comma secondo, c.p.c.) perché, anche a mandar per buona
l’ipotesi, questa Corte non potrebbe sostituirsi al Pretore di Pavia
nello svolgere quel giudizio di rilevanza nel quale può essere senza
uopo di prova utilizzato il fatto, in ipotesi corroborato dalla comune
esperienza.
Né questa Corte, sempre al fine di evitare ulteriore restituzione
di atti al giudice a quo, può esimersi dal segnalare il dubbio sul se
la disputa insorta sui rapporti tra gli artt. 11 legge 604/1966 e 35
legge 300/1970 non si dispieghi anche sulla consistenza quantitativa
dei dipendenti, quale presupposto della stabilità del rapporto
(oltreché della distinzione tra reintegrazione obbligatoria e
reintegrazione reale).
Ma altra ragione di rimessione degli atti al Pretore sorge dalla
ultima, in ordine di tempo, allegazione della Presidenza del Consiglio
dei ministri sulla incidenza della sopravvenuta legge 9 dicembre 1977,
n. 903, il cui art. 4 non si limita ad offrire alle lavoratrici, che
pur siano in possesso dei requisiti per avere diritto alla pensione di
vecchiaia, la opzione di continuare a prestare la loro opera fino agli
stessi limiti di età previsti per gli uomini, previa comunicazione al
datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di
perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia (comma primo),
ma soggiunge che per le lavoratrici, che alla data di entrata in vigore
della legge (18 dicembre 1977) prestino ancora attività lavorativa pur
avendo maturato i requisiti per avere diritto alla pensione di
vecchiaia, si prescinde dall’onere della comunicazione al datore di
lavoro (comma secondo).
Orbene, le ricorrenti, al 18 dicembre 1977, più non prestavano
attività lavorativa, ma non va lasciato in ombra che al recesso ad
nutum dei datori di lavoro, consecutivo all’acquisizione del diritto
delle lavoratrici alla pensione, hanno la Zanardi e la Perotti reagito
facendo valere in giudizio il diritto al lavoro sino alla scadenza del
60 anno talché potrebbero, al fine di sussumere la loro condizione
nella ipotesi descritta nel secondo comma dell’art. 4, addursi il ius
superveniens e la natura dichiarativa della sentenza di accertamento
della nullità dei licenziamenti, che ne implica la eliminazione senza
residuo.
Non rientra nelle funzioni istituzionali di questa Corte scrutinare
se la ipotizzata equiparazione delle due situazioni, la cui
postulazione nulla ha da vedere con la individuazione della efficacia
nel tempo del primo Comma dell’art. 4, sia conforme all’ordinamento
inteso nel pregnante senso reso palese dall’art. 12 disp. prel. C.C.;
la quale equiparazione, se constatata dal giudice a quo nel rispetto
delle direttive impartite all’interprete dall’art. 12 disp. prel. c.c.,
renderebbe irrilevante la denuncia di incostituzionalità. Tale
operazione interpretativa – è appena il caso di rilevarlo – Compete ai
giudici investiti delle singole controversie di lavoro.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Pretore di Pavia, che con
l’ordinanza 14 marzo 1977 ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 11 legge 604/1966 e 9 r.d.l. 633/1939 in
riferimento agli artt. 3, 37, 2, 4 e 35 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO
ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO
REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ARNALDO MACCARONE – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere