Ordinanza N. 105 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
30/03/1999
Data deposito/pubblicazione
30/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 6
febbraio 1997 dalla Corte d’appello di Torino, iscritte ai nn. 372 e
373 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, nel corso di un
procedimento di ricusazione, con ordinanza in data 6 febbraio 1997 ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34,
comma 2, del codice di procedura penale, “nella parte in cui non
prevede l’incompatibilità per il giudice del dibattimento che abbia
pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un
concorrente in reato a concorso necessario di giudicare gli altri
coimputati del medesimo reato”;
che con altra ordinanza in pari data di identico contenuto la
stessa Corte d’appello di Torino, nel corso di altro procedimento di
ricusazione, ha sollevato la medesima questione;
che le due ordinanze non indicano il parametro sul quale la
disposizione censurata andrebbe scrutinata, ma si limitano a
richiamare la sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 34, nella
parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei
confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso
a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri
soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in
ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque
valutata;
che il giudice a quo riferisce di dover decidere in ordine a
dichiarazioni di ricusazione motivate sull’assunto di una situazione
di incompatibilità dei componenti il collegio della prima sezione
del Tribunale di Torino, avendo essi concorso a pronunciare sentenze
di applicazione della pena su richiesta nei confronti di altri
concorrenti necessari nel medesimo reato;
che, ad avviso del remittente, la già intervenuta applicazione
della pena su richiesta a carico di alcuni soltanto dei concorrenti
comporterebbe per quel collegio, chiamato a giudicare i ricusanti,
una doppia valutazione di merito, sicché non apparrebbe
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, poiché la
specifica ipotesi di applicazione della pena su richiesta nei
confronti di un concorrente necessario non sarebbe stata oggetto di
esame nella citata sentenza n. 371 del 1996.
Considerato che le due ordinanze hanno ad oggetto la medesima
disposizione, censurata sotto identici profili, sicché i relativi
giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente;
che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in
cui non prevede l’incompatibilità del giudice del dibattimento, che
abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti
di concorrente in reato a concorso necessario, a giudicare gli altri
concorrenti nel medesimo reato non patteggianti;
che il remittente, pur senza indicare alcun parametro né i
principi costituzionali che si assumono violati, richiama la sentenza
n. 371 del 1996, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei
confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso
a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti
nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua
responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che le due ordinanze di remissione devono essere interpretate nel
senso che, col richiamo alla sentenza n. 371 del 1996, si siano
intesi evocare quali parametri gli artt. 3 e 24 della Costituzione,
alla luce dei quali quella pronuncia è stata resa;
che, ad avviso del remittente, in tale sentenza la questione se
possa esercitare le funzioni di giudizio il giudice che abbia
concorso ad emettere sentenza di applicazione della pena nei
confronti del concorrente necessario non sarebbe stata fatta oggetto
di specifico esame;
che, invece, la dedotta questione è stata già risolta proprio
dalla sentenza n. 371 del 1996, nella quale si è affermato che il
principio costituzionale del giusto processo impedisce che uno stesso
giudice valuti più volte, in sentenza, in successivi processi la
responsabilità penale di una persona in relazione al medesimo reato,
sicché tale principio può operare anche in ipotesi di concorso di
persone nel reato, allorché nei confronti di alcuni dei concorrenti
vengano celebrati distinti processi;
che, peraltro, l’incompatibilità del giudice non può essere
estesa a tutte le ipotesi in cui si proceda separatamente nei
confronti di diversi soggetti, concorrenti o meno nel reato, ma è
circoscritta ai casi in cui, con la sentenza che definisce il
processo a carico di un imputato, vengano compiute, sia pure
incidentalmente, valutazioni in ordine alla responsabilità penale di
una persona formalmente estranea al processo;
che accertare se in una precedente sentenza che si assuma
pregiudicante sia stata effettivamente compiuta, in ordine alla
responsabilità penale del concorrente rimasto estraneo al processo,
una valutazione suscettibile di determinare l’incompatibilità del
giudice al successivo giudizio non è compito di questa Corte, ma del
giudice a cui spetta decidere se la concreta fattispecie sia
sussumibile sotto l’art. 34, comma 2, del codice di procedura
penale, quale esso risulta a seguito della parziale dichiarazione di
illegittimità costituzionale che lo ha investito;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del
codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
24 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola