Ordinanza N. 1076 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1988
Data deposito/pubblicazione
06/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/11/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI;
(recte: 3), della l. 31 maggio 1965 n. 575 (Disposizioni contro la
mafia), nel testo modificato ed integrato dalle leggi 13 settembre
1982 n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di
carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956 n.
1423, 10 febbraio 1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di
una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), e 23 dicembre
1982, n. 936 (Integrazioni e modifiche alla legge 13 settembre 1982,
n. 646, in materia di lotta alla delinquenza mafiosa), promosso con
ordinanza emessa il 24 giugno 1987 dal Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Rossi Nicola contro il
“Comitato provinciale per l’Albo delle persone fisiche e giuridiche
che esercitano l’autotrasporto” ed altro, iscritta al n. 252 del
registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1988;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1988 il giudice
relatore Francesco Saja;
Ritenuto che il Tribunale amministrativo del Lazio, con ordinanza
emessa il 24 giugno 1987, sul ricorso proposto da Rossi Nicola contro
il Comitato provinciale per l’Albo delle persone fisiche e giuridiche
che esercitano l’autotrasporto e il Comitato centrale per l’Albo
presso il Ministero dei trasporti, tendente ad ottenere
l’annullamento di un provvedimento di diniego d’iscrizione all’Albo
degli autotrasportatori, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
4, 27, terzo comma, 41 e 97 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10, primo e secondo (recte: terzo) comma,
legge 31 maggio 1965, n. 575, come modificato ed integrato dalle
leggi 13 settembre 1982, n. 646 e 23 dicembre 1982, n. 936, nella
parte in cui, disciplinando gli effetti conseguenti alla applicazione
di una misura di prevenzione, prevede, tra l’altro, il divieto di
accordare licenze, concessioni ed iscrizioni a favore del soggetto
sottoposto a taluna di dette misure. Ciò senza alcuna
discriminazione in ordine al tempo di applicazione della misura,
ponendo pertanto sul medesimo piano chi all’atto della domanda
all’Amministrazione vi sia ancora sottoposto e chi invece abbia già
espiato da tempo la misura preventiva; ed altresì senza alcuna
previsione in ordine alla graduazione degli effetti negativi
derivanti dalla applicazione della misura di prevenzione, in
considerazione delle diversità oggettive e soggettive delle singole
situazioni concrete;
che, pertanto, ad avviso del giudice a quo, la norma doveva
ritenersi in contrasto con l’art. 3 Cost., perché non distingueva
tra la situazione del soggetto attualmente sottoposto alla misura di
prevenzione e quella del soggetto che invece da tempo aveva espiato
la misura stessa; e perché non aveva tenuto conto, rispetto alla
graduazione degli effetti sanzionatori, delle diversità delle
situazioni, relative alla natura delle varie misure, alla loro
durata, alla eventuale revoca anticipata, alla gravità delle
trasgressioni commesse nonché alla condotta successiva alla
espiazione;
che, inoltre, sempre secondo il giudice remittente, la norma
pareva confliggere anche con i principi costituzionali della umanità
delle sanzioni, della finalità rieducativa della persona soggetta
alle misure di prevenzione, del diritto al lavoro e della libertà di
iniziativa economica privata (artt. 27, terzo comma, 4 e 41 Cost.),
in relazione alla permanenza degli effetti derivanti dal
provvedimento applicativo, nonché con il principio costituzionale
della imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.),
per l’imposizione alla Amministrazione di una attività strettamente
vincolata nell’accertare ed applicare gli effetti conseguenti alla
irrogazione della misura di prevenzione;
che è intervenuta l’Avvocatura generale dello Stato, in
rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, instando
per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della
sollevata questione;
Considerato che il giudice remittente ha individuato la asserita
violazione dell’ordinamento costituzionale nella omessa previsione
del termine di durata degli effetti delle misure di prevenzione e,
parimenti, nella omessa previsione della possibilità per la pubblica
amministrazione di graduare diversamente gli effetti stessi in
relazione alle varie fattispecie normative;
che, in tal modo, viene richiesto alla Corte costituzionale di
operare una vera e propria modificazione del sistema normativo con la
indicazione dei limiti temporali degli effetti delle misure di
prevenzione e con la introduzione di una diversa disciplina dei
poteri della pubblica amministrazione. Ma tutto ciò implica
chiaramente scelte discrezionali, sotto vari ed evidenti profili, tra
più soluzioni astrattamente possibili, che sono riservate, com’è
noto, in via esclusiva al legislatore (nello stesso senso si vedano
le ordinanze n. 450 del 1987 e 675 del 1988, nei confronti di
analoghe censure): pertanto la questione va dichiarata manifestamente
inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
la Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10, primo e terzo comma, legge 31 maggio
1965 n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nel testo modificato ed
integrato dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in
materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed
integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962,
n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione
parlamentare sul fenomeno della mafia) nonché dalla legge 23
dicembre 1982, n. 936 (Integrazioni e modifiche alla legge 13
settembre 1982, n. 646, in materia di lotta alla delinquenza
mafiosa), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 27, terzo comma,
41 e 97 Cost. dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 1988.
Il Presidente e redattore: SAJA
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI