Ordinanza N. 1083 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1988
Data deposito/pubblicazione
06/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/11/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI;
e secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (“Disposizioni relative
al trattamento economico dei magistrati”); 3 della legge 19 febbraio
1981, n. 27 (“Provvidenze per il personale di magistratura”); 9,
secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (“Norme sullo stato
giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati
ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e
degli avvocati dello Stato”), in relazione agli artt. 5, ultimo
comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080 (“Norme sulla nuova
disciplina del trattamento economico del personale di cui alla legge
24 maggio 1951, n. 392”), 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961,
n. 1308 (“Modifiche alla legge 29 dicembre 1956, n. 1433, concernente
il trattamento economico della magistratura, dei magistrati del
Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e
degli avvocati e procuratori dello Stato”), e 10, ultimo comma, della
legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (“Istituzione di una quarta e una
quinta Sezione speciale per i giudizi su ricorsi in materia di
pensioni di guerra ed altre disposizioni relative alla Corte dei
conti”), promossi con undici ordinanze emesse il 16 ottobre 1987 dal
Consiglio di Stato, iscritte rispettivamente ai nn. 256, 257, 258,
259, 260, 261, 262, 263, 264, 265 e 266 del registro ordinanze 1988 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima
serie speciale, dell’anno 1988.
Visti gli atti di costituzione di Messina Salvatore, di De
Francisco Ruggero ed altri e di Della Valle Pauciullo Giuseppina,
nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1988 il Giudice
relatore Francesco Paolo Casavola.
Ritenuto che con undici identiche ordinanze, tutte emesse il 16
ottobre 1987, il Consiglio di Stato, prendendo le mosse dalla
sentenza di questa Corte n. 123 del 7 aprile 1987, ha sollevato le
seguenti questioni di legittimità costituzionale: A) dell’art. 1,
commi primo e secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425 in relazione
agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione; B) dell’art. 3 della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, come interpretato dalla legge 6 agosto
1984, n. 425, nonché dell’art. 1, primo comma, della legge citata da
ultimo, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione;
C) dell’art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (con
riferimento all’art. 5, ultimo comma, d.P.R. 28 dicembre 1970, n.
1080; all’art. 2, lett. d), legge 16 dicembre 1961, n. 1308; all’art.
10, ultimo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345) in relazione agli
artt. 3 e 36 della Costituzione;
che, premessa un’accurata disamina delle vicende legislative e
giurisprudenziali concernenti l’estensione degli aumenti periodici di
stipendio già attribuiti ai soli magistrati della Corte dei conti a
tutte le categorie equiparate, nonché il riconoscimento a queste
ultime della speciale indennità prevista per i soli magistrati
ordinari dall’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, il giudice
a quo prende atto della soluzione data per il futuro al problema
attraverso la legge n. 425 del 1984 e del conseguente ridursi della
materia del contendere;
che, tuttavia, il Consiglio di Stato rileva come contrasti con
gli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione l’intervento
interpretativo di cui alla norma impugnata sub a), in quanto
espressione di una volontà tesa a svalutare la funzione
giurisdizionale e produttiva, in un ben circoscritto ambito, di
effetti retroattivi (contrastanti con la ratio della legge citata da
ultimo, ispirata al principio dell’identità di trattamento tra tutti
i magistrati);
che, infine, quanto all’aspetto sostanziale della disciplina
risultante dalla censurata normativa il giudice rimettente osserva
che essa appare finalizzata a smentire l’orientamento espresso
dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato medesimo e si sofferma
quindi: 1) sull’illogicità della limitazione ai soli magistrati
ordinari della speciale indennità sopra citata (successivamente
estesa alle altre categorie dal 1° gennaio 1983); 2)
sull’irrazionalità di un più favorevole meccanismo di calcolo degli
“scatti” per i magistrati della Corte dei conti. In ordine a tale
ultimo punto si chiarisce da parte del giudice a quo che l’art. 9,
secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, era stato
interpretato dalla disposizione denunziata sub a), in un’accezione
antitetica a quella voluta dalla citata decisione dell’Adunanza
plenaria (e cioè nel senso che essa conserva, per i magistrati
diversi da quelli della Corte dei conti, un deteriore regime degli
aumenti periodici). In tal senso va intesa la censura a detta norma
rivolta sub c);
che le ordinanze concludono prospettando, oltre alla lesione del
principio d’eguaglianza, anche la violazione dell’art. 36 della
Costituzione;
che nel giudizio dinanzi a questa Corte di cui all’ordinanza di
rimessione n. 263 del 1988 si è costituita la parte privata che ha
insistito per l’accoglimento dei diversi profili
d’incostituzionalità;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per
la declaratoria d’inammissibilità ovvero d’infondatezza,
richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 413 del 24 marzo 1988.
Considerato che i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi
con un’unica ordinanza;
che questa Corte, con la sentenza n. 413 del 1988, ha già
dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge n. 425 del
1984 che limita ai soli magistrati della Corte dei conti il
particolare meccanismo di calcolo degli aumenti periodici
d’anzianità, rilevando come la norma, oltre all’eliminazione delle
incertezze interpretative, sia volta a costituire “l’indispensabile
presupposto logico e organizzatorio della ristrutturazione del
trattamento economico per tutte le categorie dei magistrati”;
che, pertanto, è manifestamente infondata l’analoga questione
sollevata dal giudice a quo il quale, con il riferimento all’art. 9,
secondo comma, della legge n. 97 del 1979, ed agli artt. 24, 102 e
103 della Costituzione intende motivare l’asserita lesione delle
norme sulla giurisdizione già a suo tempo esclusa, avendo la Corte
ravvisato nel complesso della normativa l’esercizio di
discrezionalità legislativa finalizzata alla realizzazione del
principio di eguaglianza e di ragionevolezza”;
che considerazioni d’identico contenuto possono svolgersi in
riferimento al primo comma della citata disposizione il quale,
correlativamente, interpreta l’art. 3 della legge n. 27 del 1981,
istitutivo di una speciale indennità in favore dei magistrati
dell’ordine giudiziario, nel senso di attribuire soltanto a questi
ultimi tale emolumento;
che anche con riguardo a tale ipotesi deve richiamarsi la
generale finalità perequativa perseguita dalla legge n. 425 del 1984
intesa non già a vanificare il giudicato ovvero ad invadere l’ambito
proprio dell’attività giudiziaria, bensì ad eliminare esiti
privilegiari di trattamento economico evitando che essi si sommino
con quanto dalla legge stessa previsto, in un quadro di generale
equilibrio delle retribuzioni dei magistrati ordinari,
amministrativi, contabili e militari, nonché degli avvocati dello
Stato.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi primo e secondo, della
legge 6 agosto 1984, n. 425 (“Disposizioni relative al trattamento
economico dei magistrati”), sollevata, in relazione agli artt. 24,
102 e 103 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze
di cui in epigrafe;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981,
n. 27 (“Provvidenze per il personale di magistratura”), come
interpretato dalla legge 6 agosto 1984, n. 425, nonché dell’art. 1,
primo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, sollevata con le
medesime ordinanze in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione;
c) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, della legge 2
aprile 1979, n. 97 (“Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul
trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei
magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato”),
con riferimento agli artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre
1970, n. 1080 (“Norme sulla nuova disciplina del trattamento
economico del personale di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392”),
2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 (“Modifiche alla
legge 29 dicembre 1956, n. 1433, concernente il trattamento economico
della magistratura, dei magistrati del Consiglio di Stato, della
Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e
procuratori dello Stato”), e 10, ultimo comma, della legge 20
dicembre 1961, n. 1345 (“Istituzione di una quarta e una quinta
Sezione speciale per i giudizi su ricorsi in materia di pensioni di
guerra ed altre disposizioni relative alla Corte dei conti”),
sollevata con le medesime ordinanze in relazione agli artt. 3 e 36
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CASAVOLA
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI