Ordinanza N. 112 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
02/04/1999
Data deposito/pubblicazione
02/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
degli artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione
degli elenchi dei protesti cambiari), promosso con ordinanza emessa
il 4 aprile 1988 dal pretore di Torino nel procedimento civile Rapali
Enrico contro Camera di commercio di Torino ed altro iscritta al n.
451 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1998;
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Ritenuto che il pretore di Torino, nell’ambito di un giudizio
promosso per ottenere l’emissione di un provvedimento d’urgenza ex
art. 700 cod. proc. civ. che impedisse la pubblicazione del protesto
levato relativamente ad un assegno bancario tratto sull’istituto
bancario San Paolo di Torino, che era stato presentato all’incasso
alterato in varie parti, sì che l’istituto ne aveva rilevati il
furto e la contraffazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,
3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio
1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari),
nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei protesti
legittimamente levati di assegni bancari, anche se relativi ad
ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte del
soggetto protestato, e contestualmente ha emesso un provvedimento
urgente diretto ad impedire la pubblicazione del protesto per cui è
causa durante la sospensione del giudizio principale per l’incidente
di costituzionalità;
che, secondo il pretore, in fattispecie come quella sottoposta al
suo esame non può dirsi illegittima la levata del protesto, dato che
esso non è altro che la constatazione, con atto autentico, del
rifiuto del pagamento e serve unicamente per poter esercitare
l’azione di regresso e dato che la legge sugli assegni non prevede
alcuna ipotesi in cui sia possibile evitare il protesto in funzione
delle eccezioni proposte dal debitore;
che, pertanto, salvo che in ipotesi residuali (e cioè qualora
vengano in rilievo delle fattispecie riconducibili alla
illegittimità o alla erroneità della levata dello stesso), non
sarebbe ammissibile la richiesta di non pubblicare un protesto
correttamente levato, al contrario di quanto sostengono la Corte di
cassazione e numerosi giudici di merito, secondo i quali, nelle
ipotesi in cui il portatore non poteva legittimamente richiedere il
pagamento al debitore cartolare, la stessa levata del protesto
sarebbe illegittima;
che, in realtà, ciò che risulta idoneo ad arrecare un
pregiudizio al debitore cartolare, che abbia fondate eccezioni da
opporre al portatore del titolo, non sarebbe tanto la levata del
protesto, quanto la sua pubblicazione nel relativo bollettino che,
nella coscienza comune e nella considerazione sociale, “suona quasi
come un marchio di inaffidabilità dei soggetti interessati”;
che, pertanto, il giudice a quo dubita della legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge
n. 77 del 1955 – nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei
protesti legittimamente levati di assegni bancari, anche se relativi
ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte
del soggetto protestato – per contrasto:
a) con l’art. 2 della Costituzione, in quanto il diritto del
soggetto all’onore e all’identità personale e morale non sembrerebbe
adeguatamente tutelato, atteso che la lesione che consegue alla
pubblicazione (prevista dall’attuale formulazione dell’art. 1 della
legge n. 77) potrebbe non risultare giustificata a seguito del
giudizio di bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente
rilevanti;
b) con l’art. 3 della Costituzione, in quanto la situazione di
colui che venga protestato per mancanza di fondi appare assai diversa
da quella di colui che rifiuta il pagamento per motivi legittimi, per
cui la previsione di un medesimo trattamento sarebbe lesiva del
principio di uguaglianza;
c) con l’art. 24 della Costituzione, in quanto l’attuale
formulazione delle norme impugnate sarebbe ingiustamente lesiva del
diritto di difesa, atteso che il soggetto protestato non godrebbe di
alcun soddisfacente strumento per la tutela di situazioni che, al
contrario, potrebbero esserne degne; per altro verso, le eventuali
azioni di risarcimento dei danni a disposizione del protestato
potrebbero rivelarsi di minima efficacia;
che, a giudizio del pretore, la questione non può ritenersi
meramente interpretativa, poiché non si tratterebbe di scegliere tra
più possibili opzioni ermeneutiche, una delle quali conforme ai
precetti costituzionali, ma, al contrario, la legge non lascerebbe
spazio per alcuna interpretazione diversa da quella che impone la
pubblicazione di tutti i protesti indistintamente (purché
ritualmente levati);
che il giudice a quo riconosce che profili analoghi a quelli da
lui evidenziati sono già stati esaminati dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 151 del 1994, con cui la questione allora proposta
è stata dichiarata infondata. Tuttavia, egli ritiene che “i rimedi
evidenziati dalla Corte non siano ancora sufficienti per la tutela
dei diritti costituzionalmente garantiti”;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile
o, in subordine, infondata, in quanto le censure mosse dal giudice a
quo sono già state esaminate e superate dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 151 del 1994, orientata alla ricerca di un
equilibrato rapporto fra la tutela del debitore incolpevole
protestato e la (talvolta) contrapposta esigenza della conoscenza del
mancato pagamento dei titoli di credito;
che, secondo l’Avvocatura, il pretore non avrebbe apportato
argomenti nuovi che avvalorino i dubbi sulla illegittimità delle
disposizioni contestate, né avrebbe tenuto conto dell’interesse
pubblico, il quale richiede che la disciplina dei titoli di credito
sia finalizzata non solo a tutelare i legittimi interessi dei
soggetti coinvolti, ma anche a proteggere e favorire l’utilizzazione
degli stessi titoli, agevolando la speditezza e l’efficienza dei
traffici commerciali e delle transazioni economiche.
Considerato che, come rilevano lo stesso pretore di Torino e
l’Avvocatura dello Stato, questa Corte ha già esaminato e respinto
una questione che, pur se formulata in riferimento ad una sola delle
due norme oggi impugnate ed al solo parametro dell’art. 3 della
Costituzione, era analoga a quella odierna, censurando la norma nella
parte in cui si prevede la pubblicazione di tutti i protesti levati
nella circoscrizione, senza distinguere tra quelli dovuti a colpa del
debitore e quelli dovuti a fatti a lui non imputabili;
che, in particolare, nella sentenza n. 151 del 1994 questa Corte
ha rilevato che il sistema dei protesti cambiari, come risulta dalle
norme oggi impugnate e dal diritto vivente, realizza un trattamento
differenziato tra debitori colpevoli ed incolpevoli – nonché un
razionale equilibrio fra le misure di tutela dell’onorabilità della
persona e del buon nome commerciale, da un lato, e le esigenze della
tempestiva conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito ai
fini della speditezza ed efficienza del traffico economico e
commerciale,
dall’altro – prevedendo varie ipotesi di non pubblicazione dei
protesti cambiari e consentendo, anche per quelli pubblicati, la
contestuale comunicazione dei motivi del rifiuto del pagamento o le
successive rettifiche che il debitore ritiene necessarie;
che in detta sentenza è stato sottolineato che, dopo un
dibattito in dottrina ed in giurisprudenza risalente a data remota,
la legge 12 febbraio 1955, n. 77 è stata interpretata dalla
giurisprudenza di legittimità nel senso di riconoscere il potere del
giudice ordinario di provvedere non solo alla previa sospensione
cautelare ex art. 700 cod. proc. civ. della pubblicazione del
protesto di assegni del debitore incolpevole, ma anche di ordinare
nel conseguente giudizio di merito la definitiva cancellazione
dall’elenco dei protesti cambiari, col risultato di inibire la
pubblicazione del protesto stesso;
che il pretore rimettente non adduce argomenti sostanzialmente
nuovi che possano indurre questa Corte a modificare il proprio
orientamento, poiché si limita ad affermare apoditticamente che i
rimedi evidenziati in tale precedente decisione sarebbero “avvertiti
come del tutto insufficienti per la tutela del protestato”; in
particolare, gli strumenti di difesa riconosciuti dal diritto vivente
(che egli ritiene peraltro una forzatura della legge) rischierebbero
di aggravare il pregiudizio del debitore, poiché, ove fosse
pubblicato sul bollettino un protesto sia pure accompagnato dalle
giustificazioni del debitore, “il fatto stesso della pubblicazione
potrebbe essere interpretato quale palese infondatezza dei motivi
addotti (atteso che si potrebbe dubitare che il debitore non sia
riuscito o non si sia attivato per ottenere giudizialmente che il
protesto non venisse inserito nell’elenco)”;
che, riguardo a tale ultima doglianza, il giudice a quo prospetta
una mera eventualità, che verrebbe comunque a dipendere dalla
concreta situazione di fatto e dal comportamento dello stesso
debitore e non potrebbe essere imputata alla disciplina vigente, la
quale riconosce – come già detto – la possibilità di ottenere
provvedimenti di sospensione o di divieto della pubblicazione del
protesto, nonché la dichiarazione giudiziale della illegittimità
della pubblicazione stessa;
che, prevedendo l’ordinamento diversi strumenti per evitare sia
la lesione del diritto all’onore ed all’identità personale e morale,
sia la disparità di trattamento denunciate dal giudice rimettente,
non può ritenersi violato il diritto di difesa garantito dall’art.
24 della Costituzione;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge
12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti
cambiari), sollevata, in riferimento agli artt 2, 3 e 24 della
Costituzione, dal pretore di Torino con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola