Ordinanza N. 113 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
02/04/1999
Data deposito/pubblicazione
02/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile
1997 dal tribunale amministrativo regionale per la Campania sui
ricorsi riuniti proposti da Bossio Bianca contro il comune di Napoli,
iscritta al n. 688 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale,
dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
Ritenuto che il tribunale amministrativo regionale della Campania,
nel corso del giudizio promosso da una dipendente del comune di
Napoli, in servizio presso l’Avvocatura municipale con la qualifica
di avvocato dirigente, nei confronti del provvedimento con il quale
il predetto comune aveva respinto l’istanza di mantenimento in
servizio per un biennio oltre il compimento del sessantacinquesimo
anno di età, presentata ai sensi del disposto dell’art. 16 del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con ordinanza del 15
aprile 1997 (r.o. n. 688 del 1997), ha sollevato, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella
parte in cui conferisce, con efficacia retroattiva, validità ai
provvedimenti di diniego di mantenimento in servizio dei dipendenti
di enti pubblici, adottati sotto la vigenza di una serie di
decreti-legge, succedutisi e mai convertiti, il cui art. 1, comma 2,
escludeva l’applicabilità del predetto art. 16 del decreto
legislativo n. 503 del 1992, per gli enti locali che deliberassero lo
stato di dissesto e per tutta la durata del dissesto stesso;
che il Collegio rimettente, dopo avere esposto le vicende
relative alla previsione di esclusione degli enti in stato di
dissesto dalla sfera di applicabilità del citato art. 16 (contenente
l’attribuzione della facoltà per i dipendenti civili dello Stato e
degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con
effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992,
n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età
per il collocamento a riposo per essi previsti), contenuta per la
prima volta nell’art. 1, comma 2, del d.-l. 15 giugno 1994, n. 376,
non convertito in legge, e quindi reiterata con la catena di
successivi decreti-legge a partire dal d.-l. 8 agosto 1994, n. 492
fino al d.l. 5 agosto 1996, n. 409, ha sottolineato che la esclusione
non è stata riprodotta nell’ultimo d.-l. 4 ottobre 1996, n. 516,
neanch’esso convertito in legge;
che, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, l’art. 1, comma
170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disponendo che “restano
validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi i
procedimenti instaurati, gli effetti prodottisi e i rapporti
giuridici sorti sulla base” di tutti i predetti decreti-legge
compreso l’ultimo decreto, ha di fatto individuato un arco temporale,
ricompreso tra il 17 giugno 1994 ed il 4 ottobre 1996, durante il
quale i dipendenti degli enti locali dissestati non hanno potuto
godere dei benefici previsti dallo stesso art. 16, in tal modo
violando i principi costituzionali di parità di trattamento e di
ragionevolezza;
che il tribunale amministrativo regionale ritiene che una legge
retroattiva, quale quella disciplinata dall’art. 77 della
Costituzione, non potrebbe escludere per un determinato arco di tempo
l’attribuzione di benefici generalmente concessi, ove non possano
enuclearsi ulteriori motivi che giustifichino la disparità di
trattamento, tenuto presente che, nel caso di specie, la “mancata
reiterazione in via permanente della norma limitativa introdotta con
il d.l. n. 376 del 1994” non sarebbe collegata alla cessazione dello
stato di dissesto;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che
ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, tesi
successivamente sviluppata con memoria;
Considerato che deve escludersi la violazione dell’art. 3 della
Costituzione, sotto il duplice profilo della disparità di
trattamento e della irragionevolezza, alla luce dei principi
ricavabili dalle sentenze della Corte relative al trattenimento in
servizio oltre i limiti di età (sentenza n. 162 del 1997) e ai
trattamenti differenziati a seconda della tipologia del rapporto di
impiego e dei tempi diversi anche rispetto alla stessa categoria
(sentenza n. 422 del 1994; ordinanza n. 380 del 1994; sentenze n. 475
del 1993; n. 237 del 1994 e n. 395 del 1990);
che, in particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 – da
interpretarsi in immediata connessione con il correlato principio,
contenuto nell’art. 3, lettera b) della legge di delega 23 ottobre
1992, n. 421, avente oggetto e criteri direttivi non estesi a tutti i
dipendenti pubblici, ma limitati al settore dei dipendenti civili
dello Stato e degli enti pubblici non economici – è disposizione di
carattere eccezionale, con finalità di contenimento della spesa
pubblica in ordine ai trattamenti di previdenza e di quiescenza
(sentenza n. 162 del 1997);
che, del resto, non esiste un principio fondamentale della
legislazione statale in base al quale vi sarebbe un diritto
incondizionato del dipendente pubblico al mantenimento in servizio
per un biennio (sentenza n. 162 del 1997);
che pertanto non è viziata, né sotto il profilo della
disparità di trattamento, né sotto quello della assoluta
irragionevolezza, la previsione (i cui effetti sono stati sanati) di
restringere drasticamente le possibilità di prosecuzione del
rapporto di lavoro oltre i limiti di età per il personale degli enti
locali in condizioni di dissesto, sia in relazione alle contingenti
esigenze di contenimento della spesa degli enti locali che abbiano
deliberato lo stato di dissesto in considerazione della assoluta
insufficienza di mezzi finanziari, sia per gli effetti indiretti,
anche di prevenzione, nell’ambito degli organi burocratici dell’ente
dissestato;
che non deve essere esclusa la legittimità, sotto gli anzidetti
profili, di un trattamento differenziato applicato ad una determinata
categoria di soggetti in tempi diversi, soprattutto quando si tratta
di legge che regola i rapporti giuridici sorti sulla base di
decreti-legge che non erano stati convertiti e avevano determinato
una cessazione dal servizio allo scadere del limite di età
prefigurato per la stessa categoria, con esclusione – a parte ogni
problema interpretativo sulla generale estensione della previsione
dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 – dell’applicabilità di
norma di carattere eccezionale;
che non è assolutamente irragionevole la sanatoria anzidetta –
rientrante nella piena discrezionalità del legislatore tutte le
volte che l’assetto temporaneo da sanare non sia di per sé in
contrasto con la Costituzione -, in quanto appartiene alla scelta
della legge ex art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la
previsione di conservare gli effetti già prodottisi di singoli
decreti-legge non convertiti: nella specie gli effetti dei divieti
di prosecuzione di rapporti di lavoro oltre i limiti di età,
adottati nei periodi di vigenza dei singoli decreti-legge decaduti,
escludendo così il ripristino o la reviviscenza di rapporti,
rispetto ai quali non vi era stata prestazione di servizio, e
conseguentemente evitando un aggravio economico per un arco temporale
tutt’altro che limitato;
che la norma di sanatoria può ulteriormente essere giustificata
– secondo la tesi dell’Avvocatura dello Stato – dalla finalità di
contenere gli esuberi di personale che si sarebbero determinati in
caso di riassunzioni, con successivo ricorso alla mobilità, con
aggravio ulteriore di contributi a carico degli enti (dissestati) e
depauperamento di forze di lavoro più giovani, mentre il fluire del
tempo (dal giugno 1994 all’ottobre 1996) con superamento del periodo
più critico dal punto di vista economico e del personale degli enti
locali, costituiva di per sé elemento diversificatore;
che, alla stregua delle anzidette argomentazioni, la questione
deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, della norme integrative per i giudizi avanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica),
sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale della Campania con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola