Ordinanza N. 1151 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1988
Data deposito/pubblicazione
29/12/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1988
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
e 3, primo e secondo comma, della legge 11 novembre 1983, n. 638
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12
settembre 1983, n. 463, recante misure urgenti in materia
previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e
proroga di taluni termini), dell’art. 5 della legge 22 luglio 1961,
n. 628 (Modifiche all’ordinamento del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale), e dell’art. 8, primo, secondo e terzo comma, del
d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (Riorganizzazione centrale e periferica
del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), promosso con
ordinanza emessa il 12 novembre 1986 dal Pretore di Fermo nel
procedimento penale a carico di Gioventù Giancarlo, iscritta al n.
27 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 1988.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice
relatore Giovanni Conso.
Ritenuto che il Pretore di Fermo, con ordinanza del 12 novembre
1986, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 2, primo
comma, e 3, primo e secondo comma, della legge 11 novembre 1983, n.
638 (recte: del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito,
con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638), 5 della
legge 22 luglio 1961, n. 628, ed 8, primo, secondo e terzo comma, del
d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, “nella parte in cui non prevedono che
le attività di accertamento ed investigazione svolte dagli ispettori
del lavoro siano assistite dalle garanzie difensive previste dagli
artt. 304-bis, ter, quater c.p.p. per gli indiziati di reato”;
e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
Considerato che, con sentenza n. 10 del 1971, la Corte,
dichiarando non fondata, in riferimento anche agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, la questione di legittimità dell’art. 8, secondo
comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, nella parte in cui, “col
consentire agli ispettori l’accesso” nei locali e nei luoghi di
lavoro “quando abbiano fondato sospetto che servano a compiere o
nascondere violazioni di legge, li facoltizzerebbe a svolgere, nella
qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, un’attività diretta
alla individuazione di reati e alla raccolta di prove, senza
l’osservanza delle forme richieste a garanzia del diritto di difesa”,
ha precisato che “l’attività dell’ispettore prevista dalla norma
impugnata, sia che si svolga nei locali di lavoro o, in seguito al
predetto sospetto, nei locali connessi, consiste sempre in una
attività di vigilanza amministrativa, che nettamente si distingue…
dall’attività di polizia giudiziaria”: un’attività che, mentre per
un verso “assoggetta l’imprenditore” allo stesso trattamento
riservato ad “ogni cittadino” sottoposto “ad atti di controllo
amministrativo, per fini riconosciuti di interesse generale”, per un
altro verso manca del “presupposto perché venga in discussione il
diritto di difesa”, a differenza del “caso in cui l’ispettore, avuta
una vera e propria notizia di un reato, per acquisire le prove si
trovi nella necessità di dover compiere, nella veste di ufficiale di
polizia giudiziaria, atti di coercizione, quali perquisizioni
personali o sequestri di atti o documenti pertinenti al reato”;
che l’identica ratio decidendi della sentenza n. 10 del 1971
risulta estensibile alle altre norme ora per la prima volta
denunciate, e ciò in quanto: l’art. 3, primo e secondo comma, del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con
modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, concerne pur
sempre un'”attività ispettiva” non diversa da quella presa in esame
dalla sentenza n. 10 del 1971, oltreché la procedura per
l’espletamento di tale attività; l’art. 5 della legge 22 luglio
1961, n. 628, regola i compiti degli ispettori del lavoro; l’art. 8
del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, per la parte non espressamente
esaminata dalla sentenza n. 10 del 1971, attribuisce agli ispettori
del lavoro, “nei limiti del servizio cui sono destinati, e secondo le
attribuzioni ad essi conferite dalle singole leggi e dai
regolamenti”, la qualità di “ufficiali di polizia giudiziaria”
(primo comma) e li autorizza a “richiedere l’opera dell’ufficiale
sanitario, dei sanitari dipendenti da enti pubblici e dei medici di
fabbrica, quando debbono compiere accertamenti sulle condizioni
sanitarie dei prestatori d’opera e sulle condizioni igieniche dei
locali di lavoro e delle loro dipendenze” (secondo comma);
e che, quindi, i “poteri” conferiti da dette norme agli
ispettori del lavoro rientrano nell’ambito dell’attività di
“vigilanza amministrativa” di cui alla già ricordata sentenza n. 10
del 1971;
che, invece, l’art. 2, primo comma, del decreto-legge 12
settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11
novembre 1983, n. 638, risulta erroneamente denunciato, trattandosi
della norma che commina la sanzione per il delitto, contestato nel
processo a quo, di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei
lavoratori dipendenti, donde la manifesta inammissibilità della
relativa questione;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 3, primo e secondo comma, del decreto-legge
12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e
sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni
per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni
termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre
1983, n. 638, dell’art. 5 della legge 22 luglio 1961, n. 628
(Modifiche all’ordinamento del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale), e dell’art. 8, primo, secondo e terzo comma, del
d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (Riorganizzazione centrale e periferica
del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
Pretore di Fermo con ordinanza del 12 novembre 1986;
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, primo comma, del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia
previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e
proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella
legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento agli artt.
3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Fermo con
la stessa ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1988.
Il Presidente e redattore: CONSO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI