Ordinanza N. 124 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/1999
Data deposito/pubblicazione
16/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale, promossi con otto ordinanze emesse
l’11 maggio 1998 dal giudice per le indagini preliminari presso la
Pretura circondariale di Pistoia, rispettivamente iscritte ai nn.
518, 519, 520, 521, 522, 523, 524 e 525 del registro ordinanze 1998 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima
serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari presso la
pretura circondariale di Pistoia ha sollevato, con ordinanza dell’11
maggio 1998 (r.o. n. 518/1998), questione di legittimità
costituzionale dell’art. 459, comma 4, cod. proc. pen., in
riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione;
che, come riferisce l’ordinanza di rinvio, nel giudizio
principale, relativo al reato di frode nell’esercizio del commercio
(per consegna di un prodotto diverso da quello richiesto), la persona
offesa dal reato – in persona del legale rappresentante del consorzio
preposto, secondo la normativa vigente, alla tutela del prodotto
oggetto della richiesta – ha depositato un atto con il quale, oltre a
chiedere di essere informata circa l’eventuale richiesta di
archiviazione a norma dell’art. 408 cod. proc. pen. e di ricevere gli
avvisi previsti dalla disciplina processuale, ha dichiarato la
propria intenzione di costituirsi parte civile nel corso del processo
penale, e successivamente il pubblico ministero ha formulato
richiesta di emissione di decreto penale di condanna, richiesta sulla
quale si trova a dover decidere il rimettente;
che il giudice a quo osserva che l’accoglimento della domanda di
emissione del decreto penale, nella specie possibile in mancanza di
qualsiasi ragione ostativa, comporterebbe, per la persona offesa, un
pregiudizio, consistente appunto nell’impossibilità di costituirsi
parte civile nel prosieguo del processo, senza d’altra parte che a
tale preclusione faccia riscontro la possibilità, per la stessa
persona offesa, di giovarsi dell’efficacia di giudicato del decreto
penale, giacché l’art. 460, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce che
il decreto di condanna esecutivo non ha efficacia di giudicato nel
giudizio civile o amministrativo;
che l’anzidetta disciplina, se da un lato pone l’imputato al
riparo dalle conseguenze extrapenali del provvedimento di condanna,
derogando alla regola generale dell’art. 651 del codice in tema di
efficacia del giudicato penale, anche per disincentivare l’interesse
a proporre opposizione, dall’altro, ad avviso del rimettente, priva
di tutela la persona offesa che sia intenzionata a esercitare
l’azione risarcitoria in sede penale e che tale intenzione abbia
manifestato, poiché a questa viene sottratto il “diritto di
promuovere l’azione civile nel processo penale”, restando essa
obbligata, per far valere le proprie ragioni, ad agire esclusivamente
in sede civile;
che inoltre la norma denunciata inciderebbe sull’attività
decisoria del giudice richiesto del decreto penale, poiché, essendo
possibile a norma dell’art. 460, comma 2, cod. proc. pen., concedere
con il decreto la sospensione condizionale della pena, ed essendo
questa passibile, secondo l’art. 165 cod. pen., di subordinazione
all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni e al pagamento della
somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, l’impossibilità
di una qualsiasi pronuncia sull’azione civile nel procedimento per
decreto precluderebbe al giudice di fare ricorso a tale istituto, in
vista della tutela degli interessi del danneggiato;
che, per le ragioni anzidette, il giudice rimettente ravvisa
nella disciplina impugnata la lesione della garanzia costituzionale
della difesa della persona offesa “costituenda” parte civile,
prospettando pertanto l’illegittimità costituzionale dell’art. 459,
comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il
procedimento per decreto non è ammesso quando risulta la volontà
della persona offesa dal reato di costituirsi parte civile nel
processo penale;
che la medesima questione è stata sollevata dallo stesso
rimettente con altre sette ordinanze, tutte in data 11 maggio 1998
(r.o. nn. da 519 a 525/1998), emesse in altrettanti procedimenti
penali;
che è intervenuto in tutti i giudizi così promossi il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che, inquadrando la denunciata
limitazione nell’ambito del più generale intento di incentivazione
del ricorso ai riti alternativi, e rilevando d’altra parte la
possibilità per la persona offesa di agire comunque per il danno
nella sede propria, ha concluso per l’infondatezza della questione
sollevata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano, con identica
motivazione, la medesima questione e che i relativi giudizi possono
pertanto essere riuniti e definiti con un’unica decisione:
che il giudice rimettente richiede a questa Corte una pronuncia
che, per consentire alla persona offesa dal reato di costituirsi
parte civile, escluda l’ammissibilità del ricorso al procedimento
speciale disciplinato dal titolo V del libro VI cod. proc. pen., per
il sol fatto che l’anzidetta intenzione sia stata manifestata dalla
persona offesa in modo esplicito, anteriormente all’esercizio
dell’azione penale;
che in senso contrario rispetto a questa prospettazione deve in
primo luogo essere ribadito il rilievo, già altre volte sottolineato
da questa Corte, secondo il quale l’assetto generale del nuovo
processo è ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e
civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di
speditezza e di sollecita definizione del processo penale rispetto
all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione
nel processo medesimo (v. sentenze nn. 353 del 1994, 192 del 1991);
che più in particolare, con riferimento alla lamentata
compressione del diritto di difesa – e di azione – del soggetto cui
il reato ha recato danno, questa Corte ha già più volte rilevato
che l’eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al
processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di
difesa e, ancor prima, sul suo diritto di agire in giudizio, poiché
resta intatta la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento
del danno nella sede civile, traendone la conclusione che ogni
“separazione dell’azione civile dall’ambito del processo penale non
può essere considerata come una menomazione o una esclusione del
diritto alla tutela giurisdizionale”, essendo affidata al legislatore
la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista delle
esigenze proprie del processo penale (sentenze nn. 443 del 1990, 171
del 1982, 166 del 1975);
che la lamentata esclusione della “potenziale” parte civile dalla
possibilità di far valere le proprie ragioni nel giudizio penale, in
conseguenza dell’adozione del procedimento per decreto, d’altra
parte, non deriva da una disciplina relativa alla partecipazione di
detto soggetto al processo penale, bensì consegue alla radicale
impossibilità di esercitare l’azione di danno prima e al di fuori
della fase processuale in senso proprio, non potendosi dare la
costituzione di “parte” se non allorché sia insorto un vero e
proprio rapporto processuale (sentenza n. 192 del 1991 citata);
che, per questo aspetto, non può darsi seguito all’idea del
rimettente di rovesciare i termini della disciplina, escludendo che
possa definirsi il procedimento attraverso un determinato rito
alternativo solo perché sia espressa dalla persona offesa
un’intenzione di costituirsi in una fase, quella del giudizio, che,
nella struttura del procedimento per decreto, è eventuale e
successiva, conseguente all’opposizione;
che risulterebbe improprio un sistema che consentisse di esperire
un determinato rito alternativo, sussistendone i presupposti, solo in
dipendenza di una sorta di determinazione meramente potestativa della
persona offesa, che non riveste la qualità di parte;
che l’anzidetto rilievo è ulteriormente avvalorato dalla
constatazione secondo la quale il diritto per il danneggiato di
esperire l’azione civile in sede penale non è oggetto di garanzia
costituzionale, come tale (sentenza n. 98 del 1996);
che, alla stregua delle osservazioni che precedono, e
dell’evidente possibilità per il danneggiato di far valere le
pretese risarcitorie in sede propria, non può ravvisarsi la
lamentata violazione del parametro costituzionale dedotto;
che d’altra parte il profilo dell'”incidenza” della mancanza di
un soggetto-parte civile sulla determinazione giudiziale relativa
alla concessione della sospensione condizionale dell’esecuzione di
pena non è idoneo a condurre a diversa conclusione, perché, una
volta che non si dia luogo all’azione di danno, senza che ciò ponga
problemi di costituzionalità, l’impossibilità di subordinare il
beneficio sospensivo a statuizioni “civili” della sentenza non
produce altro effetto se non quello di rendere semplicemente
inoperante, nella specie, la disposizione che regola il particolare
istituto;
che la questione sollevata deve pertanto essere dichiarata
manifestamente infondata, sotto ogni profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 4, del
codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 24,
secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini
preliminari presso la Pretura circondariale di Pistoia, con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola