Ordinanza N. 126 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/1999
Data deposito/pubblicazione
16/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
comma, del codice di procedura civile, nel testo introdotto dall’art.
1 della legge 11 febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della
competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di
cui al numero 3 dell’articolo 409 del codice di procedura civile),
promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1995 dal pretore di Roma
sul ricorso proposto da Conti Luigi contro la Malesci S.p.a.,
iscritta al n. 6 del registro ordinanze 1998 e pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione di Conti Luigi nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 1999 il giudice
relatore Massimo Vari;
Uditi l’avvocato Sergio Vacirca per Conti Luigi e l’Avvocato dello
Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto che, nel corso del giudizio civile promosso da Conti Luigi
nei confronti della Malesci S.p.a., con sede in Firenze, il pretore
di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 22
gennaio 1995 (pervenuta alla Corte il 7 gennaio 1998 ed iscritta al
r.o. n. 6 del 1998), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge 11
febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della competenza territoriale
per le controversie relative ai rapporti di cui al numero 3
dell’articolo 409 del codice di procedura civile) – il cui art. 1 (ed
unico) ha introdotto il quarto comma dell’art. 413 del codice di
procedura civile – “nella parte in cui non prevede che al giudice
nella cui circoscrizione si trova il suo domicilio possa far ricorso
anche il lavoratore subordinato che esplichi la sua attività al di
fuori della sede dell’azienda ovvero di una dipendenza di essa”;
che il rimettente – nell’escludere la possibilità di applicare
al caso di specie la “lettera della disposizione de qua che si
riferisce espressamente ai soli rapporti di c.d. parasubordinazione”
– reputa la questione rilevante ai fini della decisione della
controversia, “atteso che la esclusione del rapporto intercorrente
tra le parti dal novero di quelli per cui è possibile il ricorso al
giudice del luogo di residenza del prestatore imporrebbe una
immediata pronuncia di incompetenza territoriale”;
che, inoltre, secondo il rimettente, la questione stessa si
appalesa non manifestamente infondata, in considerazione del vulnus
che la disposizione denunciata infliggerebbe al principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per la
ingiustificata disparità di trattamento del lavoratore subordinato,
che svolge attività al di fuori della sede aziendale o di una sua
dipendenza, rispetto al “lavoratore subordinato che presta la propria
attività presso la sede o una dipendenza dell’azienda” ed al
lavoratore c.d. parasubordinato, essendo in entrambi questi casi
agevolata “la proposizione del giudizio a tutela della parte più
debole del rapporto, con il ricorso al giudice del luogo nel quale
l’attività si è esplicata”;
che si è costituito Conti Luigi, ricorrente nel giudizio a quo
il quale ha concluso, in via principale, per “la emanazione di una
sentenza interpretativa di rigetto” (tale da portare ad affermare la
competenza del pretore di Roma) e, in via subordinata, per
l’accoglimento della questione “così come proposta dal giudice
remittente”;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per
sentir “dichiarare la manifesta inammissibilità” della proposta
questione di costituzionalità, eccependo, da un lato, che “dal testo
dell’ordinanza pretorile non risulta l’oggetto della domanda
introdotta” e, dunque, “la rilevanza della questione stessa ai fini
del decidere” e, osservando, dall’altro, che “analoga questione è
stata dichiarata manifestamente inammissibile” con l’ordinanza n. 241
del 1993;
che entrambe le predette parti hanno ribadito le rispettive
conclusioni con memorie integrative depositate in prossimità
dell’udienza.
Considerato, preliminarmente, che l’eccezione – sollevata dalla
parte pubblica intervenuta – di inammissibilità della proposta
questione di costituzionalità, sotto il profilo della mancata
motivazione in punto di rilevanza nel giudizio a quo è da reputarsi
infondata;
che, difatti, avendo l’ordinanza di rimessione affermato, con
motivazione non implausibile, la natura subordinata del rapporto
lavorativo oggetto di cognizione nel giudizio principale e precisato
le relative modalità di esplicazione (al di fuori della sede
aziendale o di una sua dipendenza), risulta del tutto evidente il
nesso di pregiudizialità tra la questione stessa e la decisione che
il rimettente è tenuto ad adottare sull’eccezione di incompetenza
territoriale avanzata dalla società convenuta nel giudizio a quo;
che, peraltro, questa Corte, con ordinanza n. 241 del 1993, si è
già pronunciata sul dubbio di costituzionalità concernente l’art.
413, quarto comma, del codice di procedura civile, introdotto
dall’art. 1 della legge n. 128 del 1992, “nella parte in cui non
prevede l’applicazione della norma anche ai rapporti di lavoro con
modalità di esecuzione assimilabili a quelle di cui all’art. 409,
numero 3, del codice di procedura civile (scissione tra attività
lavorativa e struttura aziendale)”, prospettato sotto il profilo
della violazione dell’art. 3 della Costituzione, “per la disparità
di trattamento che si verificherebbe fra i lavoratori di cui all’art.
409 c.p.c. e gli altri lavoratori subordinati che operano in una
determinata zona del tutto svincolati dalle filiali o dipendenze,
intese come strutture di riferimento dell’attività lavorativa”;
che, in quell’occasione, si è ritenuto frutto di corretta e
ragionevole scelta legislativa, pur sempre discrezionale nel generale
ambito di individuazione dei criteri di determinazione della
competenza per territorio (secondo un costante orientamento,
recentemente ribadito dall’ordinanza n. 370 del 1998 e dalla sentenza
n. 228 del 1998), la previsione, per i soli rapporti di cui all’art.
409, numero 3, del codice di procedura civile, del foro territoriale
esclusivo del “domicilio” del lavoratore parasubordinato e ciò in
virtù di un “equo contemperamento degli interessi del lavoratore e
dell’imprenditore”;
che, non emergendo a sostegno dell’ordinanza di rimessione
argomentazioni e profili nuovi o, comunque, tali da indurre a diverso
avviso, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 413, quarto comma, del codice di procedura
civile, nel testo introdotto dall’art. 1 della legge 11 febbraio
1992, n. 128 (Determinazione della competenza territoriale per le
controversie relative ai rapporti di cui al n. 3 dell’art. 409 del
codice di procedura civile), sollevata, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, dal pretore di Roma con l’ordinanza in epigrafe
indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola