Ordinanza N. 127 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/1999
Data deposito/pubblicazione
16/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 30
aprile 1997 dal pretore di Bassano del Grappa, sezione distaccata di
Asiago, ed il 9 giugno 1997 dal pretore di Bassano del Grappa,
rispettivamente iscritte ai nn. 481 e 745 del registro ordinanze 1997
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 30 e 44,
prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il pretore di Bassano del Grappa, sezione distaccata
di Asiago, con ordinanza in data 30 aprile 1997 ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità
del giudice, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della
pena ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. nei confronti
di uno o più concorrenti nel reato, a giudicare con il rito
ordinario altri concorrenti nel medesimo reato;
che il remittente riferisce che egli ha già pronunciato, previa
separazione del processo, sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., nei confronti di
un concorrente nel medesimo reato ascritto anche agli imputati ora
sottoposti al suo giudizio, e che il presidente del tribunale ha
rigettato la sua successiva dichiarazione di astenersi nel giudizio
nei confronti dei concorrenti;
che uno dei coimputati – riferisce ancora il remittente – ha
presentato in prosieguo dichiarazione di ricusazione, che è stata
però respinta dal tribunale;
che l’ordinanza richiama la sentenza n. 371 del 1996, con la
quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in
cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti
di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a
pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti,
nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua
responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che, alla luce di tale pronuncia – argomenta il giudice a quo –
la valutazione di merito, compiuta nella sentenza che ha definito il
rito speciale, in ordine alla rilevanza penale di una condotta
ascritta, a titolo di concorso, a più imputati, non potrebbe non
riflettersi sulla posizione dei concorrenti che lo stesso giudice sia
chiamato successivamente a giudicare con rito ordinario, “attesa la
struttura unitaria che il reato commesso in concorso di persone –
ancorché eventuale e non già necessario – presenta”;
che, per ovviare alla vulnerazione che altrimenti ne
conseguirebbe al principio del giusto processo, si imporrebbe un
ulteriore intervento additivo sull’art. 34 del codice di procedura
penale nei termini prospettati;
che, con altra ordinanza in data 9 giugno 1997, il pretore di
Bassano del Grappa ha sollevato, in riferimento ai medesimi
parametri, analoga questione di legittimità costituzionale dell’art.
34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un
imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare
sentenza nei confronti di altri soggetti, chiamati a rispondere della
stessa imputazione in concorso di persone con il primo;
che, con argomentazioni non dissimili da quelle contenute nella
precedente ordinanza, il remittente osserva che con la sentenza che
ha definito il rito speciale egli ha comunque esaminato il merito
dell’accusa, pervenendo alla conclusione che non ricorrevano i
presupposti di una sentenza di proscioglimento degli imputati che
avevano richiesto la pena concordata;
che tale valutazione, a suo avviso, non potrebbe non riflettersi
sulla posizione dei residui concorrenti che hanno inteso affrontare
il rito ordinario, in quanto la sentenza di applicazione della pena
su richiesta implicherebbe quanto meno l’opinione della sussistenza
del fatto e della sua previsione come reato;
che in difetto di una dichiarazione di illegittimità
costituzionale
in parte qua dell’art. 34 del codice di procedura penale verrebbe
violato il principio del giusto processo, la cui latitudine sarebbe
maggiore della questione decisa dalla sentenza n. 371 del 1996 di
questa Corte;
che in quest’ultimo giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata.
Considerato che le due ordinanze hanno ad oggetto la medesima
disposizione, censurata sotto identici profili, sicché i relativi
giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente;
che i remittenti dubitano, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, della legittimità dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità
del giudice, che abbia pronunciato sentenza di cui all’art. 444 cod.
proc. pen. nei confronti di un imputato di reato a titolo di concorso
eventuale, a giudicare con il rito ordinario altri concorrenti nel
medesimo reato;
che, secondo le ordinanze di remissione, la logica sottesa alla
sentenza n.371 del 1996 comporterebbe che il giudice che si sia
pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di alcuni
concorrenti sia per ciò solo colpito da incompatibilità in
relazione al processo che venga successivamente celebrato nei
confronti di altro o altri concorrenti;
che, invece, quella sentenza mantiene espressamente ferma la
precedente acquisizione giurisprudenziale, che risale alle sentenze
n. 186 del 1992 e n. 439 del 1993: nelle ipotesi di concorso di
persone nel reato, la autonomia delle posizioni di ciascun
concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della
fattispecie, una segmentazione di processi e la scomposizione del
fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in
processi distinti, senza che la decisione dell’uno possa influenzare
quella dell’altro;
che con la sentenza n. 371 del 1996 si è però affermato che il
principio costituzionale del giusto processo impedisce che uno stesso
giudice valuti più volte, in sentenza, in successivi processi la
responsabilità penale di una persona in relazione al medesimo reato;
che l’incompatibilità del giudice non può essere dunque estesa
a tutte le ipotesi in cui si proceda separatamente nei confronti dei
concorrenti nel reato, ma deve essere circoscritta ai casi in cui,
con la sentenza che definisce il processo a carico di un imputato,
vengano compiute, sia pure incidentalmente, valutazioni in ordine
alla responsabilità penale di altro coimputato rimasto formalmente
estraneo al processo;
che adottare una sentenza di applicazione della pena su richiesta
nei confronti di alcuni dei concorrenti nel reato non significa
necessariamente esprimere valutazioni circa la responsabilità degli
ulteriori concorrenti estranei al processo;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del
codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
24 della Costituzione, dal pretore di Bassano del Grappa, sezione
distaccata di Asiago, e dal pretore di Bassano del Grappa con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola