Ordinanza N. 133 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/1999
Data deposito/pubblicazione
16/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio
ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.
Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6
dicembre 1996 dal tribunale di Napoli, iscritta al n. 294 del
registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
Ritenuto che con ordinanza del 6 dicembre 1996 il tribunale di
Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34,
comma 2, del codice di procedura penale, “nella parte in cui non
prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che, in sede
di riesame (o di appello), pronunciando nei confronti di uno o più
concorrenti in ipotesi di reati a concorso necessario, abbia valutato
la posizione di altri coindagati”:
che l’ordinanza richiama la sentenza n. 131 del 1996, con la
quale questa Corte ha chiarito che la disciplina
dell’incompatibilità, contenuta nell’art. 34 del codice di procedura
penale, si fonda sulla necessità di evitare la duplicazione di
giudizi della medesima natura da parte dello stesso giudice, e quindi
sulla esigenza di proteggere il giudizio di merito dal rischio di
pregiudizio, effettivo o anche solo potenziale, derivante da
valutazioni di sostanza sulla ipotesi accusatoria espresse in
occasione di atti compiuti in precedenti fasi processuali;
che – rileva il remittente – questa Corte, con la sentenza n.
432 del 1995, aveva già affermato che i principi sopra ricordati
devono trovare applicazione anche in riferimento ai provvedimenti
cautelari personali nei loro rapporti col giudizio di merito sulla
imputazione, in quanto le pronunce cautelari presuppongono pur sempre
un giudizio prognostico di segno positivo sulla responsabilità,
ancorché basato su indizi e non ancora su prove;
che successivamente – ricorda ancora il giudice a quo – questa
Corte, con la sentenza n. 371 del 1996, ha ulteriormente esteso le
ipotesi di incompatibilità, dichiarando costituzionalmente
illegittimo l’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei
confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso
a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri
soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in
ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque
valutata;
che, alla luce di tali pronunce, il remittente dubita della
legittimità costituzionale del citato art. 34, comma 2, nella parte
in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei
confronti di alcuni coimputati di reato a concorso necessario il
giudice che, essendosi pronunciato, in sede di riesame o di appello,
su misura cautelare personale disposta nei confronti di altri
concorrenti nel medesimo reato, ne abbia già valutato la posizione;
che la mancata previsione di questa ulteriore ipotesi di
incompatibilità violerebbe il principio del giusto processo, poiché
si avrebbe una duplicazione di giudizi della medesima natura da parte
dello stesso giudice, con conseguente rischio di pregiudizio
derivante da precedenti valutazioni sul merito dell’ipotesi
accusatoria espresse dallo stesso giudicante.
Considerato che, successivamente alla proposizione della questione
oggetto del presente giudizio, questa Corte, con la sentenza n. 331
del 1997, ha dichiarato inammissibile analoga questione di
costituzionalità, rinviando alle sue pronunce nn. 306, 307 e 308 del
1997 per l’individuazione dei limiti entro i quali il principio del
giusto processo postula la previsione di un’ipotesi di
incompatibilità e chiarendo che, se il pregiudizio deriva non da una
sentenza, ma, come si assume essere avvenuto nel caso di specie, da
un’ordinanza adottata in un procedimento diverso, lo strumento di
tutela non può essere ravvisato in ulteriori sentenze additive
sull’art. 34 cod. proc. pen., ma deve essere ricercato nell’area
degli istituti dell’astensione e della ricusazione, anch’essi
preordinati alla salvaguardia della terzietà del giudice:
che i precedenti di questa Corte appena citati sono idonei ad
offrire la soluzione della presente questione, poiché le pronunce in
sede di riesame o di appello su aspetti non esclusivamente formali
delle misure cautelari personali sono adottate con ordinanza e
comportano valutazioni del medesimo genere di quelle compiute dal
giudice in sede di applicazione di tali misure (sentenza n. 131 del
1996);
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal tribunale di Napoli con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola