Ordinanza N. 134 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
10/05/2000
Data deposito/pubblicazione
10/05/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
08/05/2000
Presidente: Francesco GUIZZI;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare RUPERTO,
Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI
MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK;
11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori
pubblici), come sostituito dall’art. 9-bis del d.-l. 3 aprile 1995,
n. 101, introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216,
promosso con ordinanza emessa il 10 febbraio 1999 dal tribunale di
Brindisi nel procedimento civile vertente tra Palma Rocco e il comune
di Ostuni iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie
speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che nel corso di una controversia civile promossa dal
titolare di un’impresa edile nei confronti del comune di Ostuni il
giudice unico del tribunale di Brindisi ha sollevato, in riferimento
agli artt. 24 e 102 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109
(Legge quadro in materia di lavori pubblici), come sostituito
dall’art. 9-bis del d.-l. 3 aprile 1995, n. 101, introdotto dalla
legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216;
che il giudice a quo ha osservato che il comune di Ostuni,
convenuto in un giudizio di risarcimento danni nell’ambito di un
contratto di appalto stipulato in data 8 ottobre 1992, ha eccepito
preliminarmente l’incompetenza del tribunale di Brindisi, poiché
l’art. 32 della legge n. 109 del 1994 imporrebbe il deferimento della
controversia ad un collegio arbitrale;
che detta eccezione, basata sul testo della predetta norma
introdotto dal citato art. 9-bis è da ritenersi fondata perché,
essendo stato l’atto di citazione notificato il 3 novembre 1995, a
nulla rileva che l’art. 32 in questione sia stato sostituito dalla
legge 18 novembre 1998, n. 415, la quale ha trasformato l’arbitrato
da obbligatorio in facoltativo;
che in base alla norma impugnata, ove non si proceda
all’accordo bonario, la definizione delle controversie è attribuita
ad un arbitro; simile locuzione, nonostante il formale richiamo alle
norme del titolo ottavo del libro quarto del codice di procedura
civile, non può che intendersi nel senso che la controversia debba
essere deferita all’arbitro, il che rende obbligatorio l’arbitrato in
questione;
che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla
sentenza n. 127 del 1977, ha costantemente ribadito l’illegittimità
costituzionale dell’imposizione autoritativa del ricorso
all’arbitrato, tanto che la successiva sentenza n. 152 del 1996, resa
proprio nella materia dell’arbitrato nei lavori pubblici, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge
10 dicembre 1981, n. 741, che sostituiva l’art. 47 del d.P.R.
16 luglio 1962, n. 1063, “nella parte in cui non stabilisce che la
competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale
di ciascuno dei contraenti”;
che da siffatto consolidato orientamento della giurisprudenza
costituzionale deriva, pertanto, che la norma impugnata si pone in
contrasto con gli artt. 24 e 102 della Carta fondamentale, i quali
stabiliscono che la tutela dei diritti dev’essere attuata, di regola,
tramite il ricorso alla giurisdizione ordinaria, e che soltanto
eccezionalmente la medesima può essere devoluta agli arbitri;
che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la prospettata
questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Considerato che, come ha rilevato il medesimo giudice a quo, la
norma impugnata è stata successivamente modificata dall’art. 10
della legge 18 novembre 1998, n. 415, secondo cui tutte le
controversie derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto
“possono” essere deferite ad arbitri, in tal modo individuando
un’ipotesi di arbitrato certamente non obbligatorio;
che, nonostante l’art. 5 cod. proc. civ. abbia stabilito il
principio dell’irrilevanza dei successivi mutamenti della legge in
ordine alla determinazione della giurisdizione e della competenza,
può ritenersi ormai acquisito che il processo deve continuare
davanti al giudice adito non solo nel caso in cui questi,
originariamente competente, cessi di esserlo a seguito di un
successivo cambiamento dello stato di fatto o di diritto, ma anche
nel caso in cui, aditosi un giudice incompetente, il medesimo diventi
competente per una sopravvenuta modifica legislativa;
che tale interpretazione della regola della perpetuatio
iurisdictionis, avallata più volte dalla giurisprudenza di
legittimità al punto da costituire diritto vivente, trova il proprio
ragionevole fondamento nell’opportunità di evitare pronunce di
incompetenza che avrebbero come unico risultato quello di un inutile
rallentamento dell’attività processuale;
che la Corte, come può rilevare il difetto di giurisdizione
del giudice rimettente che appaia ictu oculi (sentenza n. 179 del
1999), analogamente può constatare l’eventuale pacifica infondatezza
del presupposto dal quale muove il medesimo giudice nel ritenere la
propria incompetenza, specie quando, come nel caso attuale, una
successiva modifica legislativa attribuisca detta competenza senza
possibilità di dubbio;
che, venendo meno il presupposto logico dell’ordinanza di
rimessione, la prospettata questione è priva di rilevanza, poiché
ai fini della determinazione della propria competenza il giudice a
quo non è tenuto a fare applicazione della norma impugnata;
che pertanto, mancando il requisito della rilevanza, la
presente questione dev’essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 32 della legge 11 febbraio
1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), come
sostituito dall’art. 9-bis del d.-l. 3 aprile 1995, n. 101,
introdotto dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216,
sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 102 della Costituzione, dal
giudice unico del Tribunale di Brindisi con l’ordinanza di cui in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’8 maggio 2000.
Il Presidente: Guizzi
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 maggio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola