Ordinanza N. 137 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
13/04/1994
Data deposito/pubblicazione
13/04/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/03/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
codice penale militare di pace promosso con ordinanza emessa il 6
luglio 1993 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale
a carico di Piccolomini Giovanni iscritta al n. 604 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 42, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella Camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice
relatore Antonio Baldassarre;
Ritenuto che il Tribunale militare di Padova, all’esito del
dibattimento svoltosi nei confronti di un sottufficiale imputato di
due distinti episodi di diserzione, dovendo pervenire a una sentenza
di condanna poiché a carico dell’imputato risultavano sicure prove
di responsabilità e non potendo disporre in favore dello stesso
imputato, in considerazione dei suoi precedenti penali, la
sospensione condizionale della pena, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 c.p.m.p., nella parte
in cui prevedono per i sottufficiali e i graduati di truppa una pena
accessoria diversa da quella prevista per gli ufficiali
(rispettivamente, sospensione dal grado e sospensione dall’impiego);
che, secondo il giudice a quo, nei confronti dell’imputato non
sarebbe possibile applicare la pena accessoria della rimozione dal
grado, prevista dall’art. 156 c.p.m.p. per il caso in cui venga
accertata la responsabilità penale per il reato di diserzione, in
quanto l’art. 29 c.p.m.p., il quale include la rimozione dal grado
tra le pene accessorie militari, deve ritenersi ormai abrogato a
seguito della entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e
in particolare dell’art. 9 della stessa;
che, conseguentemente, dovendosi applicare nei confronti
dell’imputato la pena accessoria della sospensione dal grado,
risulterebbe evidente la diversità di trattamento riservata dalle
disposizioni impugnate ai sottufficiali e agli ufficiali, dal momento
che per questi ultimi la pena accessoria è quella della sospensione
dall’impiego e non dal grado, mentre per i sottufficiali la pena
accessoria, ingiustificatamente più afflittiva, è quella della
sospensione dal grado;
che, è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile ovvero non fondata;
che, in particolare, quanto alla inammissibilità, l’Avvocatura
generale dello Stato rileva che il giudice a quo muove da una
premessa errata, dovendosi escludere che l’art. 9 della legge 7
febbraio 1990, n. 19, abbia abrogato le disposizioni del codice
penale militare di pace concernenti la individuazione e la disciplina
delle pene accessorie militari, dal momento che le sanzioni
disciplinari, alle quali soltanto si riferisce l’art. 9 citato, sono
sanzioni amministrative, mentre le pene accessorie sono vere e
proprie pene criminali, subordinate, quanto alla loro efficacia, al
passaggio in giudicato della sentenza recante la condanna alla quale
accedono;
che, comunque, la diversità di trattamento riservata agli
ufficiali, da un lato, e ai sottufficiali e ai graduati di truppa,
dall’altro, discende dalla diversità dello stato giuridico delle
categorie considerate, dal momento che solo per gli ufficiali, e non
anche per i sottufficiali, è stabilito che il grado sia indipendente
dall’impiego (art. 4 della legge 10 aprile 1954, n. 113) e dal
momento che, conseguentemente, solo per gli ufficiali, e non anche
per i sottufficiali, è possibile disporre la sospensione
dall’impiego e non dal grado;
Considerato che il Tribunale militare di Padova ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3
e 52, ultimo comma, della Costituzione, degli artt. 30 e 31 c.p.m.p.,
nella parte in cui prevedono per i sottufficiali e i graduati di
truppa una pena accessoria diversa da quella prevista per gli
ufficiali;
che la questione si fonda sul presupposto che l’art. 9 della
legge 7 febbraio 1990, n. 19, avrebbe abrogato l’art. 29 c.p.m.p., il
quale disciplina la pena accessoria militare della rimozione dal
grado, pena accessoria che sarebbe applicabile immediatamente nei
confronti dell’imputato nel giudizio a quo, quale conseguenza della
condanna per il reato di diserzione (art. 156 c.p.m.p.), non
ricorrendo le condizioni per la concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena;
che, in altri termini, le disposizioni impugnate, le quali
disciplinano, rispettivamente, le pene accessorie temporanee della
sospensione dall’impiego e della sospensione dal grado, sarebbero
applicabili nel giudizio a quo, in quanto non potrebbe più essere
disposta la pena accessoria perpetua della rimozione dal grado;
che, peraltro, a parte ogni rilievo in ordine alla formulazione
della questione e, in particolare, in ordine alla individuazione
delle disposizioni impugnate, l’assunto dal quale muove l’ordinanza
di rimessione non può essere condiviso, dal momento che, come questa
Corte ha già avuto modo di affermare, sia pure con riferimento alla
pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici,
l’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 non ha in alcun modo
inciso sulla disciplina delle pene accessorie e, per quel che in
questo giudizio rileva, della pena accessoria militare della
rimozione dal grado (sent. n. 197 del 1993);
che, conseguentemente, poiché nel giudizio a quo, ove il
Tribunale militare di Padova dovesse pervenire ad una sentenza di
condanna del sottufficiale imputato del reato di diserzione,
dovrebbe, secondo quanto previsto dall’art. 156 c.p.m.p., farsi
applicazione dell’art. 29 dello stesso codice (il quale, a seguito
della decisione di questa Corte n. 258 del 1993, non prevede più
alcuna distinzione, quanto alla entità della pena principale della
reclusione militare cui la pena della rimozione dal grado accede, tra
la posizione degli ufficiali e quella dei sottufficiali) e non anche
delle disposizioni impugnate (o, più precisamente, della
disposizione di cui all’art. 31 c.p.m.p.);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Tribunale militare di Padova deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile, in quanto ha ad oggetto disposizioni
che non sono applicabili nel giudizio a quo;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 30 e 31 c.p.m.p., sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, dal
Tribunale militare di Padova con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1994.
Il presidente: CASAVOLA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 13 aprile 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA