Ordinanza N. 142 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1999
Data deposito/pubblicazione
22/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), e dell’art. 2, commi da 1
a 6, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 538 (Disposizioni urgenti
in materia di sanzioni per violazione di obblighi contributivi e di
regolarizzazione di posizioni previdenziali), promossi con ordinanze
emesse il 19 dicembre 1997, il 13 febbraio, il 13 gennaio ed il 13
febbraio 1998 dal pretore di Brescia ed il 7 luglio 1998 dal pretore
di Milano, iscritte, rispettivamente, ai nn. 406, 407, 507, 657 e 889
del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 24, 28, 39 e 51, prima serie speciale, dell’anno
1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con tre ordinanze emesse la prima il 19 dicembre 1997
(r.o. n. 406 del 1998, pervenuta a questa Corte il 20 maggio 1998),
le altre due il 13 febbraio 1998 (r.o. n. 407 del 1998, pervenuta il
20 maggio 1998, e n. 657 del 1998, pervenuta il 25 agosto 1998), il
pretore di Brescia ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione,
dell’art. 1, commi da 226 a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
che le disposizioni impugnate sono censurate in quanto,
prevedendo la possibilità di regolarizzazione dei debiti pregressi
per contributi previdenziali e assistenziali anche mediante
versamento delle somme dovute in trenta rate bimestrali, e disponendo
che la regolarizzazione estingue i reati previsti dalle leggi in
materia, non prevede però, per il tempo necessario al completamento
dei versamenti rateali, alcuna sospensione del procedimento penale
né della prescrizione dei reati, ma solo la sospensione dei
“provvedimenti di esecuzione in corso”;
che, ad avviso del remittente, il giudice penale, allorché il
debitore si sia avvalso della regolarizzazione mediante versamenti
rateali, non può procedere al giudizio, se non conculcando il
diritto del soggetto a ottenere il beneficio, onde non potrebbe di
fatto che rinviare il processo per il tempo necessario al
perfezionarsi della sanatoria;
che però, in tal modo, il termine di prescrizione del reato
potrebbe venire a scadenza prima che i versamenti rateali siano
completati, dando luogo all’effetto di estinzione del reato pur se
venisse omesso il versamento delle ulteriori rate mancanti;
che, secondo il giudice a quo la disciplina in questione, non
accompagnata dalla previsione della sospensione del procedimento e
della prescrizione, violerebbe il principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 della Costituzione e quello di solidarietà sociale di cui
all’art. 38 della Costituzione, trattando alla stessa stregua i
contribuenti adempienti e quelli inadempienti, e consentendo al
debitore di speculare sulla convenienza di avvalersi della
regolarizzazione con l’intento di pagare solo le rate che vengano a
scadenza prima della prescrizione del reato;
che, con una ulteriore ordinanza emessa il 13 gennaio 1998,
pervenuta a questa Corte il 22 giugno 1998 (r.o. n. 507 del 1998), il
medesimo pretore di Brescia ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 38 della
Costituzione, delle “norme di cui all’art. 2, commi da 1 a 6, del
d.l. 23 ottobre 1996, n. 538, come recepite dall’art. 1, commi da 226
a 231, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”, sulla scorta di
premesse e di argomentazioni identiche a quelle svolte nei giudizi di
cui sopra;
che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 406,
407 e 657 del 1998 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
comunque manifestamente infondata, e sostenendo che la disciplina in
questione risponderebbe ad una scelta discrezionale non irrazionale
del legislatore; nel giudizio introdotto con l’ordinanza iscritta al
n. 657 r.o. del 1998 l’Avvocatura erariale sostiene però, in via
preliminare, che il sistema normativo dovrebbe intendersi nel senso
che, nel caso di regolarizzazione contributiva con pagamento rateale,
il pagamento delle rate avrebbe effetto interruttivo della
prescrizione, che decorrerebbe nuovamente nel caso di mancato
pagamento di una rata;
che il pretore di Milano, con ordinanza emessa il 7 luglio 1998,
pervenuta a questa Corte il 1 dicembre 1998 (r.o. n. 889 del 1998),
ha sollevato a sua volta questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione “ed al principio di
ragionevolezza”, dell’art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre
1996, n. 662, così come richiamato dall’art. 4, comma 6, del d.l.
28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della
finanza pubblica), convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140,
“nella parte in cui non prevede che, oltre i provvedimenti di
esecuzione, i provvedimenti di merito in corso in qualsiasi stato e
grado siano ‘sospesi per effetto della domanda di regolarizzazione e
subordinatamente al puntuale pagamento delle somme determinate agli
effetti del presente articolo alle scadenze dallo stesso previste'”;
che ad avviso del pretore di Milano – secondo cui l’imputato,
essendo stato ammesso al pagamento rateale, sulla base di una domanda
che realizzerebbe una sorta di autodenuncia, e avendo provveduto
finora al pagamento delle sole rate già maturate, si troverebbe
esposto a dover subire egualmente il procedimento penale, né
potrebbe chiedere che esso venga sospeso in attesa della
regolarizzazione, in quanto la norma impugnata non prevede la
sospensione del procedimento medesimo, ma unicamente la sospensione
dei provvedimenti di esecuzione – il sistema normativo in vigore
realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra
cittadini in relazione alle loro condizioni economiche, in base alle
quali essi siano o meno in grado di adempiere all’obbligo in unica
soluzione: disparità che si tradurrebbe in una diversa possibilità
di far valere le proprie ragioni in giudizio, e dunque in un
trattamento ingiustificatamente diverso dei cittadini in sede di
tutela giurisdizionale;
che, sempre secondo il remittente, tale disparità di trattamento
apparirebbe del tutto irragionevole, anche tenendo conto che, in una
fattispecie analoga, l’art. 3, comma 9, del d.l. 29 marzo 1991, n.
103, convertito dalla legge 1 giugno 1991, n. 166, pur prevedendo
pagamenti rateali meno dilazionati, e quindi meno favorevoli ai
cittadini non abbienti, aveva previsto la sospensione dei
“provvedimenti di merito e di esecuzione in corso in qualsiasi fase e
grado, fino al totale pagamento delle somme determinate alle relative
scadenze”;
che anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o comunque manifestamente infondata, sulla base di
argomentazioni che ricalcano quelle svolte negli atti di intervento
presentati nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 406
e 407 del 1998.
Considerato che tutte le ordinanze sollevano questioni identiche o
analoghe, dovendosi anche il giudizio instaurato con la ordinanza del
pretore di Brescia iscritta al n. 507 del registro ordinanze del 1998
intendere come sostanzialmente riferito esclusivamente all’art. 1,
commi da 226 a 231, della legge n. 662 del 1996, poiché il decreto
legge n. 538 del 1996 non è stato convertito in legge, e l’ordinanza
non contiene elementi che possano far ritenere rilevanti nella specie
gli effetti prodottisi sulla base di tale decreto legge, e fatti
salvi dall’art. 1, comma 233, della legge n. 662 del 1996, non
impugnato: onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere
decisi con unica pronunzia;
che entrambi i giudici remittenti lamentano in sostanza che la
legge, nel prevedere la regolarizzazione contributiva, anche
attraverso un pagamento in molte rate, con effetto estintivo dei
reati, non abbia previsto altresì la sospensione del procedimento
penale nel periodo intercorrente fra l’accoglimento della domanda di
regolarizzazione e la scadenza dell’ultima rata di pagamento: mentre
il pretore di Brescia ritiene che il giudice procedente non possa che
rinviare il giudizio, con l’effetto di far eventualmente maturare il
termine di prescrizione prima del completamento del pagamento rateale
– nel che si realizzerebbero una indebita equiparazione fra debitori
adempienti e inadempienti, ed una violazione del principio di
solidarietà sociale -, il pretore di Milano, più correttamente,
ritiene che l’imputato possa essere giudicato e condannato,
nonostante l’accoglimento della domanda di regolarizzazione, fino al
completamento del pagamento rateale, in ciò ravvisando il fondamento
di un’ingiustificata disuguaglianza di trattamento fra imputati in
grado di adempiere in unica soluzione e imputati costretti dalle loro
condizioni economiche a ricorrere al pagamento rateale;
che la equiparazione lamentata dal pretore di Brescia fra
debitori adempienti e debitori inadempienti, i quali potrebbero
ottenere la estinzione del reato per prescrizione, e la connessa
lamentata violazione del principio di solidarietà sociale, in
realtà non sussistono, poiché, in assenza di una causa di
sospensione del procedimento, tutti i debitori restano soggetti al
giudizio e alla condanna fino a che non abbiano completato il
pagamento dell’intera somma dovuta per conseguire la regolarizzazione
e la connessa estinzione del reato, senza che il giudice debba
rinviare il giudizio fino alla scadenza dell’ultima rata: onde le
relative questioni devono ritenersi manifestamente infondate;
che, invece, sussiste la situazione denunciata dal pretore di
Milano, per cui il debitore che si avvalga della regolarizzazione con
pagamento rateale resta esposto al giudizio e alla condanna fino a
quando non abbia completato i pagamenti;
che tale situazione, ancorché dia luogo ad una certa disarmonia
fra normativa amministrativa – tendente, anche mediante la
concessione di una lunga rateazione, ad agevolare la regolarizzazione
delle posizioni contributive – e normativa penale connessa – la quale
condiziona l’estinzione del reato al completamento del pagamento,
senza prevedere la sospensione del procedimento durante il periodo
nel quale si estende la rateazione -, non può però essere
qualificata come frutto di una scelta manifestamente irragionevole e
come tale costituzionalmente illegittima;
che, infatti, il debitore che fa ricorso alla regolarizzazione
mediante pagamento rateale è autore di un reato, commesso con
l’omissione contributiva che successivamente chiede di regolarizzare,
e non può vantare una pretesa costituzionalmente protetta a vedere
estinto il reato né a veder sospeso il procedimento penale in attesa
del completamento del pagamento rateale, mentre può sempre
conseguire l’effetto estintivo del reato provvedendo al pagamento
dell’intera somma dovuta a titolo di regolarizzazione;
che la disparità che si viene così a creare fra debitori
abbienti e meno abbienti è insita nel meccanismo normativo – proprio
dei condoni in materia tributaria o contributiva – che legittimamente
condiziona l’estinzione del reato omissivo al pagamento di somme
commisurate a quelle il cui omesso versamento ha costituito la
condotta penalmente punita, e più in generale in tutti i meccanismi
normativi che subordinano la estinzione di reati commessi al
pagamento di somme, senza che ciò costituisca, di per sé,
violazione della Costituzione (cfr. sentenze n. 207 del 1974, n. 192
del 1992);
che in particolare, nella specie, il prodursi dell’effetto
estintivo del reato al momento del perfezionamento del pagamento è
la conseguenza, tutt’altro che irragionevole, della natura del reato
omissivo e dei caratteri della causa estintiva del reato, legata al
versamento delle somme dovute a titolo di regolarizzazione; mentre il
mancato coordinamento fra rateizzazione delle somme dovute e tempi
del procedimento penale può incidere bensì sull’efficacia del
meccanismo di incentivo alla regolarizzazione instaurato dal
legislatore, ma non dà luogo di per sé alla violazione di diritti
costituzionalmente garantiti né, per le ragioni ora dette, ad
irragionevoli disparità di trattamento;
che pertanto anche la questione sollevata dal pretore di Milano
deve ritenersi manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 226 a 231, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38
della Costituzione, dal pretore di Brescia con le ordinanze (r.o. nn.
406, 407 e 657 del 1998) indicate in epigrafe;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi da 1 a 6, del decreto
legge 23 ottobre 1996, n. 538 (Disposizioni urgenti in materia di
sanzioni per violazione di obblighi contributivi e di
regolarizzazione di posizioni previdenziali), non convertito in
legge, come “recepito” dall’art. 1, commi da 226 a 231, della
predetta legge 23 dicembre 1996, n. 662, sollevata, in riferimento
agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di Brescia con
l’ordinanza (r.o. n. 507 del 1998) indicata in epigrafe;
c) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 230, della predetta
legge 23 dicembre 1996, n. 662, sollevata, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, dal pretore di Milano con l’ordinanza (r.o. n.
889 del 1998) indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola