Ordinanza N. 144 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1999
Data deposito/pubblicazione
22/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a
spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa
il 23 luglio 1997 dal pretore di Milano, iscritta al n. 722 del
registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1999 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
Ritenuto che il pretore di Milano, chiamato a pronunciarsi sulla
richiesta di liquidazione di spese ed onorari avanzata dal difensore
di una imputata ammessa al patrocinio a spese dello Stato in
relazione ad un procedimento per il reato di cui all’art. 660 del
codice penale, prima di rigettare l’istanza di liquidazione, previa
revoca del decreto di ammissione al patrocinio di quella imputata,
con ordinanza in data 23 luglio 1997 ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 8, della legge 30 luglio 1990, n.
217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non
abbienti), nella parte in cui esclude il patrocinio a spese dello
Stato per i non abbienti nei procedimenti penali concernenti
contravvenzioni, tranne quando questi siano riuniti o connessi a
procedimenti per delitti;
che, quanto alla rilevanza, il remittente, sul presupposto che in
sede di liquidazione possano essere nuovamente valutati i requisiti
per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, precisa che
l’imputata, non abbiente, è stata ammessa al patrocinio e che
tuttavia, trattandosi di procedimento per reato contravvenzionale, il
decreto di ammissione, adottato in assenza dei presupposti di legge,
dovrebbe necessariamente essere revocato, con conseguente
impossibilità di procedere alla liquidazione delle spese e degli
onorari in favore del difensore;
che, ad avviso del remittente, l’esclusione del patrocinio a
spese dello Stato nei procedimenti penali concernenti contravvenzioni
non apparirebbe giustificata, dal momento che spesso le
contravvenzioni sono punite con pene più severe di quelle previste
per i delitti e che comunque, anche in relazione ad esse, dovrebbero
essere assicurati ai non abbienti i mezzi per difendersi in giudizio,
posto che anche in detti procedimenti è a rischio la libertà della
persona;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione, già decisa da questa Corte nel
senso della non fondatezza con la sentenza n. 243 del 1994 e della
manifesta inammissibilità con l’ordinanza n. 104 del 1997, sia
dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che il remittente muove dalla erronea premessa che il
decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottato in
assenza dei presupposti di legge sia revocabile in ogni tempo dal
giudice, anche al di fuori delle ipotesi di revoca espressamente
previste dall’articolo 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217, secondo
il quale la revoca è possibile se l’interessato non provvede a
comunicare eventuali variazioni dei limiti di reddito o a presentare
la prescritta documentazione ovvero se, a seguito della comunicazione
prevista dall’articolo 5, comma 1, lettera c), le condizioni di
reddito risultano variate in misura tale da escludere l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato ovvero ancora, su istanza
dell’intendente di finanza, quando risulti provata la mancanza,
originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui all’art
3 della citata legge;
che, al di fuori di questi casi, un potere di revoca non è
configurabile neppure, come invece talvolta ritenuto dalla
giurisprudenza, quale espressione della generale potestà di
autotutela di cui è titolare la pubblica amministrazione;
che, infatti, nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello
Stato, il giudice esercita appieno una funzione giurisdizionale
avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un diritto,
peraltro dotato di fondamento costituzionale, sicché i provvedimenti
nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti
di giurisdizione, revocabili dal giudice nei limiti e sui presupposti
espressamente previsti, e rimuovibili, negli altri casi, solo
attraverso gli strumenti di impugnazione, che nella specie sono
quelli previsti dalla legge che istituisce il patrocinio a spese
dello Stato;
che, in particolare, la legge n. 217 del 1990, all’articolo 6,
delinea un sistema di impugnazioni avverso i provvedimenti adottati
dal giudice: l’interessato, nei termini stabiliti, può proporre
ricorso dinanzi al tribunale o alla corte di appello ai quali
appartiene il giudice che ha emesso il decreto di rigetto
dell’istanza e il relativo ricorso è notificato all’intendente di
finanza, che è parte nel procedimento; contro l’ordinanza che decide
il ricorso l’interessato e l’intendente di finanza possono proporre
ricorso per cassazione per violazione di legge;
che il sistema di impugnazioni introdotto dall’anzidetta
disposizione è in verità incompleto, poiché non prevede il ricorso
dell’intendente di finanza, al quale il provvedimento deve comunque
essere comunicato e che pure è parte del procedimento in sede di
gravame avverso il decreto che abbia accolto l’istanza;
che per colmare questa evidente lacuna, in assenza di un
intervento legislativo che espressamente introducesse la possibilità
di un ricorso dell’intendente di finanza contro il decreto di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato, può certo impegnarsi
l’attività interpretativa del giudice, ma non fino al punto di
snaturare provvedimenti, inequivocamente concepiti dal legislatore
come giurisdizionali, e di ridurli al rango di atti amministrativi,
dotati del regime giuridico che di questi è proprio, secondo un modo
di vedere che finirebbe col revocare in dubbio la stessa
legittimazione del giudice a sollevare questioni di legittimità
costituzionale nei relativi procedimenti;
che, pertanto, avendo il giudice remittente già fatto
applicazione della disposizione che ora sottopone a censura e non
essendo configurabile un potere di revoca nei termini prospettati, la
questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 8, della legge 30
luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato
per i non abbienti), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, dal pretore di Milano con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola