Ordinanza N. 151 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
30/04/1999
Data deposito/pubblicazione
30/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/04/1999
Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
lettera d) e 15, comma 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n.
197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in
materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della
Polizia di Stato), promossi con ordinanze emesse il 12 febbraio 1997
(n. tre ordinanze), il 12 marzo e il 12 febbraio 1997 (n. due
ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ed il
21 gennaio 1998 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
rispettivamente iscritte ai nn. 517, 518, 519, 520, 521 e 522 del
registro ordinanze 1997 ed al n. 546 del registro ordinanze 1998 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima
serie speciale, dell’anno 1997 e n. 34, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione di Mariani Francesco ed altri, nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, nel corso del giudizio su ricorsi collettivi proposti
da numerosi sovrintendenti della Polizia di Stato nei confronti del
rispettivo inquadramento nella qualifica di vice ispettore del nuovo
ruolo degli ispettori, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettera d),
del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art.
3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle
carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), l’adito
Tar del Piemonte, con ordinanza del 12 febbraio 1997 (r.o. n. 517 del
1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della
predetta norma, per contrasto con gli artt. 76, 97, 3 e 36 della
Costituzione;
che, sotto il primo profilo, il Collegio rimettente ritiene che
il decreto delegato de quo nella parte impugnata, abbia obliterato le
ragioni della legge delega, che erano, come emergerebbe dalla
intitolazione della stessa, quelle di colmare il vuoto evidenziato
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991; questa si
era limitata a dichiarare la illegittimità costituzionale della
mancata equiparazione tra gli ispettori della Polizia di Stato ed i
sottufficiali dei Carabinieri, caducando l’art. 43, diciassettesimo
comma, della legge 1 aprile 1981, n. 121, e la allegata tabella “C”,
relativamente a tale mancata equiparazione, mentre la delega era
stata attribuita per determinare un nuovo assetto in linea con la
predetta decisione, e, pertanto, essa era limitata nell’oggetto da
tale finalità;
che l’ulteriore modifica posta in essere dal decreto legislativo
n. 197 del 1995, secondo il Collegio a quo non sarebbe rispettosa
della delega stessa, nella parte in cui determinerebbe inquadramenti
e scavalcamenti collocando le varie qualifiche in posizioni
differenziate; prevederebbe criteri di progressione in carriera
sperequati rispetto a quelli applicabili ai vice ispettori nominati a
seguito di concorso ex art. 52 della legge n. 121 del 1981, aventi
minore anzianità di servizio; limiterebbe – attraverso il richiamo,
ad opera dell’art. 13, comma 4, al personale di cui alla lettera d)
del comma 1 – la conservazione dell’anzianità posseduta nel ruolo
dei sovrintendenti, ai fini dell’ammissione allo scrutinio di
promozione alla qualifica di ispettore capo, ad un massimo di due
anni; ricollocherebbe, in definitiva, il vecchio ruolo degli
ispettori al di sopra di quello dei sovrintendenti, nonostante
l’equiparazione tra i due ruoli, che sarebbe stata sancita dalla
legge delega;
che, quanto alla lamentata violazione dell’art. 97 della
Costituzione, non sarebbe conforme al principio della ottimizzazione
della pubblica amministrazione la revisione dei principi
organizzatori che avevano ispirato la riforma della Polizia;
che il vulnus all’art. 3 della Costituzione consisterebbe nella
disparità di trattamento di situazioni già riconosciute omogenee;
che infine, secondo il Tar del Piemonte, gli inquadramenti
disposti in base al d.lgs. n. 197 del 1995, nel comportare un
generale appiattimento delle qualifiche, in cui verrebbe sacrificata
l’anzianità di servizio maturata nel precedente ruolo, si porrebbero
in contrasto con il principio della proporzionalità ed adeguatezza
della retribuzione, di cui all’art. 36 della Costituzione, oltre a
creare, nel generale assetto del personale, situazioni irragionevoli,
ostacolando la progressione in carriera – o addirittura
paralizzandola, come nel caso degli ispettori del ruolo ad
esaurimento – con ulteriori conseguenze, sul piano della violazione,
ancora, dell’art. 97 della Costituzione, sulla efficiente ed
imparziale organizzazione degli uffici e sulla distribuzione delle
responsabilità e delle competenze;
che nel giudizio introdotto con la citata ordinanza, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con il
patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
la inammissibilità o la infondatezza della questione, confutando le
dedotte ragioni di incostituzionalità;
che la medesima questione è stata sollevata dallo stesso Tar con
altre tre ordinanze di contenuto identico (relative a vice
sovrintendenti), due delle quali emesse il 12 febbraio 1997 (r.o. nn.
518 e 519 del 1997), e l’altra il 12 marzo 1997 (r.o. n. 520 del
1997);
che anche nei giudizi introdotti con tali ordinanze, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nei
medesimi sensi;
che lo stesso Tar del Piemonte, con altre due ordinanze, emesse
il 12 febbraio 1997 (r.o. nn. 521 e 522 del 1997), ha aggiunto, alla
denuncia dell’art. 13, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 197 del
1995, quella, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali,
dell’art. 15, comma 3, dello stesso decreto legislativo, nella parte
in cui prevede l’inquadramento dei sovrintendenti capo o principali
nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento degli
ispettori;
che anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale
dello Stato, che ha proposto analoghe conclusioni;
che infine, il Tar della Sicilia, con ordinanza del 21 gennaio
1998 (r.o. n. 546 del 1998), ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dello stesso art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 197 del
1995, in riferimento agli artt. 3, 97 e 76 della Costituzione: ad
avviso del collegio rimettente, l’inquadramento forzoso dei
sovrintendenti nell’istituito ruolo ad esaurimento, senza
possibilità di opzione per il ruolo ordinario, o di un inquadramento
a domanda, si frapporrebbe al diritto alla carriera di costoro, donde
il contrasto con gli artt. 97 e 3 della Costituzione, avuto anche
riguardo, per un verso, alla mancanza di esigenze eccezionali
dell’amministrazione, per l’altro, alla circostanza che la previsione
della possibilità, per gli ispettori capo del detto ruolo ad
esaurimento, di essere scrutinabili per non oltre il cinquanta per
cento dell’aliquota dei posti disponibili (a norma dell’art. 31-bis
primo comma, lettera a), del d.P.R. n. 335 del 1982, come modificato
dal d.lgs. n. 197 del 1995), o, se in possesso del titolo di studio
prescritto, di partecipare ai concorsi di cui alla lettera b) del
predetto articolo, sarebbe di fatto vanificata dalla riserva
prevista, per un periodo di quattro anni ed in relazione ad un
contingente di 1000 posti all’anno, per l’ammissione alla selezione,
in favore degli ispettori capo del ruolo ordinario, dall’art. 14
dello stesso d.lgs. n. 197 del 1995;
che nemmeno potrebbe ammettersi che, a parità di obblighi e
funzioni, corrisponda una subordinazione funzionale degli ispettori
capo del ruolo ad esaurimento rispetto a quelli del ruolo ordinario;
che del resto, la istituzione di un apposito ruolo ad
esaurimento, sempre ad avviso del Tar, travalicherebbe, in contrasto
con l’art. 76 della Costituzione, la delega legislativa, che avrebbe
previsto tale possibilità solo in riferimento al personale con
qualifica di assistente capo o equiparata in possesso della qualifica
di ufficiale di polizia giudiziaria, e che, comunque, avrebbe la
finalità di provvedere, nell’ambito di una disciplina omogenea, al
riordino delle carriere, e non al congelamento di qualche pregressa
posizione, con preclusione ad un suo ordinato dispiegarsi;
che anche in tale giudizio ha spiegato intervento l’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo in modo identico.
Considerato che deve essere disposta la riunione dei giudizi stante
la evidente parziale identità o connessione delle questioni
proposte;
che questa Corte, con sentenza n. 63 del 1998, pronunciando in
una serie di giudizi in cui erano stati proposti – rispetto alle
ordinanze in esame – profili esattamente speculari riguardanti la
posizione del personale proveniente dal ruolo ispettori rispetto a
chi rivestiva la qualifica di sovrintendente e di vice
sovrintendente, ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 3 del
d.-l. 7 gennaio 1992 n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 marzo 1992, n. 216, ha chiarito l’evoluzione legislativa successiva
alla riforma della polizia del 1981 (caratterizzata dall’inizio della
unificazione del trattamento economico per le forze di polizia
mediante estensione di quello previsto per la Polizia di Stato: art
43 della legge n. 121 del 1981), ed ha individuato i contenuti della
delega di cui all’art. 3 della predetta legge n. 216 del 1992;
che in particolare è stato affermato, con la citata sentenza n.
63 del 1998, che l’art. 3 del d.-l. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito,
con modificazioni, in legge 6 marzo 1992, n. 216, è una tipica
misura di perequazione del trattamento economico (oltre che del
connesso regime ordinamentale) che rientra nella discrezionalità
legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo
della ragionevolezza, come svolgimento dell’art. 3 della
Costituzione;
che tale discrezionalità ricomprende tanto la differenziazione
del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite,
che non incorre di per sé in violazione dei precetti costituzionali
di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione (sentenza n. 133 del
1985), quanto la possibilità che nell’ambito del pubblico impiego
siano attribuite voci retributive o indennità particolari in maniera
uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti;
ciò ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza
n. 65 del 1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di
palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (sentenze n.
133 del 1996 e n. 217 del 1997);
che il legislatore può modificare nel numero (in riduzione o in
aumento) i livelli retributivi, così come può procedere a
riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l’ambito dei
livelli, fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non
manifesta irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1998);
che il rapporto di proporzionalità della retribuzione ai fini
dei principi desumibili dall’art. 36 della Costituzione deve essere
effettuato in relazione al trattamento economico complessivo con
riferimento alla categoria e al livello e non è suscettibile di
differenziazioni personali nell’ambito del livello unificato, salvo
quelle derivanti da anzianità o da particolari indennità o compensi
per attività aggiuntive o comportanti maggiore impegno quantitativo
o qualitativo (sentenza n. 63 del 1998);
che le predette norme (d.-l. n. 5 del 1992 e legge di conversione
con modifiche n. 216 del 1992) sono andate ben oltre il semplice
adeguamento alla statuizione di incostituzionalità (per la parte
relativa alla mancata comparazione tra ispettori e sottufficiali dei
carabinieri nella tabella “C” allegata alla legge n. 121 del 1981)
(sentenza n. 63 del 1998);
che il legislatore con una scelta precisa ha intenzionalmente
voluto, non solo colmare il vuoto di comparazione ed equiparazione
per i sottufficiali dei carabinieri, ma anche procedere ulteriormente
alla unificazione (completa a decorrere dal 1 gennaio 1992) del
trattamento economico (allineandolo sui livelli VI, VI-bis e VII) di
tutti i sottufficiali (e qualifiche corrispondenti) di polizia, sia
ad ordinamento militare che civile, compresi quelli mantenuti al di
fuori sia dell’oggetto della pronuncia della Corte, sia delle
conseguenti decisioni dei giudici amministrativi (sentenza n. 63 del
1998; v. anche sentenze n. 465 del 1997 e n. 455 del 1993);
che il legislatore del 1992, in considerazione delle più urgenti
esigenze derivanti dall’intervento sui sottufficiali dei carabinieri,
ha inteso ridurre – attraverso una compattazione verso l’alto
(realizzata mediante un reinquadramento) delle posizioni economiche
degli allora sovrintendenti (e vice sovrintendenti), riallineate alla
originaria equiparazione tra sottufficiali – le discrasie e le
differenze ben più gravi che si sarebbero verificate nei confronti
degli stessi vice sovrintendenti rispetto alle altre forze di polizia
(sentenza n. 63 del 1998);
che con questa operazione meramente meccanica ed economica non si
raggiungeva un risultato ottimale nei trattamenti retributivi ed
ordinamentali delle forze di polizia, nonostante che la legge n. 121
del 1981 avesse disposto l’omogeneizzazione (in linea di principio:
v. sentenza n. 465 del 1997) dei trattamenti economici di tutte le
forze di polizia, attraverso il meccanismo dell’estensione automatica
e normativa mediante rinvio mobile al trattamento della Polizia di
Stato, unica peraltro a conseguire contestualmente nuove forme
organizzative e un nuovo ordinamento (sentenza n. 63 del 1998);
che questa Corte ha più volte sottolineato che il trattamento
economico dell’anzidetto personale subiva i riflessi sostanziali
derivanti dalle diverse forme di progressione nelle qualifiche e nei
gradi, anche se l’omogeneizzazione economica era destinata ad
affinarsi nel corso del tempo, nell’obiettivo di perseguire
l’effettivo equilibrio di disciplina, che presuppone l’eliminazione
di persistenti differenze o carenze di meccanismi di progressione in
taluni ordinamenti e l’adeguamento di moduli ordinamentali (sentenze
nn. 65 e 465 del 1997 e n. 63 del 1998);
che il legislatore non solo ha proceduto sulla strada della
perequazione (semplicemente) economica delle forze di polizia, ma ha,
con il conferimento di una duplice delega legislativa, avviato
successive fasi dirette ad una ulteriore e sostanziale
omogeneizzazione: la prima delega (art. 2, comma 1, della legge n.
216 del 1992) nella preoccupazione di non alterare gli equilibri tra
i vari ordinamenti militari, da esercitarsi con un unico decreto
legislativo su proposta del Ministero dell’interno di concerto con
gli altri ministri interessati, aveva per oggetto la definizione “in
maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi
ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti”, delle
procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle
forze di polizia anche ad ordinamento militare, ai sensi della legge
1 aprile 1981, n. 121, nonché del personale delle forze armate, ad
esclusione dei dirigenti civili e militari e del personale di leva;
che la seconda delega (art. 3 della legge n. 216 del 1992), da
esercitarsi con più decreti legislativi sulla base di unici criteri
direttivi (diversi da quelli di cui all’art. 2), riguardava “le
necessarie modifiche degli ordinamenti del personale” delle forze di
polizia e delle forze armate, esclusi dirigenti e direttivi, “per il
riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti
economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi
restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di
stato, nonché le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza,
previsti dalle vigenti disposizioni di legge”; inoltre per le
anzidette finalità era espressamente contemplato che i decreti
legislativi potessero “prevedere che la sostanziale equiordinazione
dei compiti e dei connessi trattamenti economici sia conseguita
attraverso la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra,
anche mediante la soppressione di qualifiche, gradi, ovvero mediante
l’istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi con determinazione
delle relative dotazioni organiche, ferme restando le dotazioni
organiche complessive previste”, con le occorrenti disposizioni
transitorie (art. 3, comma 3, della legge n. 216 del 1992);
che il ruolo dei sovrintendenti è rimasto distinto da quello
degli ispettori, essendosi operato in via transitoria un
inquadramento degli allora sovrintendenti e vice sovrintendenti in
qualifiche del ruolo ispettori, con un beneficio concesso al
principale scopo di riallineare la originaria equiparazione tra
sottufficiali e di ridurre le discrasie dovute alle differenze dei
vice sovrintendenti e sovrintendenti rispetto alle altre forze di
polizia (sentenza n. 63 del 1998);
che le norme impugnate costituiscono una scelta discrezionale di
politica legislativa, esercitata, in modo non palesemente arbitrario
né manifestamente irrazionale, entro l’oggetto, i criteri e i
principi direttivi della delega legislativa, come interpretata dalla
sentenza n. 63 del 1998;
che questa Corte ha ripetutamente sottolineato l’esistenza di
un’ampia discrezionalità del legislatore in tema di inquadramento
del personale e di articolazione delle qualifiche, specie nel
passaggio da un ordinamento all’altro (v., da ultimo, sentenze n. 217
del 1997; n. 4 del 1994; nn. 448 e 324 del 1993);
che d’altro canto le stesse norme impugnate non sono in contrasto
con gli scopi fissati nel conferimento della delega, cioè di
conseguire una disciplina omogenea di carriere, attribuzioni e
trattamenti economici, collegata ai rispettivi compiti istituzionali,
e una sostanziale equiordinazione dei compiti raggiungibile anche
attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti
disposizioni transitorie;
che le ordinanze che hanno sollevato le questioni si basano, per
quanto attiene alla violazione dell’art. 76 della Costituzione, su di
una erronea interpretazione della delega legislativa, che non
contiene un principio di conservazione integrale della anzianità
posseduta nel precedente ruolo nelle ipotesi di inquadramento in
posizione superiore, disposto in sede di regime transitorio, né
prevede una equiparazione tra ruolo dei sovrintendenti e ruolo degli
ispettori;
che non sussiste un principio alla stregua del quale, in caso di
inquadramento in un ruolo superiore o sovraordinato, debba essere
garantita la conservazione della anzianità pregressa in funzioni non
completamente equiparabili e comunque con minori responsabilità;
che la delega legislativa, ancorché contestuale nella legge di
conversione del d.-l. che disponeva la equiparazione dei
sottufficiali dei carabinieri, non aveva alcun collegamento
(tantomeno limitativo), nell’oggetto e nei criteri direttivi, con il
problema dell’attuazione della sentenza della Corte n. 277 del 1991,
come del resto sottolineato nella citata sentenza n. 63 del 1998;
che non si può ravvisare lesione dell’art. 97 della Costituzione
per il fatto che siano intervenute variazioni nell’assetto
organizzatorio della pubblica amministrazione, che non sono di per
sé indice di peggioramento anche se accompagnate da minori
accrescimenti di posizioni economiche o di svolgimento di carriera di
singoli o di gruppi di dipendenti, che pur sempre hanno ottenuto
vantaggi e miglioramenti tutt’altro che insignificanti, anche se in
misura inferiore a quanto desiderato dagli stessi; ciò quando le
variazioni si inseriscono in un disegno dichiarato di politica
normativa e in scelte (non palesemente arbitrarie né manifestamente
irragionevoli) discrezionali, tendenti alla razionalizzazione e alla
omogeneizzazione di situazioni ordinamentali e trattamenti quali
quelle delle forze di polizia e delle forze armate, evitando
alterazioni settoriali e rincorse di rivendicazioni (sentenza n. 63
del 1998);
che nelle fattispecie considerate non si sono prodotti né
alterazioni alla omogeneità della disciplina o alla equiordinazione
dei compiti e connessi trattamenti economici, né tantomeno alcuno
scavalcamento rispetto a posizioni anteriormente poziori, per cui non
vi è alcuna violazione dei criteri di delega, né vi è una
manifesta irragionevolezza; mentre non esiste affatto un principio
cogente sul piano costituzionale secondo il quale, quando, per
effetto di norma di legge di carattere transitorio di passaggio tra
due sistemi, vi sia un inquadramento in una qualifica o in ruolo
superiori, vi debba essere una facoltà di opzione accordata ai
singoli soggetti interessati, una volta che il legislatore abbia
valutato le esigenze di un riordino di ruoli, qualifiche e funzioni;
che non esiste un principio che imponga la intangibilità degli
sviluppi di carriera o delle aspettative di promozione o la
conservazione delle pregresse anzianità in altra qualifica (con
responsabilità e funzioni non coincidenti) del dipendente di
pubblica amministrazione, essendo rimesso alla discrezionalità del
legislatore stabilire il passaggio tra posizioni e sistemi
ordinamentali modificati, con il limite della non manifesta
irragionevolezza e nel rispetto del principio di buona
amministrazione (v. sentenza n. 217 del 1997), nella specie
osservati;
che pertanto deve essere dichiarata la manifesta infondatezza
delle questioni di legittimità costituzionale sotto ogni profilo
denunciato.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lettera d), e
15, comma 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197
(Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia
di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia
di Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 76, 97, 3 e 36 della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con
le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale del predetto art. 15, comma 3, del
decreto legislativo n. 197 del 1995, sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 97 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
Il Presidente: Vassalli
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.
Il cancelliere: Fruscella