Ordinanza N. 152 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
30/04/1999
Data deposito/pubblicazione
30/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 settembre
1997 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Z.
A. ed altri, iscritta al n. 880 del registro ordinanze 1997 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie
speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 19 settembre 1997 il pretore di
Livorno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 77 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
l’incompatibilità ad esercitare le funzioni di giudice del
dibattimento del giudice per le indagini preliminari che abbia in
precedenza pronunciato nei confronti dei medesimi imputati decreto di
archiviazione “parziale” ai sensi dell’art. 411 cod. proc. pen. in
relazione ad alcuni reati “concorrenti”;
che il rimettente premette: di avere pronunciato, in qualità di
giudice per le indagini preliminari, decreto di archiviazione per
intervenuta prescrizione in relazione ai reati di lesioni volontarie,
oltraggio a pubblico ufficiale e inosservanza di un provvedimento
dell’Autorità; di avere poi ordinato la restituzione degli atti al
pubblico ministero per l’ulteriore corso in relazione al delitto di
resistenza a pubblico ufficiale, commesso nello stesso contesto dai
medesimi imputati; di essere ora chiamato a giudicare tale reato in
qualità di giudice del dibattimento, pur avendo in precedenza preso
visione di tutti gli atti di indagine e, quindi, anche di quelli
relativi all’odierna imputazione;
che ad avviso del rimettente la ratio dell’incompatibilità
determinata da atti compiuti nel procedimento va individuata
nell’esigenza di evitare che “il giudice del merito abbia avuto, in
precedenza, conoscenza degli elementi d’accusa relativi al reato di
cui è chiamato a conoscere e giudicare”, nonché di scongiurare il
rischio di una sorta di “pregiudizio” da parte del giudice del
dibattimento;
che l’omessa previsione nel caso in esame di una situazione di
incompatibilità si porrebbe pertanto in contrasto con l’art. 77
Cost., per violazione della direttiva n. 67 della legge delega – in
relazione alla direttiva n. 52 – stante l’assimilazione del decreto
di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen. alla sentenza di non
luogo a procedere per estinzione del reato, nonché con l’art. 3
della Costituzione per l’ingiustificata disparità di trattamento tra
“situazioni giuridiche processuali identiche”.
Considerato che, contrariamente a quanto sostiene il giudice
rimettente, la mera conoscenza degli atti del medesimo procedimento,
non accompagnata da una valutazione contenutistica, di merito, sui
risultati delle indagini, non ha effetti pregiudicanti sulla funzione
di giudizio (v. in tale senso sentenze n. 455 del 1994 e n. 502 del
1991);
che inoltre, alla stregua della costante giurisprudenza di questa
Corte, l’atto pregiudicante che comporta una situazione di
incompatibilità per la funzione di giudizio deve comunque avere per
oggetto la medesima res iudicanda (v. sentenze nn. 455 del 1994, 439
del 1993, 186 e 124 del 1992);
che nel caso di specie il rimettente, in qualità di giudice per
le indagini preliminari, ha pronunciato decreto di archiviazione per
intervenuta prescrizione nei confronti di reati diversi da quello su
cui è chiamato a svolgere la funzione di giudizio, e si è limitato
a prendere visione degli atti di indagine, senza esprimere alcuna
valutazione contenutistica, di merito, sui risultati delle indagini
stesse;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt.26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 77 della Costituzione, dal pretore di
Livorno, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.
Il cancelliere: Fruscella