Ordinanza N. 152 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
03/05/2002
Data deposito/pubblicazione
03/05/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE;
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali), promossi con due ordinanze emesse il 20 febbraio 2001
dalla Corte di appello di Venezia, iscritte ai nn. 278 e 279 del
registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione dell’INAIL nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Massimo Vari;
Uditi l’avvocato Nicola D’Angelo per l’INAIL e l’avvocato dello
Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Corte d’appello di Venezia, con due distinte
ordinanze (r.o. nn. 278 e 279 del 2001), entrambe emesse il
20 febbraio 2001 ed aventi la stessa motivazione in punto di diritto,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 112,
quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali), “in riferimento all’art. 444 codice di procedura
penale”, denunciandone il contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione;
che le ordinanze sono state emesse nel corso dei gravami
interposti dall’INAIL per la riforma delle sentenze di primo grado
del Tribunale di Venezia, che hanno dichiarato decaduto il medesimo
Istituto dall’intentata azione di regresso, “per essere trascorsi
oltre tre anni dalla data in cui si era concluso, con sentenza di
applicazione concordata della pena, il procedimento penale contro” i
responsabile civili di un infortunio sul lavoro;
che, a tal riguardo, il rimettente evidenzia che gli appelli
proposti dall’INAIL si incentrano sull’asserita violazione
dell’art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, nel senso che, a fronte di
sentenza emessa “a seguito di patteggiamento” (art. 444 cod. proc.
pen.), essendo questa equiparata a sentenza di condanna (art. 445
cod. proc. pen.), il giudice di primo grado avrebbe dovuto applicare,
nella fattispecie sottoposta alla sua cognizione, il termine
triennale di prescrizione ( validamente interrotta” nel caso di
specie) stabilito “nella seconda parte del comma quinto di detto
articolo” e non già il termine di decadenza “disciplinato dalla
prima parte del medesimo comma, rispetto al quale non sono ammessi
atti interruttivi”;
che, tanto premesso, il giudice a quo assume che, dopo
l’intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza
n. 3288 del 1997), “la distinzione tra termine di decadenza e termine
di prescrizione nell’ambito del quinto comma del menzionato art. 112
può qualificarsi diritto vivente”, rilevando la prima ipotesi in
“mancanza di un accertamento del fatto-reato da parte del giudice
penale”, mentre l’ipotesi della prescrizione “è caratterizzata
dall’esistenza di tale accertamento contenuto nella sentenza penale
di condanna”;
che, inoltre, il rimettente, nel rilevare che il quinto comma
dell’art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965 non contempla espressamente
il caso di procedimento penale definito con sentenza “di
patteggiamento”, ritiene “arduo” equiparare detta sentenza “alle
“sentenze di non doversi procedere” di cui alla prima parte del
comma”, non senza, peraltro, riconoscere “che sussiste la eadem ratio
e cioè l’esigenza di pervenire a un rapido accertamento delle
responsabilità del fatto-reato”;
che, peraltro, si argomenta ancora nelle ordinanze, “la
diversa opzione interpretativa” – sostenuta dall’INAIL e,
ultimamente, dalla stessa Corte di cassazione (con sentenza n. 14734
del 1999) – per cui, agli effetti del denunciato art. 112, quinto
comma, la sentenza di patteggiamento è ricondotta a una sentenza di
condanna, “non risulta convincente perché appare in contrasto sia
con l’orientamento prevalente che riserva tale equiparazione ai soli
effetti propriamente penali”, sia con la ratio dello stesso art. 112,
individuata, dalla menzionata decisione delle sezioni unite della
cassazione, “nell’esigenza di garantire un rapido accertamento delle
responsabilità del fatto-reato nei rapporti tra Istituto, assicurato
e datore di lavoro, e, nell’interesse di quest’ultimo, senza
consentire indefinitamente all’Istituto di interrompere la
prescrizione con aggravio della possibilità di prova”;
che, pertanto, dovendosi ragionevolmente escludere “la
soluzione radicale di negare all’ipotesi di patteggiamento
l’applicabilità sia del termine di decadenza sia di quello (breve)
di prescrizione”, il rimettente ritiene che la disposizione
denunciata contrasti con i “diritti costituzionali a una efficace
difesa in giudizio (art. 24 della Costituzione) e a un uguale
trattamento di situazioni giuridiche consimili (art. 3 della
Costituzione)” e ciò a motivo del “diverso, deteriore trattamento
che fatalmente consegue in danno del presunto responsabile civile
dell’infortunio dal fatto che l’art. 112, quinto comma, nel fissare
all’INAIL termini di decadenza per agire in regresso nelle ipotesi in
cui manca un accertamento del fatto-reato, non ha incluso l’ipotesi
del procedimento penale chiuso con sentenza di patteggiamento”;
che si è costituito l’INAIL, parte appellante nei giudizi a
quibus concludendo per l’inammissibilità o per la manifesta
infondatezza delle questioni;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto una declaratoria di inammissibilità o di manifesta
infondatezza.
Considerato, preliminarmente, che le ordinanze denunciano
entrambe la stessa disposizione, in base ad identiche censure,
sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con
un’unica pronuncia;
che il giudice a quo nel sollevare le questioni, muove dal
presupposto che l’interpretazione seguita dalla giurisprudenza di
legittimità sull’art. 112, quinto comma, del d.P.R. n. 1124 del
1965, in ordine alla disciplina relativa ai termini per esercitare
l’azione di regresso da parte dell’INAIL, costituisca diritto
vivente, nel senso che detta azione, ove manchi un accertamento del
fatto-reato da parte del giudice penale, è soggetta (prima partedel
comma quinto dell’art. 112) a termine triennale di decadenza, mentre
laddove sussista il menzionato accertamento la stessa azione è
soggetta (ultima parte del comma quinto dell’art. 112) a termine
triennale di prescrizione;
che, nell’aderire espressamente a siffatto orientamento, il
rimettente, tuttavia, adduce, per un verso, la difficoltà
ermeneutica di equiparare la sentenza di patteggiamento alle sentenze
di non doversi procedere di cui alla prima parte del comma quinto
dell’art. 112, pur ravvisando la medesima ratio – “e cioè l’esigenza
di pervenire a un rapido accertamento delle responsabilità del
fatto-reato” – tra i due menzionati tipi di pronunce; per altro
verso, afferma, motivatamente, di non condividere
quell’interpretazione, fatta propria da un’unica decisione della
cassazione, secondo la quale la sentenza pronunciata dal giudice
penale a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. deve reputarsi di
condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112,
quinto comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 deve ritenersi di
prescrizione;
che, così opinando, il rimettente fornisce, a supporto dei
proposti incidenti di costituzionalità, una motivazione perplessa,
giacché, da un lato, dubita della equiparazione, agli effetti
disciplinati dalla disposizione denunciata, della sentenza di
patteggiamento a quelle di non doversi procedere, ma, dall’altro,
esprime netta contrarietà che, ai medesimi predetti effetti, la
stessa sentenza di patteggiamento possa reputarsi sentenza di
condanna;
che, inoltre, il giudice a quo pur palesando chiaramente
quale sia l’interpretazione della norma censurata che predilige e che
reputa maggiormente conforme al dettato costituzionale, si risolve,
nonostante ciò, a proporre le questioni, sì da utilizzare il
giudizio di costituzionalità allo scopo di ottenere da questa Corte
un avallo dell’opzione interpretativa ritenuta preferibile e, dunque,
per un fine estraneo a detto giudizio (tra le molte, ordinanza n. 351
del 2001);
che, pertanto, sotto entrambi gli esaminati profili, le
questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 112, quinto comma, del decreto
del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico
delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Venezia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Vari
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 3 maggio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola