Ordinanza N. 153 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
03/05/2002
Data deposito/pubblicazione
03/05/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE;
113, secondo comma, e 316, secondo comma, del codice di procedura
civile, promosso con sentenza emessa il 20 novembre 2000 dal Giudice
di pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Fortuna Luigi e
Paganucci Marcella, iscritta al n. 382 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie
speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione di Fortuna Luigi nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Francesco Amirante;
Uditi l’avvocato Luciano Argiolas per Fortuna Luigi e l’avvocato
dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto che il Giudice di pace di Roma, con sentenza depositata
il 30 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
111 della Costituzione, varie questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 311, 320, 113, secondo comma, e 316,
secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui
dette disposizioni, rispettivamente, impongono l’applicazione delle
norme concernenti il procedimento davanti al tribunale anche per le
cause di valore inferiore al milione (per le quali è prevista la
facoltatività della difesa tecnica), assoggettano, in caso di
pronuncia secondo equità, all’osservanza delle stesse regole
procedurali dei giudizi in cui la difesa tecnica è obbligatoria
anche quelli in cui essa è facoltativa e prevedono infine l’onere
del processo verbale senza adeguate garanzie formali;
che il remittente premette di essere stato adito con processo
verbale di domanda proposta oralmente, regolarmente notificato,
avente ad oggetto una richiesta di pagamento della somma di lire
centocinquantamila, di aver inutilmente esperito il tentativo di
conciliazione, di aver espletato la consulenza tecnica d’ufficio e di
aver quindi trattenuto in decisione la causa all’esito della
precisazione delle conclusioni;
che la difesa della parte attrice (la quale successivamente
alla proposizione della domanda si era avvalsa di un difensore) aveva
sollecitato la proposizione di una questione di legittimità
costituzionale degli artt. 82, primo comma, 316, secondo comma, 91 e
92 cod. proc. civ.;
che, nel motivare la manifesta infondatezza di detta
eccezione, il remittente procede ad un excursus storico delle
normative che, nel tempo, hanno regolato la difesa dinanzi al
pretore, al conciliatore e, da ultimo, dinanzi al giudice di pace;
con particolare riferimento a tale rito, egli osserva che
l’obbligatorietà del patrocinio è stata assicurata solo per le
cause di valore superiore al milione di lire, ma che la
corrispondente possibilità della parte di stare in giudizio
personalmente per le cause di valore inferiore sarebbe assicurata
solo in apparenza;
che, pertanto, non è il denunciato art. 82 cod. proc. civ.
ad essere viziato d’illegittimità costituzionale, quanto piuttosto
il complesso delle norme che si frappongono alla sua realizzazione
pratica;
che a tale proposito il giudice a quo esamina anzitutto il
congegno della redazione del processo verbale in caso di formulazione
orale della domanda, osservando che l’ipotesi di diniego da parte del
giudice di pace di far redigere tale processo non sarebbe assistita
dalla garanzia della motivazione, in violazione dell’art. 111 Cost;
che tale verbale, peraltro, sarebbe – per come attuatosi
nella prassi degli uffici – “la prova lampante di un vuoto
formalismo”, traducendosi in un onere aggiuntivo per il cittadino che
intenda stare in giudizio personalmente, così vulnerando l’art. 24
Cost;
che in tale ottica è quindi sospettato d’illegittimità
costituzionale l’art. 316, secondo comma, del cod. proc. civ.,
poiché il remittente istituisce un collegamento tra detta norma e
l’art. 82 cod. proc. civ., ritenendo che la possibilità di
proposizione orale della domanda sia ammissibile solo nelle cause di
valore inferiore al milione, nelle quali il patrocinio non è
obbligatorio;
che la previsione dell’art. 311 cod. proc. civ., poi, nella
parte in cui estende alle cause davanti al giudice di pace di valore
non eccedente il milione le norme dettate per il procedimento avanti
al tribunale – così assoggettandole allo stesso trattamento
processuale delle controversie eccedenti tale valore, nelle quali è
obbligatorio il patrocinio – risulterebbe lesiva degli artt. 3, 24 e
111 Cost., in particolare quando una sola delle parti si avvalga
dell’opera del difensore;
che al remittente sembra che anche l’art. 113 cod. proc. civ.
si ponga in contrasto con gli anzidetti parametri costituzionali
nella parte in cui, nell’ipotesi di pronuncia secondo equità,
sottopone all’osservanza delle stesse regole in procedendo i giudizi
nei quali è prevista l’obbligatorietà del patrocinio e le
controversie dove è invece consentito al cittadino di stare in
giudizio personalmente;
che nei giudizi in argomento, quindi, caratterizzati dalla
tenuità del valore della domanda, la soluzione più adeguata sarebbe
quella della conciliazione obbligatoria da collocarsi nell’art. 320
cod. proc. civ., norma che sarebbe dunque costituzionalmente
illegittima appunto in ragione di tale mancata previsione ed in
riferimento ai medesimi parametri sopra evocati;
che nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la
parte privata attrice nel processo a quo sollecitando l’accoglimento
delle questioni sollevate dal remittente e, in subordine, la
restituzione degli atti al medesimo per il riesame della questione e
della sua rilevanza;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per l’inammissibilità, ovvero per l’infondatezza, della
questione.
Considerato che, pur avendo il remittente qualificato il
provvedimento di remissione come “sentenza” anziché come
“ordinanza”, ciò non conduce all’inammissibilità della questione
ove il giudice abbia disposto, come nel caso in esame, la sospensione
del procedimento e la trasmissione del fascicolo alla Corte
costituzionale (v. sentenza n. 452 del 1997);
che il Giudice di pace di Roma dubita, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità
costituzionale degli artt. 311, 320, 113, secondo comma, e 316,
secondo comma, del codice di procedura civile;
che secondo il giudice remittente le disposizioni suindicate,
stabilendo, anche per le cause per le quali è prevista la difesa
personale delle parti, che il giudizio è retto dalle norme relative
al procedimento davanti al tribunale, in quanto applicabili,
violerebbero il principio di ragionevolezza, il diritto di difesa e
le norme sul giusto processo;
che il provvedimento in esame, prendendo spunto dal problema
della difesa tecnica nel procedimento davanti al giudice di pace, non
tiene in adeguata considerazione che l’attore, pur avendo
originariamente introdotto il giudizio personalmente, ha poi scelto
di avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore, sicché ogni
questione relativa all’effettività del diritto di difesa assume una
valenza meramente eventuale;
che, tenendo presente la situazione processuale verificatasi
nel giudizio a quo per come risulta dalla descrizione fatta dal
remittente, non emerge in alcun modo quale sia la concreta rilevanza
delle numerose questioni sollevate, poiché il Giudice di pace di
Roma non è chiamato a fare applicazione di nessuna delle norme
impugnate, né è dato comprendere quale esito potrebbe avere
un’ipotetica sentenza di accoglimento in ordine alla decisione della
causa in corso;
che, d’altra parte, il tenore complessivo del provvedimento
di remissione – il quale insiste in modo particolare sul fatto che
nelle cause di valore inferiore ad un milione di lire la normativa
non prevede l’esistenza di un sistema idoneo ad indirizzare il
cittadino affinché possa adeguatamente esercitare il proprio diritto
di difesa personale – appare piuttosto rivolto a sottoporre questioni
di politica legislativa che non a sollecitare un provvedimento di
legittimità costituzionale;
che pertanto, sia per la mancanza di ogni dimostrazione sulla
rilevanza che per il tipo di questioni prospettate, le medesime
devono ritenersi manifestamente inammissibili.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 311, 320, 113, secondo comma,
e 316, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di
pace di Roma con il provvedimento di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Amirante
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 3 maggio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola