Ordinanza N. 158 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
07/05/2002
Data deposito/pubblicazione
07/05/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/04/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per
il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con
ordinanza emessa il 25 maggio 1999 dal Tribunale di Reggio Calabria
nel procedimento civile vertente tra Laganà Paola ed altri e il
comune di Villa San Giovanni, iscritta al n. 119 del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2001 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso del procedimento civile – promosso, al
fine di ottenere il risarcimento del danno in misura pari al valore
commerciale del terreno, dai proprietari di un suolo agricolo
occupato nel mese di febbraio del 1988 dal comune di Villa San
Giovanni, che lo aveva destinato ad ampliamento del locale cimitero,
senza porre in essere alcun atto espropriativo – il Tribunale di
Reggio Calabria, ritenendo applicabile anche alle aree agricole, per
il suo carattere onnicomprensivo, la disposizione – introdotta
dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica) – del comma 7-bis
dell’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, ha sollevato, con
ordinanza del 25 maggio 1999 (r.o. n. 119 del 2001), questione di
legittimità costituzionale di tale disposizione, la quale prevede
che “in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di
pubblica utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si
applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
dell’indennità di cui al comma 1” (semisomma del valore venale del
bene maggiorata del dieci per cento), “con esclusione della riduzione
del 40 per cento. In tal caso l’importo del risarcimento è altresì
aumentato del 10 per cento”, proprio nella parte in cui essa si
applicherebbe anche ai suoli agricoli;
che, ad avviso del giudice a quo tale disciplina si porrebbe
in contrasto anzitutto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, per
la sua irragionevolezza, ravvisabile nella circostanza che essa
prevede un trattamento deteriore rispetto a quello stabilito
dall’art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che fissa il
criterio di commisurazione della indennità di espropriazione sulla
scorta del valore agricolo con riferimento alle colture
effettivamente praticate sul fondo espropriato;
che la norma denunciata apparirebbe, sempre secondo il
collegio rimettente, inconciliabile altresì con l’art. 97 della
Costituzione, finendo per costituire incentivo alla violazione della
procedura stabilita in tema di espropriazione;
che, al riguardo, si richiamano, nell’ordinanza del
Tribunale, le considerazioni svolte dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 369 del 1996, che aveva dichiarato la
illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 5-bis il quale
aveva sancito la equiparazione della misura del risarcimento del
danno da occupazione illegittima all’indennizzo espropriativo;
considerazioni che, nella specie, assumerebbero pregnanza
ancora maggiore, avuto riguardo al rilievo che la norma censurata,
nella interpretazione accoltane dal giudice a quo che ne estenderebbe
l’applicabilità anche ai suoli agricoli, consentirebbe addirittura
una differenziazione in peius in danno del privato proprietario di
aree agricole, che subisca la occupazione, rispetto a quello che
subisca una regolare procedura espropriativa;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato,
che ha concluso per la inammissibilità o l’infondatezza della
questione, non condividendo la opzione ermeneutica del giudice a quo
invero accolta da alcune decisioni della Cassazione precedenti la
ordinanza, ma smentita da numerose sentenze successive;
che secondo l’Avvocatura dello Stato, il Tribunale
rimettente, in considerazione proprio di quegli aberranti effetti
derivanti dalla esegesi prescelta, avrebbe dovuto escluderne la
validità ed approfondire l’indagine ermeneutica nella direzione
opposta.
Considerato che l’ordinanza di rimessione si basa su un
presupposto completamente e palesemente erroneo, che coinvolge tutto
il ragionamento sulla scelta tra le diverse possibili interpretazioni
della norma denunciata ai fini della concreta applicabilità della
stessa norma nel giudizio a quo riguardante terreni agricoli, di modo
da renderlo carente nella motivazione per quanto riguarda la
rilevanza;
che, innanzitutto, il richiamo operato nell’ordinanza alla
interpretazione della Cassazione con sentenza 24 luglio 1998 –
rectius: 1997 – n. 6912, considerata come una sorta di diritto
vivente, che andava in contrario avviso rispetto ad una precedente
pronuncia della stessa Corte di cassazione del 3 marzo 1998, n. 2336
(in realtà successiva), risulta superato dall’ormai costante
indirizzo interpretativo, anche della stessa Corte di cassazione, nel
senso della bipartizione del trattamento differenziato
dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili da una
parte, e per i suoli agricoli o comunque non edificabili dall’altra,
e conseguentemente anche per l’indennizzo in caso di occupazioni
senza titolo;
che la scelta interpretativa (viziata e carente nella
motivazione e palesemente implausibile) operata dal giudice a quo non
tiene conto del sopravvenuto indirizzo giurisprudenziale (Cass.
n. 2336 del 1998; n. 5893 del 1998; n. 1090 del 2000, confermato
anche dagli artt. 43, comma 6, e 55 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327
recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità”; v. anche, sulla
dicotomia, ai fini dell’indennità, tra aree edificabili ed aree
agricole, Cass., Sezioni unite, n. 172 del 2001) e finisce per essere
contraddittoria con le premesse da cui parte (tutela della proprietà
e del principio ricavabile dall’art. 3 della Costituzione),
comportando – in maniera del tutto irragionevole e con una soluzione
dagli effetti aberranti ed in contrasto con la tutela che si voleva
conseguire – per il proprietario di fondo agricolo danneggiato dal
fatto illecito della pubblica amministrazione un trattamento
palesemente deteriore rispetto a quello del proprietario privato del
bene in base ad un titolo legittimo e a procedura regolare;
che le carenze e le contraddittorietà nel ragionamento
dell’ordinanza di rimessione risultano confermate dalla mancata presa
in considerazione sia delle pronunce di questa Corte successive al
1996, proprio in relazione alla norma denunciata (sentenza n. 148 del
1999; ordinanze n. 208 e n. 396 del 1999 e, per quanto riguarda il
calcolo delle indennità di espropriazione per aree agricole,
ordinanza n. 444 del 2000), sia del principio secondo il quale, tra
una pluralità di scelte interpretative, ogni giudice è tenuto ad
adottare quella conforme al dettato costituzionale (ordinanze n. 277
del 2000; n. 147 del 1998 e n. 63 del 1989);
che pertanto deve essere dichiarata la manifesta
inammissibilità della questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5-bis comma 7-bis, del
decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica) convertito, con modificazioni,
nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42 e
97 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 aprile 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 7 maggio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola