Ordinanza N. 164 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
10/05/1999
Data deposito/pubblicazione
10/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 4 giugno
1997 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda
sezione, ed il 19 giugno 1998 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di
Brescia, rispettivamente iscritte al n. 845 del registro ordinanze
1997 ed ai nn. 761 e 762 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 prima serie speciale
dell’anno 1997 e n. 42 prima serie speciale dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione del comune di Montebelluna nonché gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
Udito l’Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio instaurato da un dipendente
del comune di Montebelluna per l’annullamento, previa sospensione,
del provvedimento di rigetto della domanda di trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, con
ordinanza del 4 giugno 1997, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 57 e 58, della legge 23 dicembre
1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in
riferimento agli articoli 3, 5, 39, 97 e 128 della Costituzione, e
che detta norma, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione,
è stata altresì impugnata dal Tribunale amministrativo regionale
per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con due ordinanze in
data 19 giugno 1998, di contenuto sostanzialmente identico,
pronunziate nel corso di altrettanti giudizi promossi da due
psicologhe, dirigenti di primo livello dell’Azienda sanitaria locale
(ASL) della provincia di Bergamo, per l’annullamento, previa
sospensione, degli atti di rigetto delle domande di trasformazione
del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale;
che, secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni
impugnate, stabilendo che “il rapporto di lavoro a tempo parziale
può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali
appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di
quello delle Forze di Polizia e del Corpo nazionale dei vigili del
fuoco” (art. 1, comma 57) e prevedendo le modalità della
trasformazione del rapporto, configurerebbero “un diritto ovvero una
facoltà” del dipendente alla trasformazione del rapporto, senza
tenere conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni;
che, ad avviso di entrambi i Tar, la disciplina della
trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
non sarebbe ragionevole, in quanto potrebbe determinare un’improvvisa
riduzione del personale occorrente per garantire la funzionalità dei
servizi e, in violazione del principio di buon andamento, priverebbe
la pubblica amministrazione del potere di direzione e di
pianificazione dell’organizzazione dei propri uffici, non
permettendole di preordinare le misure necessarie ad evitare le
eventuali disfunzioni derivanti dall’incentivazione del rapporto di
lavoro part-time, in contrasto con lo scopo di razionalizzazione,
ammodernamento e responsabilizzazione avuti di mira dalla più
recente legislazione sul pubblico impiego;
che, secondo i giudici a quibus, la pubblica amministrazione
“viene a trovarsi in balìa dei propri dipendenti” e, inoltre, le
norme impugnate potrebbero determinare situazioni irragionevoli e
potenzialmente discriminatorie, in difetto della previsione di un
potere di verifica delle situazioni personali e/o di servizio;
che, secondo il Tar per il Veneto, le norme denunciate
violerebbero altresì sia l’autonomia organizzativa degli enti
locali, sia quella loro attribuita in sede di contrattazione
collettiva, entrambe costituzionalmente garantite (artt. 5, 39 e 128
della Costituzione);
che il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti
e tre i giudizi con distinti atti, di contenuto pressoché identico,
eccependo l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, la disciplina del part-time
costituisce parte di un più ampio disegno di riforma del pubblico
impiego, diretto a ridurre la spesa pubblica, e, quindi, le norme
denunciate possono costituire oggetto del sindacato di legittimità
costituzionale soltanto sotto il profilo della ragionevolezza;
che, ad avviso dell’interveniente, nel giudizio di ragionevolezza
assumerebbero pregnante importanza le disposizioni secondo le quali:
gli organici del personale sono costituiti anche da dipendenti il cui
numero complessivo è quantificato avendo riguardo al limite
complessivo del monte ore lavorative; possono essere banditi concorsi
per posti part-time; per taluni settori non è consentito l’accesso
indiscriminato a tale tipo di rapporto; il contingente del personale
che può essere destinato al tempo parziale non può superare il
limite del venticinque per cento dell’organico complessivo ed è
possibile ovviare alle eventuali carenze di organico sia mediante il
ricorso ai processi di mobilità, sia utilizzando i risparmi di spesa
per nuove assunzioni, in quanto esse dimostrerebbero che è stato
definito un sistema rispettoso dei principi costituzionali che si
assumono lesi;
che, secondo l’Avvocatura, la censura riferita agli artt. 5 e 128
della Costituzione è infondata, in quanto l’autonomia organizzativa
degli enti locali deve svolgersi e realizzarsi compatibilmente con
gli interessi della intera comunità nazionale, quindi anche con
quello al risanamento della finanza pubblica;
che, nel giudizio sollevato dal Tar per il Veneto, si è
costituito il comune di Montebelluna, convenuto nel processo
principale, svolgendo argomentazioni a conforto delle censure ed
eccependo che le disposizioni impugnate pregiudicherebbero il
conseguimento degli scopi istituzionali da parte delle pubbliche
amministrazioni, soprattutto dei comuni di dimensioni medie o
piccole, anche in considerazione del complessivo quadro normativo nel
quale esse si inseriscono;
che, ad avviso della parte, le modifiche introdotte
successivamente all’ordinanza di rimessione (art. 39, commi 25, 26 e
27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 31, comma 41, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448) “hanno l’indubbio merito di tradurre
positivamente le doglianze” sollevate dagli enti locali territoriali,
ma conforterebbero i dubbi di legittimità delle norme impugnate,
nonostante sia possibile sostenere che l’art. 1, comma 65, della
legge n. 662 del 1996 stabilisca l’inapplicabilità dei commi 58 e 59
sia agli enti locali che versano in una situazione deficitaria, sia a
quelli che hanno una pianta organica inferiore a cinque unità, e
ritenere applicabile la nuova disciplina soltanto successivamente
alla “determinazione dei contingenti dei rapporti di lavoro in
relazione ai quali ammettere l’accesso al tempo parziale” offrendo in
tal modo un’interpretazione che rende le norme immuni dalle censure
di legittimità costituzionale.
Considerato che i giudizi hanno ad oggetto le stesse norme, in
riferimento a parametri in parte coincidenti, sicché essi vanno
riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che, successivamente alla proposizione da parte del Tar per il
Veneto della questione di legittimità costituzionale, sono entrati
in vigore: l’art. 39, comma 27, della legge n. 449 del 1997 il quale
stabilisce che “le disposizioni dell’art. 1, commi 58 e 59, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di rapporto di lavoro a
tempo parziale si applicano al personale delle regioni e degli enti
locali finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio
atto normativo”; gli artt. 36, comma 7, e 36-bis del d.lgs. 3
febbraio 1993, n. 29 (nel testo modificato dal d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 80), i quali, rispettivamente, hanno introdotto la facoltà per le
pubbliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali
flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal
codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato
nell’impresa ed hanno previsto che il regolamento sull’ordinamento
degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni
organiche e le modalità di assunzione degli impieghi; l’art. 8,
comma 1, lettera i), del d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396, che ha
previsto la possibilità di forme sperimentali di contrattazione
collettiva, in deroga alle previgenti disposizioni sulla
contrattazione collettiva decentrata, anche in ordine
all’articolazione flessibile dell’orario di lavoro ed alla diffusione
del part-time;
che, in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione, sono
entrati in vigore: l’art. 31, comma 41, della legge n. 448 del 1998,
secondo il quale “per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale la
contrattazione collettiva può individuare particolari modalità
applicative, anche prevedendo una riduzione delle percentuali
previste per la generalità dei casi e l’esclusione di determinate
figure professionali che siano ritenute particolarmente necessarie
per la funzionalità dei servizi”; l’art. 4, della legge 16 giugno
1998, n. 191 che, allo scopo di garantire l’impiego flessibile delle
risorse umane, ha previsto che le pubbliche amministrazioni possono
avvalersi di forme di lavoro a distanza (cd. telelavoro);
che siffatte disposizioni, sopravvenute alle ordinanze di
rimessione, hanno ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a
tempo parziale, hanno introdotto nuovi tipi di rapporti di lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e nuovi schemi
organizzativi, sicché hanno innovato il complessivo quadro normativo
di riferimento;
che si palesa, pertanto, indispensabile il riesame, a cura dei
giudici a quibus della rilevanza delle questioni alla luce delle
modificazioni normative sopravvenute.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti al Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ed al
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata
di Brescia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola