Ordinanza N. 174 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/05/1999
Data deposito/pubblicazione
18/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/05/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28
marzo 1998 dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Nola nel procedimento penale a carico di Umberto
Chiacchio ed altri, iscritta al n. 446 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima
serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1999 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Nola, con ordinanza del 28 marzo 1998, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 289, comma 2, cod. proc. pen.,
nel testo modificato dall’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234
(Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso
d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura
penale);
che il rimettente è chiamato, nell’ambito di un procedimento
penale a carico di pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico
servizio per delitti di peculato e di falso documentale, a provvedere
sulla richiesta del pubblico ministero di applicazione di misure
cautelari personali coercitive (custodia cautelare in carcere,
arresti domiciliari) nei confronti di alcuni indagati;
che lo stesso rimettente ritiene che nel caso concreto, ai fini
della tutela dell’esigenza cautelare – che è ravvisabile nella
specie – di prevenzione rispetto alla possibile commissione di
ulteriori reati (art. 274, comma 1, lettera c), la misura cautelare
adeguata e proporzionata (alla stregua dei criteri posti dall’art.
275) sia quella interdittiva della sospensione dall’esercizio di un
pubblico ufficio o servizio, a norma dell’art. 289 cod. proc. pen;
che il suddetto art. 289, nel comma 2, come modificato dalla
legge n. 234 del 1997, dispone che “nel corso delle indagini
preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero
di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il
giudice procede all’interrogatorio dell’indagato, con le modalità
indicate agli articoli 64 e 65” del codice;
che tale prescrizione dell’interrogatorio, prima di disporre la
misura interdittiva in argomento, vale, ad avviso del rimettente, nel
solo caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto l’applicazione
della misura medesima, e non anche nel caso, che ricorre nella
specie, in cui il pubblico ministero abbia richiesto misure cautelari
solo di tipo coercitivo, ma il giudice ritenga di disporre quella di
tipo interdittivo;
che l’anzidetta limitazione dell’ambito di operatività
dell’interrogatorio, anteriormente all’applicazione della misura
della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio,
appare al giudice a quo in contrasto: a) con l’art. 3 della
Costituzione, per ingiustificata disparità di trattamento tra
indagati, sottoposti alla medesima misura interdittiva ma
interrogati, o non interrogati, in conseguenza del tipo di “domanda
cautelare” formulata da parte del pubblico ministero, e b) con l’art.
24 della Costituzione, potendo essere elusa la garanzia difensiva
costituita dall’interrogatorio in parola attraverso una richiesta di
misura coercitiva, e ciò benché poi si pervenga comunque
all’applicazione della misura interdittiva per decisione del giudice
per le indagini preliminari.
Considerato che il giudice rimettente, muovendo dal presupposto
secondo cui, di fronte a una richiesta del pubblico ministero di
applicazione di una misura cautelare coercitiva, il giudice per le
indagini preliminari possa disporre l’applicazione di una misura
cautelare interdittiva, e ritenendo altresì che l’impugnata
disposizione dell’art. 289, comma 2, cod. proc. pen., in tema di
previo interrogatorio, come modificato dalla legge n. 234 del 1997,
sia applicabile esclusivamente all’ipotesi – che in esso è
testualmente considerata – di una originaria richiesta di sospensione
dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, chiede a questa
Corte, attraverso una pronuncia di incostituzionalità, di estendere
l’anzidetta prescrizione dell’interrogatorio a ogni ipotesi in cui il
giudice per le indagini preliminari disponga l’applicazione della
citata misura interdittiva, indipendentemente dal tipo di richiesta
del pubblico ministero;
che, relativamente al primo e più generale presupposto
interpretativo circa la possibilità di disporre una misura
interdittiva in luogo di quella coercitiva, richiesta in via
esclusiva dal pubblico ministero, il rimettente si limita ad
affermare tale possibilità, facendo ripetuto richiamo alla
“gradualità” propria del procedimento applicativo delle misure
cautelari (art. 275 cod. proc. pen.);
che l’asserzione risulta peraltro apodittica, giacché si basa
esclusivamente su uno dei criteri di scelta delle misure cautelari,
criteri che, se valgono in via generale (capo I, titolo I, libro IV,
cod. proc. pen.) sia per la scelta tra quelle di tipo coercitivo
(capo II) sia per la scelta tra quelle di tipo interdittivo (capo
III), non implicano tuttavia necessariamente una “graduazione” tra i
due tipi di misure;
che, infatti, nonostante siano in parte accomunate sul piano del
procedimento di applicazione, le misure interdittive e quelle
coercitive presentano, nella disciplina del codice e nella ratio che
informa le relative direttive della legge-delega n. 81 del 1987 (art.
2, direttive nn. 59 e 64) numerosi e significativi elementi di
difformità (quanto a contenuto, durata, rimedi esperibili) che
delineano, tra esse, una differenza di ordine categoriale e
qualitativo, come si desume anche dall’art. 276, comma 1, secondo
periodo, cod. proc. pen;
che, rispetto a tale differenziazione sostanziale tra due
categorie di misure, del resto già sottolineata da questa Corte (v.
sentenza n. 5 del 1994), cui corrispondono distinti parametri
costituzionali di riferimento, come ad esempio il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione proprio per la misura ex
art. 289 cod. proc. pen. (v. sentenza n. 147 del 1996), e altresì
in mancanza di un puntuale orientamento giurisprudenziale nel senso
della piena fungibilità tra le misure medesime, la premessa
interpretativa della questione di costituzionalità riveste carattere
assertivo;
che, per questo primo profilo, è ravvisabile nell’ordinanza di
rimessione una insufficiente motivazione sulla rilevanza della
questione sollevata, giacché la richiesta del giudice rimettente, di
generalizzazione dell’interrogatorio, sta e cade insieme con la
possibilità, per lo stesso giudice, di determinarsi – di ufficio –
nel senso della interdizione, in luogo della – richiesta –
coercizione: possibilità, dunque, che è onere del giudice del
rinvio argomentare e motivare, ai fini del controllo sulla rilevanza
del dubbio di costituzionalità rispetto alla definizione del
giudizio principale (art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87);
che, relativamente all’ulteriore aspetto della impossibilità,
per il giudice, di svolgere l’interrogatorio previsto dalla norma
impugnata allorché egli si determini nel senso dell’applicazione
della misura interdittiva di cui all’art. 289 cod. proc. pen. a
fronte di una richiesta cautelare coercitiva da parte dell’accusa, si
deve rilevare comunque – e cioè indipendentemente dalla già detta
lacuna argomentativa quanto al profilo che precede – che,
prospettando l’incostituzionalità della norma, il rimettente ne
trascura ogni possibile interpretazione alternativa a quella che lo
porta a sollevare la questione di costituzionalità;
che in tal modo il giudice a quo è venuto meno all’onere di
ricercare, e privilegiare, le possibili ipotesi interpretative che
consentano di adeguare la disposizione di legge ai parametri che egli
invoca a sostegno del suo dubbio sulla costituzionalità della norma
impugnata;
che tale ricerca, come questa Corte ha numerose volte affermato,
è viceversa necessaria, poiché, in via di principio, “le leggi non
si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile
darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di
darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni
costituzionali” (sentenza n. 356 del 1996);
che l’interpretazione del rimettente risulta viceversa prescelta,
tra le possibili, appunto in vista del promovimento della questione
di costituzionalità;
che, pertanto, impropriamente il giudice rimettente richiede a
questa Corte una pronuncia che risolva i dubbi che egli nutre circa
la possibile contraddizione tra la norma così interpretata e la
Costituzione, essendo allo stesso giudice affidato primariamente il
compito – tanto più ineludibile, in assenza di un contrario
orientamento giurisprudenziale (v., da ultimo, ordinanza n. 167 del
1998) – di ricostruire il sistema normativo e di prescegliere, nella
misura del possibile e con gli strumenti interpretativi di cui
dispone, la lettura che eviti l’anzidetta contraddizione;
che sotto entrambi i profili la questione di costituzionalità
sollevata deve pertanto essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 289, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Nola, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola