Ordinanza N. 191 del 1972
Corte Costituzionale
Data generale
21/12/1972
Data deposito/pubblicazione
21/12/1972
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1972
COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI –
Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. GIULIO
GIONFRIDA, Giudici,
connesse del d.P.R. 15 maggio 1963, n. 858 (testo unico delle leggi sui
servizi della riscossione delle imposte dirette); degli artt. 206, 209,
terzo comma, e norme connesse del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo
unico delle leggi sulle imposte dirette); degli artt. 31, 35, 43 e
norme connesse del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare),
promosso con ordinanza emessa il 16 aprile 1970 dal pretore di Tivoli
nel procedimento civile vertente tra Del Fante Massimo e l’Esattoria
comunale di Guidonia, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 1970 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 2
settembre 1970.
Visti gli atti di costituzione di Del Fante Massimo e
dell’Esattoria comunale di Guidonia, nonché l’atto d’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 1972 il Giudice
relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l’avv. Dario Di Gravio, per il Del Fante, gli avvocati Arturo
Carlo Jemolo, Leopoldo e Augusto Ermetes, per l’Esattoria, ed il vice
avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 16 aprile 1970, pronunciata nel
giudizio vertente tra Massimo Del Fante e l’Esattoria comunale di
Guidonia, il pretore di Tivoli ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 56 e norme connesse del testo
unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette,
approvato con d.P.R. 13 maggio 1963, n. 858, “sull’aggio esattoriale a
carico dei contribuenti”, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 della
Costituzione; dell’art. 209, comma terzo, e norme connesse, del testo
unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645, “secondo cui nei procedimenti di esecuzione in
materia di imposte dirette, i soggetti indicati dal primo comma
dell’articolo 208, che si ritengano lesi dall’esecuzione esattoriale,
possono agire contro l’esattore, dopo il compimento dell’esecuzione
stessa, ai soli fini del risarcimento dei danni”, in riferimento agli
artt. 24 e 113 della Costituzione; e dell’art. 43 e norme connesse del
r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), che “impongono al fallito limitazioni alla
capacità di agire e la trasferiscono al curatore, organo non
imparziale nei confronti del fallito medesimo”, dell’art. 31 della
stessa legge “nella parte in cui subordina il libero esercizio della
difesa del fallito, spettante al curatore, all’autorizzazione del
giudice delegato”; e dell’art. 35 della stessa legge “nella parte in
cui non ammette gravame contro il decreto del tribunale per gli atti di
cui al primo comma dello stesso articolo, di valore indeterminato o
superiore a lire 200.000”, nonché dell’art. 206 del citato t.u. delle
leggi sulle imposte dirette che “consente l’espropriazione coattiva dei
beni, compresi nel fallimento, contro il fallito e non anche verso o
contro il curatore, unico e necessario contraddittore in rappresentanza
o in sostituzione del fallito e della massa dei creditori”, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Considerato che Massimo Del Fante, premesso di essere stato, in
proprio e quale amministratore e socio della S.n.c. “Del Fante Massimo
e Figli”, ammesso dal tribunale di Avezzano alla procedura di
concordato preventivo; di essere stato, successivamente, dichiarato
fallito prima dal tribunale di Roma e poi da quello di Avezzano, e di
avere proposto, avverso entrambe le sentenze di fallimento, regolamento
di competenza; e ritenuto che, per l’espresso dettato dell’art. 48
c.p.c., le procedure fallimentari dovevano considerarsi sospese e che
pertanto vigeva nei suoi confronti l’art. 168 del citato r.d. n. 267
del 1942, che dalla data di presentazione del ricorso per l’ammissione
alla procedura di concordato preventivo vieta ai creditori per titolo o
causa anteriore al decreto di ammissione, di iniziare o proseguire
azioni esecutive sul patrimonio del debitore; ha, con il ricorso
introduttivo del giudizio davanti al pretore di Tivoli, chiesto
l’interruzione o la sospensione, a sensi del detto art. 168, di due
procedure esecutive promosse contro di lui dall’Esattoria comunale di
Guidonia ed ha eccepito l’illegittimità costituzionale delle norme
sopra ricordate;
che l’Esattoria procedente, dal canto suo, ha chiesto il rigetto
dell’istanza, preliminarmente eccependo il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario in base agli artt. 208 e 209 del citato d.P.R. n. 645
del 1958, che negano al contribuente e ad altri soggetti l’esercizio
delle azioni di opposizione di cui agli artt. 615-618 del codice di
procedura civile;
che il pretore di Tivoli ha concesso con decreto la chiesta
sospensione, ma successivamente con ordinanza ha revocato il
provvedimento “per il dubbio che, allo stato, essendo il debitore
fallito, non ricorrerebbero i presupposti” voluti dal citato art. 168;
che, con l’ordinanza di rimessione degli atti a questa Corte, il
pretore ha ritenuto che nel giudizio davanti a lui pendente non era
stata proposta un’opposizione all’esecuzione ex articolo 615 c.p.c.,
né si controverteva sull’esistenza o meno del debito d’imposta, ma che
dal Del Fante era stata chiesta, in base all’art. 168 del r.d. n. 267
del 1942, l’interruzione o sospensione delle dette procedure esecutive
esattoriali ed era stata eccepita l’illegittimità costituzionale delle
sopra indicate norme, ed ha osservato, a quest’ultimo proposito, che la
rilevanza delle relative questioni, nel giudizio come sopra delineato,
“non poteva essere contestata sotto il profilo della preliminare
delibazione”;
che il pretore, in tal modo, si è limitato ad affermare che le
sollevate questioni fossero rilevanti, senza accertare la sussistenza,
nel caso sottoposto al suo giudizio, degli elementi di rilevanza in
relazione alle specifiche domande ed eccezioni delle parti, e senza
fornire alcuna motivazione circa le ragioni per le quali ha ritenuto
che il giudizio non potesse essere definito indipendentemente dalla
risoluzione delle questioni nei termini in cui esse venivano sollevate;
che, d’altra parte, il pretore non ha operato una sufficiente
individuazione ed indicazione dell’oggetto del giudizio e delle
posizioni giuridiche sostanziali e processuali delle parti, ed anzi,
attraverso la prospettazione delle questioni, denuncia di non avere, a
quel riguardo e allo stato, neppure un univoco orientamento, giacché,
da un lato, ha sollevato la questione concernente l’art. 56 e norme
connesse del t.u. della legge sui servizi di riscossione delle imposte
dirette, in un giudizio in cui, a suo stesso avviso, non era stato
contestato il diritto dell’Esattoria a procedere all’esecuzione forzata
e non si controverteva sul debito d’imposta (per cui per quella
questione si sarebbe potuto constatare l’assoluto difetto di
rilevanza), e dall’altro lato, a proposito di norme del t.u. sulle
imposte dirette e della legge fallimentare, la cui applicabilità alla
specie non avrebbe potuto non presupporre nel ricorrente la qualità di
imprenditore commerciale fallito, il pretore ha prospettato dubbi di
legittimità costituzionale in un giudizio in cui da parte del
ricorrente era stato invocato il riconoscimento della propria posizione
di ammesso alla procedura di concordato preventivo, con la conseguente
applicazione del ripetuto articolo 168 della legge fallimentare;
che, a cagione di codesti vizi dell’ordinanza, a questa Corte non
è dato di procedere, sulla scorta degli atti di causa, al controllo
dell’asserita pregiudizialità della risoluzione delle sollevate
questioni, e si rende, invece, necessario l’esame da parte del pretore
di Tivoli della specifica rilevanza nel processo a quo delle singole
questioni sottoposte al giudizio di questa Corte;
che, pertanto, ricorrono le condizioni perché vengano restituiti
gli atti al giudice a guo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al pretore di Tivoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1972.
GIUSEPPE CHIARELLI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE
MARCO – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI
– GIULIO GIONFRIDA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere