Ordinanza N. 195 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
13/06/2000
Data deposito/pubblicazione
13/06/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
07/06/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare RUPERTO,
Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del
testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado), promosso con
ordinanza emessa il 7 novembre 1996 dal Tribunale amministrativo
regionale della Campania sul ricorso proposto da Capriglione Anna
contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al
n. 73 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica – prima serie speciale – n. 8 dell’anno
1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da una preside di
Scuola media statale avverso il provvedimento con cui il provveditore
agli studi di Napoli aveva disposto, per raggiunti limiti di età, il
collocamento a riposo dell’interessata, con decorrenza dal
1° settembre 1996, l’adi’to Tribunale amministrativo regionale della
Campania, con ordinanza del 7 novembre 1996 (r.o. n. 73 del 1999), ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 509,
comma 5, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, per contrasto con gli
artt. 3, 4, 38, secondo comma, e 97, terzo comma – rectius: primo
comma – della Costituzione e con i principi della delega contenuta
nell’art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;
che, giova premettere, la ricorrente era in servizio di ruolo
alla data del 1° ottobre 1974 ed era stata destinataria del beneficio
del trattenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di
età previsto dall’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503; con
istanza del 1° settembre 1993 aveva chiesto di essere trattenuta in
servizio, fino e non oltre il compimento del settantesimo anno di
età, ai sensi dell’art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477;
che tale richiesta aveva dato luogo al provvedimento
impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale, motivato
essenzialmente sulla circostanza secondo cui l’interessata non
avrebbe titolo a fruire anche del beneficio da ultimo richiesto;
che il giudice a quo prende le mosse dal tenore dell’articolo
unico della legge 7 giugno 1951, n. 500 (per il personale direttivo e
docente degli istituti secondari e d’istruzione artistica di ogni
ordine e grado ove è previsto il collocamento a riposo al termine
dell’anno scolastico in cui compiono il settantesimo anno di età),
dall’art. 15, primo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 (con
unificazione sostanziale delle regole del rapporto di impiego in
tutte le categorie dei docenti statali, con la fissazione del termine
al 1° ottobre successivo alla data di compimento del
sessantacinquesimo anno di età per il collocamento a riposo) e dal
secondo e terzo comma dell’articolo anzidetto (con mantenimento in
servizio fino al compimento del settantesimo anno di età per coloro
che non avessero, alla data di cui al precedente comma, raggiunto il
massimo o il minimo richiesto per la pensione);
che l’ordinanza di rimessione ricostruisce la sopravvenuta
norma contenuta nell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 (con facoltà
per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non
economici di permanere in servizio, con decorrenza dalla data di
entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo
massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a
riposo) desumendone un mero diritto potestativo, con conseguente
nascita di obblighi specifici in capo al datore di lavoro, sia nel
caso in cui il dipendente abbia raggiunto il limite di età fissato
dalla legge, sia nel caso in cui il termine sia stabilito in anni
settanta, sia, infine, in relazione a situazioni inerenti al computo
del periodo lavorativo pensionabile, ove sia possibile, nel caso in
cui il limite di sessantacinque anni sia prorogato fino e comunque
non oltre i 70 anni, come sarebbe confermato anche dai principi di
delega fissati dall’art. 3, comma 1, della legge n. 421 del 1992
(salvaguardia dei diritti acquisiti dai lavoratori);
che nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con il
patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
la inammissibilità o la infondatezza della questione, tesi
sviluppata nella successiva memoria depositata nell’imminenza della
data fissata per la camera di consiglio.
Considerato che l’eccezione di inammissibilità sollevata
dall’Avvocatura generale dello Stato è superabile sulla base della
considerazione che il giudice a quo ha dato una motivazione
plausibile della rilevanza della questione sulla base della
considerazione che la ricorrente (nata il 17 marzo 1929) avesse
raggiunto il 1° settembre 1996 il limite (ordinario per la categoria)
per il collocamento a riposo e che l’interpretazione restrittiva
(accolta e motivamente fatta propria dal giudice a quo) del rapporto
tra comma 2 e 3 del denunciato art. 509 del d.lgs. 16 aprile 1994,
n. 297, intesa come diritto vivente in relazione alla costante
applicazione del giudice di appello, sarebbe decisiva e pregiudiziale
ai fini della definizione della domanda di sospensiva;
che, in sostanza, il giudice rimettente sostiene la
incostituzionalità dell’art. 509 citato “nella parte in cui non è
consentito al personale scolastico statale di fruire, oltreché dei
benefici ex art. 15, secondo comma, della legge 30 luglio 1973,
n. 477, anche della facoltà spettante a tutti gli impiegati civili
dello Stato e degli Enti pubblici non economici, ex art. 16 del
d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503”, per violazione degli artt. 3, 4, 38
e 97, primo comma, della Costituzione e dei principi della delega
contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;
che essenzialmente il giudice rimettente vuole pervenire alla
soluzione, per effetto della richiesta dichiarazione di
incostituzionalità in parte qua della norma denunciata, secondo cui
“il dies a quo per il computo del biennio” (di permanenza in
servizio, ex art. 16 del d.lgs n. 503 del 1992 e art. 509, comma 5,
del d.lgs n. 297 del 1994) “non sarà sic et simpliciter il
sessantacinquesimo anno d’età dell’interessato, bensì il giorno in
cui egli avrebbe dovuto essere collocato a riposo per effetto dei
benefici di trattenimento in servizio di cui ai commi 2 e 3 dello
stesso art. 509”;
che questa Corte ha già affermato, a proposito dell’art. 1
del d.lgs. n. 503 del 1992, che “la prosecuzione del rapporto di
impiego oltre il limite di età è stata configurata dal legislatore
come eccezione alla regola posta in tema di limiti di età per il
servizio … prevedendosi una prosecuzione del rapporto su domanda
dell’interessato “per un periodo massimo di un biennio” e che il
carattere eccezionale della disposizione non è incompatibile con le
disposizioni normative che prevedono la sussistenza di requisiti per
la continuazione del rapporto di pubblico impiego” e nello stesso
tempo non sussiste un principio fondamentale della legislazione
statale in ordine ad un preteso diritto incondizionato del dipendente
pubblico al mantenimento in servizio per un biennio (sentenza n. 162
del 1997);
che relativamente all’età pensionabile deve riconoscersi
un’ampia discrezionalità al legislatore, con il solo limite negativo
della manifesta arbitrarietà (sentenze nn. 422 del 1994 e 162 del
1997; ordinanza n. 380 del 1994) che qui non ricorre e, allo stesso
modo, con facoltà di deroghe, a fini assicurativi e previdenziali,
al limite massimo dell’attività lavorativa, a seconda delle
categorie (da ultimo, sentenza n. 327 del 1999);
che, sotto il profilo costituzionale, diversa deve essere la
valutazione rispetto al prolungamento del servizio attivo per il
conseguimento del minimo della pensione (ipotesi connessa con la
garanzia dei diritti previdenziali, completamente al di fuori della
fattispecie), rispetto alla pretesa di prolungare il servizio anche
quando si è in condizione di conseguire pienamente il diritto a
pensione ed anzi si mira al semplice prolungamento del servizio
attivo, senza alcun riflesso diretto sulla pensione in presenza di
periodo massimo (quaranta anni) suscettibile di valutazione
(l’Avvocatura sottolinea l’intento di rinunciare a periodi già
riscattati);
che questa Corte ha avuto occasione di affermare (da ultimo,
v. sentenza n. 227 del 1997) che i principi della legislazione
prevedono che il trattenimento in servizio oltre i limiti di età
stabiliti in via generale per determinati settori o per particolari
categorie di dipendenti, possa effettuarsi solo a domanda
dell’interessato e non di ufficio, e nei soli casi e per i periodi
previsti dal legislatore, che non è tenuto ad una estensione
generalizzata; che sul piano costituzionale il bene protetto è
rappresentato dal conseguimento della pensione al “minimo”, mentre
non gode eguale protezione il raggiungimento del trattamento
pensionistico massimo; e che in particolare la disciplina del
trattenimento in servizio, al di là del limite di età fissato per
il collocamento a riposo, rientra nella sfera discrezionale del
legislatore, sempre che non sia violato il canone di ragionevolezza;
che la facoltà di permanere in servizio per un biennio oltre
i limiti di età previsti per il collocamento a riposo (art. 509,
comma 5, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e art. 16 del d.lgs.
30 dicembre 1992, n. 503) si riferisce ad un biennio oltre i limiti
di età per il collocamento in pensione, previsti in via normale per
la determinata categoria di personale e non in riferimento ai limiti
derivanti da ulteriori benefici di proroga o di trattenimento in
servizio per conseguire il minimo pensionabile o il massimo del
servizio valutabile, come risulta evidente dalla formulazione della
norma che adotta l’espressione limite di età, con evidente
riferimento a quelli ordinari per ciascuna categoria e non a quelli
di prolungamento del servizio oltre i limiti in base a particolari
benefici previsti da altre disposizioni di favore;
che quanto alla pretesa violazione dell’art. 97, primo comma,
della Costituzione e dei principi della delega contenuta nell’art. 3,
comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, è sufficiente
osservare, ai fini della manifesta infondatezza, che la disposizione
denunciata è di carattere eccezionale soprattutto alla luce della
stessa delega, che – seppure introdotta con finalità di contenimento
della spesa pubblica in ordine a trattamenti di quiescenza e
previdenza – comporta tuttavia il carico del trattamento di servizio
attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori
(per la normale anzianità e livello del personale che abbia
raggiunto i limiti di età) rispetto a quelli connessi a nuove
assunzioni (per livelli e anzianità iniziale), peraltro meramente
eventuali anche in relazione a ricorrenti blocchi (sentenza n. 162
del 1997); che trattasi di disposizione non suscettibile di
interpretazione estensiva, che porterebbe ad aumentare il divario,
anche per i limiti di età, tra i sistemi pensionistici pubblici e
privati, che invece il legislatore delegante voleva contrastare,
nell’obiettivo finale di riordino e di sostanziale omogeneità; che
il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto dal
mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di
età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come
diritto potestativo assoluto, laddove il prolungarsi del servizio
oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza
organizzativa.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 509, comma 5, del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione
relative alle scuole di ogni ordine e grado) sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 4, 38, secondo comma, e 97, primo comma,
della Costituzione ed ai principi della delega contenuta nell’art. 3,
comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per
la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di
sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza
territoriale) dal Tribunale amministrativo regionale della Campania
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000.
Il direttore della cancelleria: Fruscella