Ordinanza N. 2 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
04/01/2001
Data deposito/pubblicazione
04/01/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/2000
Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
Giudici: Massimo VARI, Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, promossi
con ordinanze emesse il 29 ottobre e il 30 novembre 1999 dal
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania, sui ricorsi proposti dalla Federazione lavoratori della
funzione pubblica – Confederazione generale italiana del lavoro
(CGIL) ed altri contro la Provincia regionale di Messina e da Aprile
Silvana contro il comune di Catania ed altra, iscritte ai numeri 63 e
157 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 9 e 16, 1ª serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il giudice
relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
sezione staccata di Catania, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, “nella
parte in cui non devolve al giudice ordinario la giurisdizione in
ogni controversia riguardante il rapporto di lavoro contrattualizzato
o privatizzato alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, ivi
comprese quelle concernenti le procedure concorsuali per l’assunzione
(comma 4 del predetto art. 68), ed in cui comunque la valutazione
della legittimità di un atto sia connessa con questioni concernenti
il rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni,
attribuendo al giudice ordinario un generale potere di cognizione
piena e di annullamento degli atti presupposti illegittimi, ancorché
atti di organizzazione e non di gestione”;
che il rimettente – investito della impugnativa di una
deliberazione della giunta provinciale di Messina, avente ad oggetto
“Regolamento per il conferimento di incarichi di funzioni di
direzione, dirigenziali e di alta specializzazione, collaborazioni
esterne ad alto contenuto di professionalità per uffici di diretta
collaborazione con l’organo di governo” – assume di avere
giurisdizione in ordine ai soli motivi del ricorso involgenti i
tradizionali vizi di legittimità dell’atto amministrativo e di
dovere invece pervenire ratione materiae ad una pronuncia
declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, ai
sensi dell’art. 68 del decreto legislativo n. 29 del 1993, con
riferimento a tutti gli altri motivi;
che pertanto i ricorrenti, al fine di ottenere una pronuncia
di merito in ordine a tutti i profili dedotti, si troverebbero nella
necessità di adire successivamente anche il giudice ordinario;
che siffatta ripartizione della giurisdizione tra giudice
ordinario e giudice amministrativo, relativamente a talune tipologie
di controversie di lavoro dei dipendenti pubblici, sarebbe in
contrasto innanzitutto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della
violazione del principio di ragionevolezza che sotto quello della
violazione del principio di eguaglianza, per la disparità di
trattamento tra i dipendenti pubblici e quelli privati, essendo data
a questi ultimi, diversamente dai primi, la possibilità di ottenere
una completa tutela per la violazione delle proprie situazioni
soggettive attraverso il ricorso al solo giudice ordinario;
che sarebbe altresì leso, in danno dei dipendenti pubblici,
il diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., per
il possibile contrasto di giudicati conseguente alla duplicità di
giurisdizione e per l’aggravio nell’esperimento dei mezzi di tutela;
che il sistema potrebbe essere ricondotto a legittimità
solamente mediante la previsione di una giurisdizione esclusiva del
giudice ordinario in materia di lavoro, con l’attribuzione del potere
di annullamento degli atti presupposti illegittimi;
che il medesimo giudice, con ordinanza emessa il 30 novembre
1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della
stessa norma e nei medesimi termini di cui alla precedente ordinanza;
che in questo secondo giudizio il rimettente – chiamato a
decidere sulla impugnativa di un provvedimento di esclusione da un
concorso bandito dal comune di Catania, proposta da una concorrente
avente diritto alla speciale “riserva” prevista per il personale
interno con qualifica immediatamente inferiore – ritiene che siffatta
controversia non possa rientrare tra quelle “in materia di procedure
concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni” per le quali l’art. 68, comma 4, del decreto
legislativo n. 29 del 1993 prevede la giurisdizione del giudice
amministrativo, in quanto, rispetto alla concorrente interna in quota
di “riserva”, il concorso dovrebbe configurarsi come una procedura
non di assunzione ma di progressione in carriera e, dunque,
assumerebbe il valore di una vicenda modificativa del rapporto di
lavoro, in quanto tale attribuita alla giurisdizione del giudice
ordinario, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 68;
che, tuttavia, essendo prevista un’unica graduatoria per i
concorrenti in quota di “riserva” e per quelli esterni, l’esito
dell’impugnativa verrebbe inevitabilmente ad incidere anche sulla
posizione di questi ultimi, per i quali la procedura concorsuale è
invece sicuramente di assunzione, con attribuzione delle relative
controversie al giudice amministrativo;
che, pertanto, il rimettente ritiene di dover declinare la
giurisdizione, con riferimento alla domanda proposta dalla ricorrente
ed ai suoi riflessi nei confronti dei controinteressati
“riservatari”, e di dover invece decidere nel merito con riferimento
ai soli controinteressati “esterni”;
che è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o comunque di infondatezza delle questioni;
che – per quanto riguarda la prima ordinanza – ad avviso
dell’Avvocatura difetterebbe, in primo luogo, il requisito della
necessaria pregiudizialità della questione rispetto alla definizione
del giudizio principale, atteso che la questione stessa sarebbe
essenzialmente sollevata con riguardo alla posizione dei dipendenti
pubblici contrattualizzati mentre il ricorso sarebbe dallo stesso
rimettente ritenuto ammissibile, in relazione al contenuto dell’atto
impugnato, proprio in quanto proposto non da dipendenti in quanto
tali ma da organizzazioni sindacali e rappresentanti aziendali;
che, in ogni caso, non sussisterebbe, nel merito, alcuna
disparità di trattamento in danno dei dipendenti pubblici, né
menomazione o aggravio del loro diritto di difesa, in quanto la
giurisdizione del giudice ordinario riguarderebbe ogni tipo di
controversia di lavoro del personale contrattualizzato e sarebbe tale
da offrire, attraverso il potere di disapplicazione degli atti
amministrativi presupposti ritenuti illegittimi, una tutela
esaustiva;
che non sussisterebbe, d’altro canto, il prospettato rischio
di contrasto di giudicati, proprio in quanto, attraverso la
disapplicazione, il giudice ordinario conosce della legittimità
dell’atto amministrativo incidenter tantum, senza efficacia di
giudicato;
che, per quanto riguarda invece la seconda ordinanza, ad
avviso dell’Avvocatura la posizione soggettiva del candidato
“interno” rispetto allo svolgimento dell’unitaria procedura
concorsuale non differirebbe – diversamente da quanto il rimettente
assume – da quella del candidato “esterno”, essendo entrambi titolari
di una posizione di interesse legittimo, tutelabile dal giudice
amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità;
che, pertanto, nella specie non sussisterebbero i presupposti
per una pronuncia parzialmente declinatoria della giurisdizione,
essendo la cognizione della controversia interamente attribuita alla
giurisdizione del giudice adito.
Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima
norma, vanno riuniti per essere unitariamente decisi;
che, per quanto riguarda la prima delle due ordinanze, lo
stesso rimettente dà atto, nella disamina dei motivi di ricorso, che
taluni di quelli in ordine ai quali ritiene sussistere la
giurisdizione del giudice amministrativo investono l’intero
regolamento impugnato comportando, in caso di accoglimento,
l’annullamento dell’atto medesimo;
che, in tale ipotesi, resterebbe evidentemente esclusa la
necessità per i ricorrenti di adire successivamente anche il giudice
ordinario;
che la questione – in difetto di qualsiasi pur sommaria
valutazione in ordine alla eventuale infondatezza dei suddetti motivi
del ricorso – risulta, pertanto, sollevata in via meramente ipotetica
e va, per tale ragione, dichiarata manifestamente inammissibile;
che, per quanto riguarda la seconda ordinanza, appare palese
l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il
rimettente, secondo cui la procedura concorsuale di cui si tratta
avrebbe differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per
quelli esterni, trattandosi viceversa, sia per gli uni che per gli
altri, di una procedura concorsuale di assunzione nella qualifica
indicata nel bando;
che, pertanto, l’intera controversia deve ritenersi
attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 68, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993;
che la questione va, dunque, dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 68 del decreto legislativo 3
febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), e successive modificazioni, sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, dal tribunale amministrativo
regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza
emessa il 29 ottobre 1999;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 68 del predetto decreto
legislativo sollevata, sempre con riferimento agli artt. 3 e 24
Cost., dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione
staccata di Catania, con ordinanza emessa il 30 novembre 1999.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.
Il Presidente: Santosuosso
Il redattore: Marini
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 4 gennaio 2001.
Il cancelliere: Fruscella