Ordinanza N. 206 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
28/07/1976
Data deposito/pubblicazione
28/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
1, del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (Disciplina dei prezzi di beni di
largo consumo), convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, promosso con
ordinanza emessa il 10 gennaio 1976 dal pretore di Roma nel
procedimento civile vertente tra De Rossi Francesco e il Prefetto di
Roma, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 92 del 7 aprile 1976.
Visti gli atti di costituzione di De Rossi Francesco e del Prefetto
di Roma, nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 1976 il Giudice relatore
Guido Astuti;
uditi l’avv. Emilio Cappelli, per De Rossi Francesco, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Prefetto
di Roma e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il giudice a quo solleva, in riferimento allo art. 11
Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2,
n. 1, del decreto-legge 24 luglio 1973, n. 427, “Disciplina dei prezzi
di beni di largo consumo”, convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496,
assumendo che le disposizioni denunciate, con le quali fu disposto il
temporaneo blocco fino al 31 ottobre 1973 dei prezzi di vendita d’una
serie di beni di largo consumo, tra cui le “carni fresche di qualunque
specie animale” (comprese quindi le carni bovine vendute all’ingrosso:
cfr. artt. 2 e 13 del successivo decreto ministeriale 3 agosto 1973),
dovrebbero ritenersi incompatibili con il regolamento 27 giugno 1968,
n. 805, del Consiglio delle Comunità europee, relativo
all’organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine,
che avrebbe “privato in radice gli Stati membri del potere di
legiferare in materia di prezzi, restando affidati ai competenti
organismi comunitari anche gli interventi straordinari per far fronte a
situazioni congiunturali”; talché l’asserito contrasto con la
disciplina comunitaria determinerebbe l’incostituzionalità delle
disposizioni sopra ricordate, “nella parte in cui sottopongono a blocco
il prezzo di vendita all’ingrosso delle carni fresche bovine, in
contrasto con il regolamento 805/68 del Consiglio delle Comunità
europee, e quindi in violazione dell’art. 11 Cost.”.
Considerato che l’ordinanza di rimessione fà richiamo alla
giurisprudenza di questa Corte circa l’immediata efficacia dei
regolamenti comunitari, che, secondo il disposto dell’art. 189 del
Trattato di Roma, “sono obbligatori in tutti i loro elementi e
direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri”, e pertanto,
sempreché presentino completezza di contenuto dispositivo, non
richiedono né ammettono provvedimenti statali di recezione o
adattamento; ciò che comporta l’illegittimità delle norme interne di
attuazione o esecuzione aventi contenuto riproduttivo, integrativo o
modificativo, in quanto, sostituendosi alle disposizioni dei
regolamenti comunitari, violano i principi sanciti dal Trattato di
Roma, e quindi confliggono con l’art. 11 della Costituzione (cfr. le
sentenze n. 183/1973; 232/1975; 205/1976);
che peraltro la questione proposta dal giudice a quo si presenta in
termini parzialmente diversi, poiché il regolamento 27 giugno 1968 n.
805 del Consiglio delle C.E.E., istitutivo d’un mercato unico nel
settore delle carni bovine, è entrato puntualmente in vigore in Italia
come negli altri Stati della Comunità, ed è stato oggetto di regolare
applicazione anche nel nostro Paese dal 1968 al 1973, e d’altra parte
le disposizioni emanate con il decreto-legge n. 427 del 1973 non hanno
sostituito la normativa comunitaria sull’organizzazione comune di
mercato nel settore delle carni bovine – normativa sempre vigente e non
contestata nel suo complesso sistema -, ma sono state dettate
unicamente per fronteggiare una grave e contingente situazione del
mercato interno con un provvedimento a carattere temporaneo e limitato,
“ritenuta la straordinaria necessità e l’urgenza di disciplinare i
prezzi dei beni di largo consumo”;
che inoltre il provvedimento in questione non imponeva nuovi
prezzi, bensì manteneva fermi quelli praticati al 16 luglio 1973 in
conformità al regime comunitario; e non era sicuramente destinato a
sottrarre stabilmente il mercato interno al sistema introdotto con il
regolamento n. 805/1968, poiché anzi prevedeva espressamente che i
prezzi delle carni bovine potessero essere variati anche prima del 31
ottobre 1973, “in relazione alla normativa comunitaria sugli scambi tra
i Paesi membri e con i Paesi terzi” (art. 2, secondo e terzo comma: e
v. anche artt. 5-7);
che il giudice a quo afferma l’incompatibilità tra la disciplina
comunitaria e il disposto blocco del prezzo interno di vendita
all’ingrosso delle carni bovine fresche, facendo richiamo alle
statuizioni contenute nella sentenza 23 gennaio 1975 della Corte di
Giustizia delle Comunità, resa in causa n. 31/1974, sulla analoga
situazione verificatasi in rapporto ai regolamenti C.E.E. n. 120/67 e
136/66 relativi alla organizzazione comune dei mercati nei settori dei
cereali e dei grassi;
che in senso contrario l’Avvocatura dello Stato ha rilevato come la
ricordata sentenza – concernente fattispecie diverse e avente efficacia
limitata ad esse – abbia dichiarato l’inammissibilità di interventi
unilaterali degli Stati membri che siano “atti ad incidere sul normale
funzionamento del sistema di prezzi istituito dal regolamento”, ossia
soltanto nel caso in cui il regime interno di blocco, pregiudicando in
forma diretta o indiretta il commercio intracomunitario, “alteri il
processo di formazione dei prezzi previsto dall’organizzazione comune
di mercato”, sì da mettere in pericolo “gli obiettivi o il
funzionamento di detta organizzazione”, come la stessa Corte di
Giustizia ha dichiarato nella successiva sentenza 26 febbraio 1976
(cause riunite n. 88-90/1975), ciò che nel caso concreto non si
sarebbe potuto verificare, data la speciale e limitata portata del
provvedimento temporaneo di cui è causa;
che inoltre – secondo l’Avvocatura dello Stato – detto
provvedimento non potrebbe ritenersi emanato in assoluta carenza di
potere, per violazione della competenza esclusiva degli organi
comunitari ratione materiae, ma potrebbe in ipotesi far sorgere
soltanto un problema di scorretto esercizio del potere, di cui gli
Stati membri certo dispongono, di fronteggiare situazioni congiunturali
di emergenza del mercato interno dei generi alimentari di generale
consumo; talché non potrebbe prospettarsi una questione di
legittimità costituzionale per violazione dell’art. 11 della
Costituzione, ma semmai solo la eventualità di un procedimento ai
sensi degli artt. 169 e 170 del Trattato, che peraltro non risulta
essere stato promosso né dalla Commissione né da altro Stato membro;
che pertanto, di fronte al rilevato contrasto interpretativo circa
l’effettivo contenuto dispositivo e la sfera di applicazione del
regolamento C.E.E. n. 805/1968, – il cui accertamento, in via
definitiva, è riservato dall’art. 177 del Trattato di Roma alla
competenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee -, questa
Corte non può, allo stato, pronunciarsi sulla dedotta
incostituzionalità delle norme interne denunciate, la cui legittimità
è già stata riconosciuta, sotto altro profilo, dalla sentenza n. 200
del 10 luglio 1975, con espresso riguardo alla eccezionalità del
momento, alle alte finalità che il provvedimento perseguiva, e ai
temperamenti che le stesse norme prevedevano per limitare il blocco,
con la possibilità di variazione dei prezzi in relazione alle
disposizioni della C.E.E.;
che occorre quindi disporre la restituzione degli atti al giudice a
quo, perché riconsideri la questione alla stregua di quanto precede.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al pretore di Roma.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere