Ordinanza N. 226 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
08/06/1994
Data deposito/pubblicazione
08/06/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/05/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro
FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO;
risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con
modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359 promossi con
ordinanze emesse il 24 settembre 1993 dal Pretore di Verona ed il 10
maggio, 2 marzo, 16 giugno e 20 luglio 1993 dal Pretore di Venezia,
rispettivamente iscritte al n. 717 del registro ordinanze 1993 ed ai
nn. 13, 14, 60 e 61 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale,
dell’anno 1993 e nn. 6 e 10, prima serie speciale, dell’anno 1994;
Visti l’atto di costituzione della Confedilizia nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 13 aprile 1994 il Giudice
relatore Cesare Mirabelli;
Ritenuto che con ordinanza emessa il 24 settembre 1993 (R.O. n.
717 del 1993) nel corso di un procedimento per convalida di licenza
per finita locazione promosso da Camilla Pozzani ed Alfredo Berlendis
nei confronti di Mario Kozina, il Pretore di Verona ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, del
decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con
modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui
non prevede per il locatore che abbia la necessità di disporre
dell’immobile per adibirlo ad abitazione propria o dei familiari il
diritto di recedere dal rapporto alla scadenza convenzionale ovvero
nel corso della proroga legale;
che la norma denunciata stabilisce, per le locazioni in corso e
con scadenza successiva all’entrata in vigore della legge di
conversione del decreto, la proroga di diritto del contratto per due
anni, nel caso in cui “le parti non concordino sulla determinazione
del canone”;
che il giudice rimettente ricorda che la Corte, con la sentenza
n. 323 del 1993, ha dichiarato non fondata la medesima questione di
legittimità costituzionale, perché la disposizione denunciata,
interpretata secondo un criterio sistematico ed in conformità ai
principi enunciati dalla legislazione di settore, consente di
ritenere che la proroga può essere impedita quando ricorrano le
specifiche e comprovate esigenze del locatore, nei casi ed alle
condizioni previsti dalla legge;
che il giudice a quo, ritenendo di non poter pervenire
all’applicazione del recesso in via interpretativa, prospetta di
nuovo la questione di legittimità costituzionale nei sensi sopra
riportati;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale, rilevando che i dubbi prospettati dal giudice
rimettente trovano già risposta nella sentenza n. 323 del 1993;
che, inoltre, nel giudizio dinanzi alla Corte ha depositato atto
di costituzione la Confederazione italiana della proprietà edilizia
(Confedilizia), chiedendo che sia ritenuta ammissibile la sua
costituzione in giudizio e prendendo conclusioni anche nel merito;
che il Pretore di Venezia, con quattro ordinanze di identico
contenuto, emesse il 10 maggio 1993 (R.O. n. 13 del 1994), il 2 marzo
1993 (R.O. n. 14 del 1994), il 16 giugno 1993 (R.O. n. 60 del 1994)
ed il 20 luglio 1993 (R.O. n. 61 del 1994), ma pervenute alla Corte
successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 323 del 1993 (le
prime due il 10 gennaio 1994, le altre il 2 febbraio 1994), in
altrettanti giudizi di convalida di licenza per finita locazione per
scadenze contrattuali successive al 14 agosto 1992, ha sollevato, in
riferimento all’art. 42 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 333
del 1992;
che il giudice rimettente prospetta l’illegittimità della
disposizione legislativa nella sua interezza, perché essa
comprimerebbe in maniera indiscriminata il diritto di proprietà, non
correlando il limite imposto al diritto di godimento ad alcun
vantaggio per l’utilità generale, e sacrificherebbe unilateralmente
il locatore, impedendo una valorizzazione delle sue concrete
situazioni personali e patrimoniali;
che in tutti i giudizi, tranne in quello promosso dal Pretore di
Venezia con ordinanza emessa il 2 marzo 1993 (R.O. n. 14 del 1994),
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso, richiamando la sentenza n. 323 del 1993 di questa Corte,
per la manifesta infondatezza o inammissibilità delle questioni;
Considerato che i giudizi, prospettando questioni identiche e
connesse, relative alla stessa disposizione legislativa, possono
essere riuniti e vanno decisi congiuntamente;
che in via pregiudiziale deve essere dichiarata inammissibile la
costituzione della Confedilizia, intervenuta davanti al Pretore di
Verona dopo che era stata depositata, in data 24 settembre 1993,
l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale ed il
relativo giudizio era stato sospeso, non potendosi ritenere che in
capo ad essa sussista un interesse proprio e diretto a stare nel
giudizio incidentale di costituzionalità che sia sorto
dall’ordinanza di rimessione (sentenza n. 314 del 1992) con la quale
il Pretore di Verona ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale;
che la Corte, con la sentenza n. 323 del 1993, ha già esaminato
le questioni prospettate dai giudici rimettenti ed ha affermato che
la proroga biennale prevista dall’art. 11 del decreto-legge n. 333
del 1992 per i contratti di locazione con scadenza successiva
all’entrata in vigore della legge di conversione, se le parti, alla
prima scadenza del contratto, non concordino sulla determinazione del
canone, non è fine a sé stessa né è tale da configurare una
riedizione del regime vincolistico, ma risponde all’esigenza
eccezionale e transitoria di consentire, per un periodo di tempo
limitato e attraverso un meccanismo bilanciato, volto a secondare
l’accordo delle parti, un graduale passaggio ad un nuovo sistema,
caratterizzato dal tendenziale superamento del principio della
quantificazione legale del corrispettivo per le locazioni abitative
(ordinanze n. 354, 394, 469 del 1993 e 59 del 1994);
che la Corte ha inoltre rilevato come il sistema preveda
costantemente che ad un regime che impone la protrazione coattiva,
generale ed automatica del contratto si accompagni il rimedio della
sua anticipata cessazione in presenza della necessità del locatore
di disporre dell’immobile per sé o per i propri familiari. Tale
principio, enunciato dalla giurisprudenza costituzionale ed espresso
dalla legislazione di settore, ha assunto, nella comune
interpretazione adeguatrice (sentenza n. 132 del 1972), funzione di
bilanciamento dei contrapposti interessi, rimanendo sacrificati
quelli dei conduttori, altrimenti prevalenti, di fronte all’esigenza
del locatore-proprietario di ottenere la disponibilità dell’immobile
in caso di necessità (sentenza n. 22 del 1980);
che nello specifico contesto normativo e nel sistema in cui si
colloca la disposizione denunciata sono individuate le ipotesi che,
in presenza di patto in deroga, legittimano il diniego di
rinnovazione del contratto alla prima scadenza. Gli stessi casi
consentono di evitare la proroga biennale, garantendo, pertanto, al
locatore che ne abbia necessità di rientrare nella disponibilità
del bene;
che il giudice rimettente, nella ricognizione del contesto
normativo della disposizione, deve sempre e costantemente essere
guidato dall’esigenza di rispetto dei principi costituzionali e
quindi, ove un’interpretazione appaia confliggente con uno o più di
essi, è tenuto ad adottare una lettura diversa, maggiormente
aderente ai parametri costituzionali altrimenti vulnerati (sentenza
n. 149 del 1994), soprattutto quando, come nella specie, essa trovi
riscontro negli orientamenti giurisprudenziali formatisi
successivamente alla ricordata decisione della Corte;
che, pertanto, le questioni sollevate devono essere dichiarate
manifestamente infondate;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis,
del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica), convertito in legge, con
modificazioni, con la legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevate dai
Pretori di Verona e Venezia, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42
della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: MIRABELLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria l’8 giugno 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA