Ordinanza N. 230 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
03/07/1996
Data deposito/pubblicazione
03/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
4-ter del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il 2 maggio 1995 dal Pretore di Latina nel procedimento penale a
carico di Bonomo Fabrizio ed altro, iscritta al n. 436 del registro
ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 35, prima serie speciale, dell’anno 1995.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri.
Udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Pretore di Latina ha sollevato, con ordinanza del 2
maggio 1995, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299,
comma 4-ter cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 97 e 101
della Costituzione;
che il giudice rimettente premette che nel procedimento penale a
quo l’imputato, assoggettato alla misura della custodia cautelare in
carcere, ha presentato richiesta di revoca o sostituzione di detta
misura, e che sulla richiesta, contrastata dal parere contrario del
pubblico ministero, lo stesso Pretore assume di doversi pronunciare,
valutando la persistenza delle esigenze cautelari in vista delle
quali la misura è stata in precedenza disposta, “sulla sola base
delle prospettazioni delle parti” e “senza poter procedere ad
acquisire alcun elemento di valutazione”;
che, infatti – si osserva nell’ordinanza di rinvio -, al giudice
il quale non sia in grado di decidere allo stato degli atti è
consentito effettuare accertamenti d’ufficio solo in ipotesi
limitate, riguardanti le condizioni di salute o altre condizioni o
qualità personali dell’imputato; ipotesi, queste, previste appunto
dall’impugnato comma 4-ter dell’art. 299 cod. proc. pen., che è –
si precisa – norma di carattere eccezionale e pertanto insuscettibile
di interpretazione estensiva;
che, nell’accennata situazione, il Pretore rimettente, rilevando
di essere costretto all’alternativa tra l’adesione e la reiezione
della richiesta in base ai soli – inadeguati – elementi offerti dalle
parti, censura l’art. 299, comma 4-ter cod. proc. pen., “nella parte
in cui non consente al giudice di assumere elementi di valutazione
utili ai fini della decisione con modalità diverse da quelle ivi
indicate”, in riferimento: a) all’art. 3 della Costituzione, per la
disparità di trattamento che si verifica rispetto agli imputati per
i quali il giudice provvede, in tema di misure cautelari, nell’ambito
del giudizio direttissimo, nel quale è possibile per il giudice
acquisire d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod.
proc. pen.; b) all’art. 97 della Costituzione, perché ne viene
impedita la ricerca della verità sostanziale, obiettivo primario di
una corretta amministrazione della giustizia; c) all’art. 101 della
Costituzione, perché, infine, la norma limita il libero
apprezzamento giudiziale delle questioni dedotte dalle parti;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza della
questione.
Considerato che con la sollevata questione di costituzionalità il
Pretore rimettente lamenta la mancanza di una norma che preveda la
possibilità di integrare, con iniziativa d’ufficio, il materiale
probatorio utile ai fini della decisione incidentale in tema di
libertà personale che egli è chiamato a prendere;
che, quale oggetto della prospettazione, il Pretore individua la
disposizione dell’art. 299, comma 4-ter cod. proc. pen., previsione
questa che consente al giudice, in sede di incidente de libertate di
superare eventuali situazioni di “non-decidibilità” allo stato degli
atti relativamente – e limitatamente – a profili soggettivi
riguardanti l’imputato, quali le sue condizioni di salute o altre
condizioni e qualità inerenti la sua persona, come le condizioni
economiche o le prospettive lavorative;
che i suddetti profili, che non riguardano il merito
dell’indagine e del processo, risultano delimitati nel contenuto
all’interno del potere acquisitivo ex officio che è disciplinato in
modo coerente con la finalità della previsione, improntata a
speditezza e informalità degli accertamenti proprio perché priva di
interferenze con le regole di acquisizione istruttoria in senso
proprio;
che l’incremento dell’ambito applicativo della specifica
disposizione impugnata è viceversa esplicitamente richiesto,
nell’ordinanza di rinvio, con riguardo ad elementi concernenti la
valutazione della persistente sussistenza delle esigenze cautelari, e
dunque coinvolge aspetti astrattamente collegati, sia sul piano della
cautela a fini probatori che sul piano delle valutazioni di
pericolosità e di pericolo di fuga (art. 274, primo comma, lettere
a), b) e c) cod. proc. pen.), al materiale acquisito al processo e
disponibile dal giudice;
che la questione così delineata non è d’altra parte sorretta da
alcuna indicazione circa la natura o la tipologia degli elementi la
cui mancanza precluderebbe nel giudizio a quo al rimettente una
adeguata decisione in luogo dell’alternativa tra accoglimento e
reiezione di meri enunciati di parte;
che, in particolare, non vale a colmare l’anzidetta lacuna
argomentativa il riferimento finalistico all’accertamento sulla
sussistenza delle esigenze cautelari, il cui rilievo e il cui
immanente controllo ad opera del giudice è offerto, come si è
detto, dagli elementi che vengono acquisiti nel processo, i quali
logicamente non sono ritenuti dal giudice a quo idonei a soddisfare
l’esigenza per la quale è stata sollevata la questione;
che il rilievo sopra formulato assume ulteriore incidenza alla
luce del dato, desumibile dall’ordinanza di rinvio – là dove
menziona la mancanza di acquisizione successiva “al giudizio”,
nonché, indirettamente, nel riferimento quale tertium comparationis
al potere di integrazione probatoria in dibattimento, ex art. 507
cod. proc. pen. -, della intervenuta conclusione del giudizio di
merito (di primo grado), e quindi della ampia utilizzabilità
dell’intero materiale probatorio raccolto, da parte del giudice
competente in ragione dello stato del processo ex art. 91 disp. att.
cod. proc. pen.; un’ampiezza che, reciprocamente, restringe l’area
degli elementi ipoteticamente mancanti;
che, in conclusione, la prospettazione dell’ordinanza di
rimessione è priva di indicazioni sull’ambito e sul contenuto degli
elementi, probatori e informativi, diversi da quelli già
utilizzabili ovvero forniti dalle parti che si assumono mancanti e
necessari ai fini della valutazione circa le esigenze cautelari, ed
è quindi inidonea a dare ingresso al controllo di costituzionalità
della norma impugnata, difettando il requisito della motivazione
sulla rilevanza, necessario per la verifica della pregiudizialità
del quesito (v., da ultimo, sent. n. 179 e ord. n. 168 del 1996);
che, di conseguenza, la questione deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 4-ter del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101
della Costituzione, dal Pretore di Latina, con l’ordinanza indicata
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.
Il cancelliere: Fruscella