Ordinanza N. 269 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
23/06/1999
Data deposito/pubblicazione
23/06/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/06/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
10, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
26 ottobre 1998 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 140 del
registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il giudice
relatore Valerio Onida.
Ritenuto che la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con
ordinanza emessa il 26 ottobre 1998, pervenuta a questa Corte il 24
febbraio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale,
in riferimento agli articoli 13 e 24 della Costituzione, dell’art.
309, commi 5 e 10, cod. proc. pen. (Riesame delle ordinanze che
dispongono una misura coercitiva), nella parte in cui non prevede un
termine perentorio per l’inoltro all’autorità giudiziaria procedente
dell’avviso relativo alla presentata richiesta di riesame;
che la Corte remittente premette di non poter condividere
l’interpretazione dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. offerta da
questa Corte nella sentenza n. 232 del 1998, secondo la quale il
termine di cinque giorni stabilito per la trasmissione degli atti al
tribunale del riesame decorre dal momento in cui la richiesta di
riesame perviene alla cancelleria del medesimo tribunale, e non dal
momento in cui all’autorità procedente perviene l’avviso della
avvenuta presentazione di tale richiesta;
che il giudice a quo ritiene che l’esistenza di una fase,
nell’ambito del procedimento di riesame – quella cioè intercorrente
fra la presentazione della richiesta di riesame e la ricezione da
parte dell’autorità procedente dell’avviso relativo – non assistita,
quanto ai tempi di adempimento, da sanzione processuale, appaia in
contrasto con gli articoli 13 e 24 della Costituzione, perché
pregiudicherebbe il diritto ad una difesa efficace e tempestiva in
materia di libertà personale;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
riportandosi all’atto di intervento già depositato nel giudizio,
avente lo stesso oggetto, promosso con la ordinanza della stessa
Corte di cassazione emessa in data 9 giugno 1997, iscritta al n. 674
del registro ordinanze del 1997 – e definito con la sentenza di
questa Corte n. 232 del 1998 – in cui si chiedeva di dichiarare
infondata la questione.
Considerato che questa Corte, investita di identica questione, la
ha dichiarata, con la sentenza n. 232 del 1998, non fondata sulla
base di una ricostruzione del sistema normativo in esame, alla luce
dei principi costituzionali relativi alla garanzia giurisdizionale in
materia di libertà personale, nel senso che il termine perentorio di
cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame
decorre dal momento in cui perviene, alla cancelleria del medesimo,
la richiesta di riesame, e che dunque entro tale termine si deve
collocare anche l'”immediato avviso” che deve esserne dato
all’autorità procedente affinché essa provveda alla tempestiva
trasmissione degli atti;
che il collegio remittente dichiara di non condividere detta
interpretazione, riproponendo pertanto la questione sulla base di una
diversa ricostruzione del sistema, che condurrebbe tuttavia, secondo
lo stesso giudice a quo a ritenere violati i principi costituzionali
evocati, per la mancanza di una sanzione processuale che assista la
fase della trasmissione all’autorità procedente dell’avviso della
avvenuta presentazione della richiesta di riesame;
che peraltro, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di
rimessione, le sezioni unite della stessa Corte di cassazione, cui la
questione interpretativa era stata rimessa da un’altra sezione, hanno
invece accolto, con la sentenza 18 gennaio 1999, n. 25,
l’interpretazione adottata da questa Corte nella sentenza n. 232 del
1998, rilevando come essa sia stata esplicitamente dichiarata l’unica
compatibile con i principi costituzionali, e sia stata adottata sulla
base della consolidata premessa per cui, tra più possibili
interpretazioni della norma, occorre dare la preferenza a quella
conforme a Costituzione;
che pertanto, dopo la predetta pronuncia delle sezioni unite
della Corte di cassazione, la controversia interpretativa sul dies a
quo della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti al
tribunale del riesame può ritenersi, allo stato, risolta nel senso
dell’accoglimento dell’interpretazione adottata da questa Corte, alla
cui luce la questione ora nuovamente sollevata risulta manifestamente
non fondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli articoli 13 e 24 della
Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola