Ordinanza N. 271 del 1990
Corte Costituzionale
Data generale
25/05/1990
Data deposito/pubblicazione
25/05/1990
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/05/1990
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
quinto del regio-decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con
l’ordinanza emessa il 31 maggio 1989 dalla Corte d’appello di Milano
nel procedimento civile vertente tra la s.p.a Manifacturers Hanover
Finanziaria e il Fallimento s.r.l. Ettore Radaelli e Figli, iscritta
al n. 61 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale dell’anno 1990;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1990 il Giudice
relatore Aldo Corasaniti;
Ritenuto che la Corte d’appello di Milano, nel giudizio di appello
promosso dalla Manifacturers Hanover S.p.a. avverso sentenza di
rigetto di opposizione a stato passivo di fallimento, rilevato che
l’impugnazione era stata proposta oltre il termine di quindici giorni
previsto dall’art. 99, quinto comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
ha sollevato, con ordinanza emessa il 3 maggio 1989, questione di
legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, della suindicata disposizione;
che il giudice a quo, dopo aver premesso che, per costante
giurisprudenza, l’appello avverso le sentenze pronunciate nei giudizi
di dichiarazione tardiva del credito, ex art. 101 del r.d. n. 267 del
1942, è soggetto al termine ordinario di trenta giorni previsto dal
codice di procedura civile, e non al termine di quindici giorni
previsto dall’art. 99 per l’appello avverso le sentenze rese in
materia di opposizione allo stato passivo formato a seguito di
tempestive domande di ammissione, osserva che, essendo identica,
nelle due ipotesi, l’esigenza di celerità in ordine all’accertamento
del passivo, non appare ragionevole una diversa regolamentazione dei
termini per impugnare, dalla quale consegue un trattamento
inspiegabilmente deteriore per chi ha tempestivamente proposto
domanda di ammissione al passivo, rispetto a chi ha proposto domanda
tardiva di insinuazione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, contestando la
fondatezza della questione;
Considerato che l’opposizione allo stato passivo e l’insinuazione
tardiva sono, secondo la più recente giurisprudenza, istituti
nettamente differenziati sul piano funzionale e strutturale, e che,
in particolare, le esigenze di celerità e di urgenza che
caratterizzano i giudizi di opposizione allo stato passivo (che
tendono a far partecipare alla ripartizione dell’attivo sia i
creditori ammessi dal giudice delegato che quelli ammessi in sede
contenziosa), sono meno avvertite in tema di domande di insinuazione
tardiva (che possono essere proposte fino a che non siano esaurite
tutte le operazioni di ripartizione dell’attivo, e che consentono ai
creditori, se accolte, solo la partecipazione alle ripartizioni
successive alla loro ammissione);
che, d’altra parte, l’esigenza di celerità, se ricorresse anche
nei giudizi di insinuazione tardiva, potrebbe semmai valere al fine
di estendere a questi il termine abbreviato per impugnare previsto
per i giudizi di opposizione, e non già al fine inverso, che il
giudice a quo vorrebbe realizzato (cfr. la sentenza n. 1045 del 1988
di questa Corte, la quale, ravvisando una analogia funzionale tra i
due istituti, ha ritenuto giustificata l’estensione – derivante da
consolidata interpretazione giurisprudenziale – della disciplina
sulla decadenza della domanda di opposizione allo stato passivo,
dettata dall’art. 98 l.f., alla domanda di insinuazione tardiva di
cui all’art. 101 l.f.);
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,
dell’art. 99, comma quinto, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della
amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa), sollevata dalla Corte d’appello di Milano con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CORASANITI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 25 maggio 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI