Ordinanza N. 276 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1996
Data deposito/pubblicazione
22/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
penale (Condizioni per la riabilitazione), promossi con due ordinanze
emesse il 18 aprile 1995 e il 21 marzo 1995 dal Tribunale di
sorveglianza di Lecce nei procedimenti attivati da Schiavone Raffaele
e Mastromarini Giovanni, iscritte ai nn. 686 e 687 del registro
ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1995;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il giudice
relatore Valerio Onida;
Ritenuto che, con due ordinanze emesse rispettivamente il 21 marzo
1995 (r.o. n. 687 del 1995) e il 18 aprile 1995 (r.o. n. 686 del
1995), il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dell’art. 179 del codice penale (Condizioni per la
riabilitazione) “nella parte in cui prevede che il termine per
proporre istanza di riabilitazione decorra dal giorno in cui la pena
è stata eseguita senza distinguere tra pena detentiva e pena
pecuniaria e senza dare rilevanza ai motivi per cui la pena non è
stata tempestivamente eseguita”;
che secondo il remittente le stesse considerazioni, che hanno a
suo tempo condotto alla dichiarazione di incostituzionalità della
norma che prevedeva la conversione della pena pecuniaria non pagata
in pena detentiva (art. 136 cod. pen.), condurrebbero anche a
dubitare della legittimità costituzionale della norma che fissa il
termine per proporre istanza di riabilitazione con riferimento al
giorno “in cui la pena principale sia stata eseguita”, senza
distinguere tra pena detentiva e pena pecuniaria e senza consentire
la valutazione dei motivi della ritardata o mancata esecuzione;
che – osserva il remittente – a seguito della conversione delle
pene pecuniarie non pagate in sanzioni sostitutive, e soprattutto
dopo che l’art. 660, terzo comma, del codice di procedura penale ha
previsto la possibilità di rateizzare il pagamento della pena
pecuniaria e di differirne la conversione, la completa esecuzione
delle pene pecuniarie può verificarsi a notevole distanza di tempo
dal momento in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile o
il condannato ha finito di scontare la pena detentiva; e che per le
pene eseguibili nel periodo intermedio fra la intervenuta
dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 136 del cod. pen. e
l’entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689 – come
accade nel caso cui si riferisce l’ordinanza n. 686 del 1995 –
l’esecuzione della pena pecuniaria e conseguentemente anche il
termine per chiedere la riabilitazione potrebbero, secondo il
remittente, essere ritardati all’infinito;
che, sempre secondo il remittente, la disparità di trattamento
che deriverebbe dalle diverse condizioni economiche dei condannati
non sarebbe giustificata né conforme all’art. 3 della Costituzione;
che nel giudizio promosso con l’ordinanza n. 687 è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che la questione
sia dichiarata inammissibile e, comunque, manifestamente infondata;
che, in particolare, la questione sollevata sarebbe, a parere
dell’interveniente, inammissibile per irrilevanza, in quanto, avendo
la seconda delle due condanne applicato la norma sulla recidiva
specifica, sarebbe applicabile, ai fini dell’istanza di
riabilitazione, non già il termine ordinario quinquennale, bensì
quello decennale previsto nei casi di recidiva specifica (art. 179,
secondo comma, cod. pen.), termine nella specie non ancora decorso
dalla data di irrevocabilità della seconda sentenza di condanna;
sarebbe altresì inammissibile perché si chiederebbe, ai fini della
individuazione del dies a quo, una pronuncia additiva in un ambito
rimesso alla discrezionalità legislativa;
che la questione, sempre secondo l’interveniente, sarebbe
comunque infondata poiché l’ordinamento tiene già conto delle
condizioni economiche del condannato, sia ai fini della
quantificazione della pena pecuniaria sia nella fase del pagamento,
agevolandolo nella espiazione della pena, sicché il riconoscimento
al condannato di ulteriori vantaggi non sarebbe giustificato né
conforme al canone della ragionevolezza.
Considerato, preliminarmente, che i due giudizi, aventi identico
oggetto, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
che la questione sollevata con l’ordinanza n. 687 deve
dichiararsi manifestamente inammissibile per irrilevanza: infatti
risulta dalla stessa ordinanza che il condannato era gravato da una
seconda condanna con applicazione della norma sulla recidiva
specifica (art. 99, secondo comma, cod. pen), dal cui passaggio in
giudicato non era ancora decorso il termine decennale previsto
dall’art. 179, secondo comma, cod. pen. per la proposizione
dell’istanza di riabilitazione;
che la questione sollevata con l’ordinanza n. 686, relativa ad un
caso di pena pecuniaria non soggetta a conversione perché applicata
ad un reato commesso dopo la pronuncia di incostituzionalità
dell’art. 136 cod. pen. (sentenza n. 131 del 1979) ma prima
dell’entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, appare
manifestamente infondata perché è errata la premessa interpretativa
da cui muove il giudice remittente: infatti l’art. 111, secondo
comma, di tale legge prevede che la pena della multa inflitta per
reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge medesima si
estingua col decorso del termine di dieci anni dalla predetta data o
dal passaggio in giudicato della sentenza, se successivo; e dunque
non è vero che l’esecuzione della pena – e conseguentemente il
termine per chiedere la riabilitazione – possa essere ritardata
all’infinito;
che, nel caso di mancata esecuzione della pena pecuniaria, la
ritardata decorrenza del termine per chiedere la riabilitazione, in
relazione al periodo di tempo necessario per l’estinzione della pena,
non dà luogo ad una irragionevole disparità di trattamento rispetto
al caso in cui la pena pecuniaria sia eseguita, corrispondendo ad una
situazione obiettivamente diversa.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 179 del codice penale
sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di sorveglianza di Lecce con l’ordinanza r.o. n. 687 del
1995, indicata in epigrafe;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 179 del codice penale
sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di sorveglianza di Lecce con l’ordinanza r.o. n. 686 del
1995, indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola