Ordinanza N. 284 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1996
Data deposito/pubblicazione
22/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il 22 febbraio 1996 dal pretore di Rovereto nel procedimento penale a
carico di Smederevac Djordje ed altro, iscritta al n. 375 del
registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
Ritenuto che il pretore di Rovereto, con ordinanza del 22 febbraio
1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.
34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui
non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato,
derivante da giudizio direttissimo, del pretore che, all’esito del
giudizio di convalida dell’arresto, abbia disposto una misura
cautelare personale nei confronti dell’imputato, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione;
che, richiamando la sentenza n. 432 del 1995 di questa Corte, il
giudice rimettente ravvisa nell’anzidetta ipotesi sia una violazione
del principio di imparzialità del giudice chiamato a celebrare il
giudizio, perché condizionato dalla prevenzione espressa in sede di
applicazione della misura cautelare, disposta in base al medesimo
materiale probatorio che il giudice è chiamato a valutare ai fini
della decisione di merito, sia una lesione del principio di
eguaglianza per la disparità che ne deriverebbe tra gli imputati
giudicati da un giudice “prevenuto” e gli altri;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata per le
considerazioni svolte in altro atto di intervento.
Considerato che la norma impugnata è già stata sottoposta
all’esame di questa Corte, per il profilo ora in esame;
che, in particolare, con la sentenza n. 177 del 1996 è stata
dichiarata non fondata analoga questione, sul rilievo che, nel
giudizio direttissimo, al giudice competente per il merito sono
devoluti sia la convalida e il contestuale giudizio sia la competenza
a disporre ogni altro provvedimento cautelare nell’ambito del
giudizio medesimo, e che in tale assetto non è configurabile una
menomazione dell’imparzialità del giudice, chiamato semplicemente ad
adottare decisioni preordinate al giudizio o incidentali rispetto ad
esso;
che l’anzidetta decisione rappresenta, in rapporto al caso
dedotto, una specificazione del più generale enunciato di questa
Corte, secondo il quale, perché possa darsi una relazione tra
distinte funzioni rilevante ai fini dell’insorgere
dell’incompatibilità, occorre che esse appartengano a fasi diverse
del processo, pena la frammentazione del procedimento con l’aberrante
conseguenza di dover disporre, per ogni atto da compiere, di un
giudice diverso dal precedente (sentenze nn. 155 e 131 del 1996; n.
448 del 1995; n. 124 del 1992);
che la variante della questione ora in esame, rappresentata dalla
trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, non
assume incidenza rispetto ai rilievi svolti, perché questi
concernono i presupposti dell’incompatibilità del giudice alla
funzione del “giudizio”, cioè alla valutazione conclusiva sul merito
dell’accusa, indipendentemente dalla particolare tipologia del rito
(ordinario; abbreviato; direttissimo; di applicazione della pena
concordata) nel quale detta valutazione viene effettuata;
che pertanto, in base alle osservazioni esposte, la questione
sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del codice di procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal pretore di Rovereto, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola