Ordinanza N. 291 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1996
Data deposito/pubblicazione
22/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1995 dal
pretore di Vicenza, sezione distaccata di Schio, sul ricorso proposto
da Galluzzo Carmela contro Santomio S.p.a., iscritta al n. 356 del
registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il giudice
relatore Luigi Mengoni;
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da Carmela Galluzzo
contro la S.p.a. Santomio per ottenere l’annullamento del
licenziamento intimatole e la reintegrazione nel posto di lavoro, non
avendo la ricorrente aderito alla revoca del licenziamento e
dichiarato, invece, di optare per l’indennità sostitutiva della
reintegrazione, il Pretore di Vicenza, sezione distaccata di Schio,
con ordinanza del 15 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio
1970, n. 300, nel testo modificato dall’art. 1 della legge 11 maggio
1990, n. 108, “nella parte in cui prevede l’incondizionata facoltà
del lavoratore di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici
mensilità di retribuzione globale di fatto”;
che, ad avviso del giudice rimettente, il diritto all’indennità
sostitutiva sorge per effetto del licenziamento illegittimo, non
della sentenza che accerta l’illegittimità e dispone la
reintegrazione, sicché ordine di reintegrazione e indennità
sostitutiva sarebbero “due istituti assolutamente disomogenei e tra
loro sostanzialmente scissi”, la seconda avendo funzione risarcitoria
di un danno presunto iuris et de iure non una funzione di
rafforzamento del primo;
che, pertanto, il diritto all’indennità dovrebbe essere limitato
al caso in cui il datore di lavoro non ottemperi all’ordine di
reintegrazione, anziché configurato “come potestà rimessa
all’esclusiva volizione del lavoratore, assolutamente prevalente
rispetto all’eventuale invito del datore a riprendere servizio, e
quindi come una forma in ultima analisi aggiuntiva di risarcimento
rimessa alla decisione insindacabile del lavoratore”;
che tale tutela, “potenzialmente esorbitante rispetto
all’esigenza astratta di riequilibrare gli interessi in gioco”, se
confrontata con quella accordata ai dipendenti delle piccole imprese
dall’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 2 della legge
n. 108 del 1990), appare in contrasto con i princìpi di eguaglianza
e di ragionevolezza;
che inoltre risulterebbe violato anche il principio di libertà
di iniziativa economica per l’onere sproporzionato imposto agli
equilibri finanziari delle imprese soggette alla disciplina
impugnata;
Considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte
(sentenza n. 81 del 1992; ordinanze nn. 160 del 1992 e 77 del 1996),
l’indennità di cui si controverte non ha una funzione di
risarcimento aggiuntivo a quello previsto dal precedente quarto
comma, ma, in connessione col diritto alla reintegrazione nel posto
di lavoro, si inserisce in un rapporto obbligatorio avente la
struttura di un’obbligazione con facoltà alternativa dal lato del
creditore, essendo attribuita al prestatore la facoltà insindacabile
di “monetizzare” il diritto alla reintegrazione in una prestazione
pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilità di
retribuzione;
che tale facoltà non può essere arbitrariamente vanificata dal
datore di lavoro revocando il licenziamento in corso di giudizio allo
scopo di impedire la pronuncia dell’ordine di reintegrazione, che è
il presupposto di esercizio della facoltà medesima: dal
“considerato” precedente discende, invece, il corollario (conforme
alla giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. sentenza n. 13047
del 1995) che la revoca dell’atto di licenziamento e l’invito a
riprendere il lavoro impediscono la pronuncia dell’ordine giudiziale
di reintegrazione e conseguentemente la scelta dell’indennità
sostitutiva solo se accettati dal lavoratore, espressamente o
tacitamente col ritorno in servizio;
che il medesimo argomento con cui la sentenza n. 81 del 1992 ha
escluso la censurabilità della norma, così interpretata, sotto il
profilo del principio di razionalità vale ad escluderla anche se
tale principio sia evocato in correlazione con l’art. 41 Cost.,
mentre, ai fini del principio di eguaglianza, la posizione delle
imprese incluse nell’area della “tutela reale” dei lavoratori contro
i licenziamenti non può essere confrontata con quella delle imprese
incluse nell’area della “tutela obbligatoria”, trattandosi di
posizioni differenziate dalla legge secondo il criterio della
dimensione dell’impresa più volte ritenuto giustificato da questa
Corte (cfr., da ultimo, sentenza n. 44 del 1996);
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio
1970, n.300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo modificato
dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei
licenziamenti individuali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
41 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, sezione distaccata di
Schio con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Mengoni
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola