Ordinanza N. 294 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1996
Data deposito/pubblicazione
22/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE;
28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie), promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1995 dal
pretore di Foggia nel procedimento penale a carico di Moffa Michele,
iscritta al n. 526 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale,
dell’anno 1995;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 17 aprile 1996 il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
Ritenuto che Michele Moffa, condannato, con sentenza emessa in data
2 marzo 1992, alla pena di dieci giorni di arresto e di lire
ottomilioni di ammenda per una serie di violazioni edilizie,
unificate insieme ad altri reati di altra natura, ai sensi dell’art.
81 cpv., cod. pen., otteneva, in data 14 febbraio 1994, dopo il
passaggio in giudicato della sentenza, la concessione edilizia in
sanatoria e richiedeva al pretore di Foggia, in qualità di giudice
dell’esecuzione, la pronuncia di estinzione dei reati a norma
dell’art. 22 della legge n. 47 del 1985;
che il pretore di Foggia, con ordinanza emessa il 25 maggio 1995,
rilevato che l’art. 22 citato individua nel rilascio in sanatoria
della concessione edilizia una causa estintiva dei reati
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, cui
viene attribuita rilevanza giuridica prima che intervenga sentenza
irrevocabile di condanna, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dello stesso art. 22 nella parte in cui non prevede la
estinzione dei reati anche in caso di condanna con sentenza passata
in giudicato, facendone cessare l’esecuzione e gli effetti penali;
che la disposizione de qua si porrebbe in contrasto con gli artt.
3 e 24 della Costituzione sotto il profilo della disparità di
trattamento e della restrizione del diritto di difesa rispetto alle
ipotesi in cui le cause di estinzione del reato spiegano efficacia
anche nei confronti della cosa giudicata, nonostante la eadem ratio
della causa estintiva, collegata in entrambi i casi ad un evento che
fa venir meno il disvalore giuridico della fattispecie criminosa;
che nell’ordinanza di rimessione si afferma, sotto il profilo
della rilevanza, che, se è vero che l’estinzione investe le sole
contravvenzioni urbanistiche e non anche i concorrenti reati di altra
natura per i quali il Moffa aveva riportato la condanna (quali le
violazioni di cui all’art. 650 cod. pen. e della legge antisismica),
e che il giudice, con la sentenza in esame, aveva unificato tutti i
reati contestati sotto il vincolo della continuazione, è pur vero
che, ai fini dell’applicazione della causa estintiva, non sussistono
impedimenti normativi al frazionamento del reato continuato nei vari
episodi criminosi;
che se poi ciò fosse ritenuto inammissibile in presenza della
cosa giudicata, si porrebbe, secondo il giudice rimettente, il
problema della legittimità costituzionale della disciplina
impeditiva;
che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della
questione, versandosi in materia riservata alla discrezionalità
legislativa e, comunque, per la infondatezza;
Considerato che il legislatore, con l’art. 22, terzo comma, della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, ha adottato una formulazione degli
effetti estintivi, sui reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti, derivanti dal rilascio delle concessioni in
sanatoria così detta ordinaria (accertamento di conformità: art.
13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47), che non prevede, in mancanza
di espressa dizione (che coinvolga l’esecuzione e gli effetti penali
delle sentenze irrevocabili di condanna già pronunciate),
l’estensione degli stessi effetti sul giudicato già formatosi (cfr.,
per fattispecie analoga riferita agli artt. 38, primo e terzo comma,
e 44 della legge n. 47 del 1985, la sentenza n. 369 del 1988);
che la anzidetta norma, con questa interpretazione, adottata dal
giudice a quo conformemente al diritto vivente, certamente non si
pone in contrasto con il principio di eguaglianza e di
ragionevolezza, poiché la sanatoria è intervenuta in un momento
successivo al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, la
cui definitività si è realizzata quando l’imputato si trovava
ancora in situazione di illegalità (formale) per avere compiuto
opere edilizie abusive senza avere il titolo abilitativo;
che rientra nella discrezionalità del legislatore, una volta
individuata una causa estintiva del reato, fissare, in relazione allo
status dell’azione penale, i limiti temporali di questa causa
estintiva, che deriva, si noti, da una iniziativa dello stesso
responsabile dell’abuso (richiesta di concessione in sanatoria il cui
rilascio è subordinato al pagamento a titolo di oblazione di una
misura maggiorata del contributo di concessione, perfino in caso di
concessione gratuita: art. 13, primo e terzo comma, della legge n.
47 del 1985);
che, d’altro canto, l’art. 22 della legge n. 47 del 1985 nel
testo originario, dandosi carico della natura formale dell’infrazione
(mancanza del titolo abilitativo in presenza di piena conformità
delle opere alla programmazione edilizia), prevedeva la sospensione
dell’azione penale, interpretata temporalmente fino all’esaurimento
del procedimento di sanatoria nella fase amministrativa (fino alla
pronuncia del comune), mentre con la modifica da ultima introdotta
con il d.-l. 25 maggio 1996, n. 285 (art. 8, ottavo comma) la
sospensione è stata estesa fino alla definizione del giudizio di
impugnazione dell’eventuale rifiuto della sanatoria avanti al
tribunale amministrativo regionale, così consentendosi un maggiore
spazio all’interessato per ottenere la sanatoria e far valere le
proprie ragioni di tutela avanti al tribunale amministrativo
regionale e realizzare, in caso di accoglimento e rilascio della
sanatoria, anche l’effetto estintivo;
che con tale meccanismo si realizza anche un incentivo per una
sollecita definizione delle iniziative di sanatoria;
che la fattispecie è analoga a quella presa in considerazione a
proposito del condono-sanatoria previsto dai Capi IV e V della legge
n. 47 del 1985 e con riferimento agli artt. 38 e 44, della stessa
legge, in relazione alla quale è stato affermato “che non può
ritenersi “irrazionale” il non avere previsto, a favore dei
richiedenti la concessione in sanatoria già condannati con sentenza
definitiva, l’estinzione della esecuzione della pena. D’altro canto,
situazioni diverse sono, certamente, quelle nelle quali si trovano da
una parte i soggetti imputati, durante il procedimento penale e
dall’altra i soggetti condannati, a seguito della sentenza
definitiva: le predette situazioni ben possono, pertanto, essere
diversamente disciplinate dalla legge” (sentenza n. 369 del 1988);
che, infine, nessun contrasto, come delineato dal giudice a quo
può configurarsi con l’art. 24 della Costituzione, in quanto la
tutela giurisdizionale non viene affatto lesa, mentre vi è solo una
non previsione di effetti rispetto a situazioni definite con il
giudicato penale;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47
(Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di
Foggia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola