Ordinanza N. 325 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
27/07/2001
Data deposito/pubblicazione
27/07/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, CarloMEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con
ordinanza emessa il 7 ottobre 1999 dalla commissione tributaria
regionale di Perugia sul ricorso proposto da Hangartner Ulrike
Gertrud contro l’ufficio delle entrate di Perugia, iscritta al n. 63
del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale
della Repubblica n. 5, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il giudice
relatore Annibale Marini.
Ritenuto che la commissione tributaria regionale di Perugia, con
ordinanza emessa il 7 ottobre 1999, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non consentono, nel
processo tributario, la sospensione ope iudicis della esecutività
della sentenza di secondo grado, in pendenza del ricorso per
cassazione;
che la Commissione tributaria rimettente – investita di una
istanza di sospensione della esecutività di una propria sentenza, ai
sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, in pendenza del
ricorso per cassazione ritualmente proposto dalla parte privata
soccombente – muove dalla premessa che la norma del codice di rito
invocata dalla parte istante non sia applicabile al processo
tributario, sia perché l’art. 49 del decreto legislativo n. 546 del
1992 espressamente esclude l’applicabilità a tale processo
dell’art. 337 cod. proc. civ. e quindi anche delle norme da
quest’ultimo richiamate, tra cui appunto l’art. 373 cod. proc. civ.,
sia in quanto l’art. 47 del medesimo decreto legislativo rende palese
l’intenzione del legislatore di limitare la tutela cautelare
solamente al primo grado di giudizio;
che l’esclusione di ogni possibilità di tutela cautelare nei
confronti della efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado
rappresenterebbe tuttavia – ad avviso dello stesso rimettente – una
lesione del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della
Costituzione, di cui l’azione cautelare costituirebbe sicura
espressione;
che le norme censurate sarebbero altresì lesive del
principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione, per
l’ingiustificata disparità di trattamento che esse determinerebbero,
quanto alla tutela giurisdizionale offerta ai contribuenti, tra le
controversie in materia di imposte e tasse devolute alla cognizione
del giudice ordinario, nelle quali troverebbe applicazione l’art. 373
cod. proc. civ., e quelle attribuite alla giurisdizione delle
commissioni tributarie, che appunto non prevedono la possibilità di
inibitoria;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della
questione;
che l’Avvocatura – quanto alla dedotta violazione
dell’art. 24 della Costituzione – osserva che nel processo
tributario, diversamente che nel processo civile, l’esecutività è
un attributo non della sentenza, ma dell’atto impugnato, al quale
soltanto può perciò essere riferita – come appunto dispone
l’art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992 – la sospensione
dell’esecuzione, i cui effetti sono destinati a cessare con la
pubblicazione della sentenza di primo grado;
che il successivo art. 68 del medesimo decreto legislativo
prevede d’altro canto, nella pendenza del giudizio tributario, un
articolato sistema di pagamento frazionato del tributo accertato
dall’amministrazione, in funzione del grado e del contenuto delle
sentenze emesse nel corso del giudizio;
che tale peculiare sistema esprimerebbe la coerente e
ragionevole scelta del legislatore nel contemperamento tra il diritto
di difesa del contribuente e la preminente esigenza pubblica di
assicurare il tempestivo flusso delle entrate tributarie e non
sarebbe perciò lesivo del precetto di cui all’art. 24 della
Costituzione;
che il secondo profilo di asserita illegittimità, riferito
all’art. 3 della Costituzione, si fonderebbe poi – ad avviso ancora
della parte pubblica – su una erronea premessa, in quanto il giudice
civile non avrebbe affatto il potere di sospendere la riscossione dei
tributi né a tale fine potrebbe avvalersi delle norme (artt. 283 e
373 cod. proc. civ.) che consentono la sospensione della esecutività
delle sentenze di primo e secondo grado, proprio in quanto il titolo
esecutivo, in materia tributaria, non è costituito dalla sentenza di
rigetto del ricorso bensì dall’atto impugnato;
che la tutela cautelare assicurata al contribuente nel
processo tributario risulterebbe dunque addirittura più ampia di
quella disponibile nel processo dinanzi al giudice ordinario.
Considerato che questa Corte ha già dichiarato non fondata
identica questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata dal
medesimo giudice, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione (sentenza n. 165 del 2000);
che, per quanto riguarda l’asserita lesione del diritto di
difesa, si osserva in tale pronuncia come la garanzia costituzionale
della tutela cautelare, trovando il suo fondamento nell’esigenza di
evitare che la durata del processo vada a danno dell’attore che ha
ragione, “debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non
intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga con
efficacia esecutiva la domanda, rendendo superflua l’adozione di
ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo,
con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il
presupposto stesso della invocata tutela”;
che, quanto invece alla pretesa violazione del principio di
eguaglianza, la citata sentenza fa richiamo alla giurisprudenza di
questa Corte “che ha costantemente escluso l’esistenza di un
principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità
tra i vari tipi di processo”;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
dinanzi alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale degli articoli 47 e 49 del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in
riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria regionale di Perugia, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Marini
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 27 luglio 2001.
Il cancelliere: Fruscella