Ordinanza N. 35 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
23/04/1965
Data deposito/pubblicazione
23/04/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
08/04/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Prof. GIUSEPPE
BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof.
GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 settembre 1964 dal
Giudice istruttore del Tribunale di Velletri nel procedimento penale a
carico di Genna Antonio, iscritta al n. 172 del Registro ordinanze 1964
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 295 del 28
novembre 1964.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
Ritenuto che nel corso del procedimento penale contro Genna
Antonio, con ordinanza del 26 settembre 1964, il Giudice istruttore
presso il Tribunale di Velletri ha sollevato, d’ufficio, la questione
di legittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 150 del
Codice penale, per la quale, la morte del reo, avvenuta prima della
condanna, estingue il reato. Secondo l’ordinanza, il termine “reo”
avrebbe assunto quasi esclusivamente il significato di “colpevole” o di
“condannato” non soltanto nella comune accezione, ma anche nella
terminologia dello stesso Codice (es. art. 171); onde, la norma
impugnata sarebbe in contrasto col precetto dell’art. 27 della
Costituzione: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla
condanna definitiva”;
Considerato che il termine reo, nell’art. 150 del Codice penale non
ha affatto il significato di “colpevole”, come si assume
nell’ordinanza, le cui argomentazioni sono smentite dalla relazione al
Codice di procedura penale del 1930, la quale ha chiaramente spiegato
le ragioni per le quali alla dizione “morte dell’imputato”, usata dal
precedente Codice, è da preferirsi “morte del reo”. Il legislatore ha
inteso, invero, dare alla parola un significato ben diverso da quello
di persona dichiarata colpevole, ed evitare nel contempo il richiamo ad
altra nozione che sarebbe di carattere processuale. Ed in ciò
concordando anche la dottrina – e nessun dubbio essendo stato giammai
sollevato nella pratica applicazione della norma – non appare per nulla
giustificato il dissenso manifestato dalla ordinanza e basato su
argomenti, che possono condurre ad una sola conclusione: che cioè il
Codice penale adotta, in modo più o meno appropriato, il termine “reo”
per indicare talvolta l’imputato e talvolta il condannato.
E poiché, nell’uso delle parole, l’importante è che ognuno sappia
intenderle nel significato loro attribuito, la questione è
manifestamente infondata, com’è altresì confermato dal rilievo che la
norma di legge deve necessariamente ricorrere all’uso di un termine per
indicare il soggetto la cui morte importa la estinzione del reato,
mentre il giudice non è affatto vincolato a ripetere nella decisione
le stesse parole del Codice, nulla vietando che egli si avvalga di
altro termine, o tecnico, quale “imputato”, oppure privo di ogni
qualificazione giuridica;
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 150 del Codice penale proposta dalla ordinanza
del Giudice istruttore di Velletri in riferimento all’art. 27 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 aprile 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.