Ordinanza N. 359 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
21/10/1998
Data deposito/pubblicazione
21/10/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/10/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Annibale MARINI;
decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale) e dell’art. 51 del
codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 6
novembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia,
sezione staccata di Lecce, sul ricorso proposto da Airò Rosa ed
altri contro il Ministero dell’interno ed altri, iscritta al n. 395
del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, n. 27, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1998 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, nel corso del giudizio d’impugnazione proposto da
alcuni consiglieri dimissionari del comune di Faggiano, avente ad
oggetto il diniego del Prefetto di Taranto di scioglimento del
Consiglio comunale, il Tribunale amministrativo regionale per la
Puglia, con ordinanza del 6 novembre 1996 ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 47 del regio decreto 17
agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi al
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale) e 51 del codice di
procedura civile, nella parte in cui non prevedono il regime di
incompatibilità del giudice amministrativo, che abbia già
conosciuto della causa in fase cautelare, a partecipare alla
decisione del merito;
che preliminarmente il giudice rimettente rileva che due dei
componenti del Collegio investito della decisione di merito hanno
già fatto parte dell’organo giudicante chiamato a conoscere della
domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato: tale
situazione apparirebbe in contrasto con l’avvertita esigenza
costituzionale del “giusto processo”, che ha quale ineludibile
corollario quella dell’imparzialità del giudice, garantita dalle
norme sull’incompatibilità del giudice;
che i principi affermati con riferimento specifico al processo
penale, sarebbero, ad avviso del giudice a quo estensibili al
processo amministrativo sotto un duplice profilo, in quanto da un
lato, la nozione di incompatibilità endoprocedimentale, come
individuata dalla Corte, postulerebbe una valutazione precedentemente
compiuta dallo stesso giudice, chiamato a pronunciarsi in una diversa
fase del processo, di carattere non formale ma di contenuto, in tutto
assimilabile al giudizio espresso in sede cautelare dal giudice
amministrativo; dall’altro lato, la necessaria autonomia della
valutazione che determinerebbe il successivo insorgere
dell’incompatibilità, si imporrebbe altresì nel processo
amministrativo che si articola nel giudizio cautelare, avente
carattere autonomo con distinzione tra merito e fase cautelare;
che, d’altra parte, il giudizio cautelare verterebbe, oltre che
sul periculum in mora sulla delibazione prima facie della fondatezza
della pretesa fatta valere in giudizio, compendiata nell’espressione
della sussistenza del fumus boni iuris; in guisa tale che le
valutazioni proprie della fase incidentale sulla sospensione del
provvedimento, non potrebbero essere assimilate a giudizi di
carattere formale, non contenutistico, proprie delle determinazioni
che non presuppongono l’esame del merito della controversia;
che il riscontro sul piano concreto si troverebbe nella ordinanza
cautelare basata con sintetica motivazione sulla piena valutazione
della fondatezza del ricorso nel merito;
che, poiché l’esigenza di separazione tra le diverse fasi
processuali non troverebbe – secondo l’ordinanza di remissione –
“riscontro nell’attuale strutturazione degli artt. 51 e ss. c.p.c.”,
che al n. 4) fa esclusivo riferimento all’intervento del giudice nei
differenti gradi del processo, le norme denunciate sarebbero in
contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui
non prevedono l’incompatibilità del magistrato, che abbia già
conosciuto della causa in fase cautelare, a partecipare alla
decisione di merito;
che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o infondatezza
della questione.
Considerato preliminarmente che l’art. 51 cod. proc. civ. –
applicabile, come norma fondamentale, anche al processo
amministrativo, in base ai principi generali, in mancanza di autonoma
specifica disciplina del giudizio amministrativo e rispetto al quale
l’art. 47 del regolamento per la procedura dinanzi al Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale assume il valore di mera norma
ricognitiva – regola in maniera compiuta le cause che possono dare
luogo alla ricusazione o alla astensione dei giudici. Sicché il
richiesto scrutinio di costituzionalità deve incentrarsi sul citato
art. 51 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede
l’incompatibilità del magistrato, che abbia conosciuto della causa
in fase cautelare, a partecipare alla decisione del merito;
che questa Corte ha, peraltro, già affermato che non sono
applicabili al giudizio amministrativo, proprio per le particolarità
e le diversità dei sistemi processuali, le regole delle
incompatibilità soggettive per precedente attività (tipizzata)
svolta nello stesso procedimento penale, cui il giudice remittente fa
riferimento attraverso il richiamo all’art. 34 cod. proc. pen., e che
le insopprimibili esigenze di imparzialità del giudice sono
risolvibili nel processo amministrativo – per la sua peculiarità –
attraverso gli istituti della astensione e della ricusazione,
previsti dal codice di procedura civile (ordinanza n. 356 del 1997 e
sentenza n. 326 del 1997);
che con la citata sentenza n. 326 del 1997, questa Corte ha
chiarito che la previsione contenuta nell’art. 51, numero 4, cod.
proc. civ., secondo il quale il giudice ha l’obbligo di astenersi “se
ha conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del
processo” trova fondamento nella “esigenza stessa di garanzia che sta
alla base del concetto di revisio prioris instantiae”, che postula
l’alterità del giudice dell’impugnazione, il quale si trova – per
via del carattere del mezzo di gravame – a dover ripercorrere
l’itinerario logico che è stato già seguito onde pervenire al
provvedimento impugnato; mentre la stessa esigenza non comporta la
necessità costituzionale che l’obbligo di astensione (nel processo
civile) sia esteso anche all’ipotesi del giudice della causa di
merito che abbia emesso un provvedimento di urgenza o cautelare in
genere; che ben diversa (rispetto alla pluralità di gradi di
giudizio) si presenta la situazione quando l’iter processuale
semplicemente si articoli attraverso più fasi sequenziali
(necessarie od eventuali poco importa), nelle quali l’interesse posto
a base della domanda impone l’appagamento di esigenze di carattere
conservativo, anticipatorio, istruttorio ecc;
che, con la medesima sentenza n. 326 del 1997, è stato,
altresì, precisato che i provvedimenti cautelari adottati dal
giudice civile (ed il discorso può essere esteso integralmente al
giudizio amministrativo) costituiscono espressione del principio
secondo il quale ogni situazione giuridica deve poter trovare un suo
momento cautelare, componente essenziale della stessa tutela
giurisdizionale, mentre il successivo giudizio di merito non è
descrivibile quale valutazione operata sulla medesima res iudicanda,
in modo tale da dover ravvisare, nella precedente pronuncia sulla
domanda cautelare (atteso il contenuto del giudizio sui presupposti:
periculum in mora e fumus boni iuris), la ragione degli asseriti
condizionamenti suscettibili di minare l’imparzialità del
giudicante;
che anche per il processo amministrativo può essere confermato,
come rilevato con la predetta sentenza n. 326 del 1997 a proposito
del giudizio civile – e la norma applicabile per i casi di astensione
è la stessa – che la cognizione attribuita al giudice in sede di
provvedimenti cautelari lascia assolutamente irrisolto il quesito
circa l’esito finale del giudizio e non “anticipa” affatto la
decisione del merito, mirando solo a tutelare temporaneamente un
preteso diritto (o interesse legittimo) onde salvaguardarlo dal
pregiudizio grave ed irreparabile, ravvisato sulla base di una
valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza;
che, d’altro canto, eventuali anormali pronunciamenti del giudice
in sede cautelare, al di là di quanto richiesto dalle esigenze di
motivazione della relativa decisione, in quanto estranei al paradigma
legale, non possono dare fondamento ad un vizio di costituzionalità
risolvendosi in cattiva applicazione della procedura; e che,
piuttosto, in casi del genere, è “dovere del giudice di valutare,
nel concreto, se esistono gravi ragioni di convenienza legittimanti
l’astensione”, secondo la previsione del medesimo art. 51, cpv., cod.
proc. civ.
che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata
manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 51 del codice di procedura civile e 47 del
regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura
dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale), sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 21 ottobre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola