Ordinanza N. 361 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
27/06/1989
Data deposito/pubblicazione
27/06/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/06/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
comma (come modificato dall’art. 3, della legge 30 luglio 1984, n.
399: Aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del
pretore), 44 e 45 del codice di procedura civile, promosso con
ordinanza emessa il 14 marzo 1988 dal Pretore di Torino nel
procedimento civile vertente tra Marzo Enzo e Granella Licia ed
altra, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1988 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie
speciale, dell’anno 1988;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 1989 il Giudice
relatore Francesco Greco;
Ritenuto che il Pretore di Torino, in sede di riassunzione della
causa sulla quale il giudice conciliatore, precedentemente adito,
aveva pronunziato sentenza dichiarativa della propria incompetenza
per valore, ha sollevato, con ordinanza in data 14 marzo 1988,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 103, secondo
comma, (recte: art. 113, secondo comma) – nel testo modificato
dall’art. 3 della legge 30 luglio 1984, n. 399 (Aumento dei limiti di
competenza del conciliatore e del pretore) – 44 e 45 del codice di
procedura civile, nella parte in cui tali norme, consentendo al
giudice conciliatore di decidere, secondo equità e in base ai
principi ispiratori della materia, anche su questione di competenza
per valore, impediscono al giudice superiore, che deve decidere
secondo diritto e a cui la causa è stata rimessa dopo la sentenza di
incompetenza, di richiedere di ufficio il regolamento di competenza;
che, ad avviso del giudice a quo, risulterebbe violato l’art.
25, primo comma, della Costituzione, in quanto le norme censurate
renderebbero possibile la sottrazione al giudice naturale (chiamato a
decidere equitativamente e con pronunzia inappellabile) della
cognizione su determinati diritti e l’affidamento della medesima ad
altro giudice (sfornito di tali poteri equitativi e non abilitato a
pronunziare inappellabilmente);
Considerato che appare erroneo il presupposto dell’esposta
questione, consistente nel duplice assunto per cui il conciliatore
può decidere secondo equità, e non secondo stretto diritto, anche
su questioni di competenza e per cui la censurata preclusione al
regolamento di ufficio derivi dal carattere equitativo della
pronunzia di detto giudice in subiecta materia;
che, invero, la possibilità di una decisione equitativa da
parte di quest’ultimo è da ritenere riferita alla sola questione
sostanziale, mentre rimangono ferme, anche per il giudizio davanti al
conciliatore, le norme di procedimento dettate dal codice di rito,
ivi compresa quella determinativa di un limite di valore alla sua
competenza;
che, pertanto, escluso che la menzionata preclusione discenda
dalla peculiarità insita nella potestas iudicandi del conciliatore,
se ne deve dedurre che essa, nel caso di specie, come in ogni altro
caso di ripartizione della competenza per valore, risponde ad una
scelta organizzativa del legislatore, il quale, in ossequio a
ragionevoli criteri di economia processuale, ha ritenuto di limitare
la possibilità di conflitto di competenza ai soli casi in cui il
contrasto concerna la competenza per materia o quella territoriale
inderogabile, senza che ciò implichi violazione del principio del
“giudice naturale” in quanto la preclusione al riesame di ufficio da
parte del giudice della riassunzione consegue pur sempre ad un
giudizio sulla competenza reso dal primo giudice in applicazione,
secondo quanto sopra osservato, di specifiche regole di diritto e
suscettibile di impugnazione per l’eventuale violazione delle
medesime;
che, conseguentemente, detta scelta appare incensurabile, con
l’ulteriore conseguenza della manifesta inammissibilità della
proposta questione;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi
alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 113, secondo comma (nel testo
modificato dall’art. 3 della legge 30 luglio 1984, n. 399: Aumento
dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore), 44 e 45 del
codice di procedura civile, in riferimento all’art. 25, primo comma,
della Costituzione, sollevata dal Pretore di Torino con l’ordinanza
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: GRECO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 14 giugno 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI