Ordinanza N. 367 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
28/11/1997
Data deposito/pubblicazione
28/11/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/11/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20
dicembre 1996 dal tribunale di Locri nel procedimento penale a carico
di Giuseppe Mazzaferro ed altri, iscritta al n. 68 del registro
ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il giudice
relatore Cesare Mirabelli;
Ritenuto che con ordinanza emessa il 20 dicembre 1996 il tribunale
di Locri ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34,
comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede l’incompatibilità del giudice per le indagini preliminari
che abbia disposto il rinvio a giudizio ad esercitare nuovamente, a
seguito dell’annullamento del precedente decreto di rinvio a
giudizio, tale funzione nei confronti degli stessi imputati e per i
medesimi reati;
che il tribunale di Locri aveva in precedenza dichiarato la
nullità parziale del decreto di rinvio a giudizio, per l’omessa
indicazione, in alcuni capi di imputazione, del tempo e del luogo del
delitto; gli atti erano stati, quindi, restituiti al pubblico
ministero che, integrata l’imputazione, aveva chiesto ed ottenuto dal
giudice per le indagini preliminari, che già in precedenza aveva
adottato il medesimo provvedimento, il rinvio a giudizio degli
imputati;
che il tribunale rimettente ricorda che l’art. 425 cod. proc.
pen., nel testo iniziale, prevedeva che nell’udienza preliminare
fosse emanata sentenza di non luogo a procedere se risultasse
“evidente” la causa che consentiva l’adozione di quella pronuncia.
Successivamente, essendo stato abrogato il requisito della “evidenza”
(art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105), sarebbe notevolmente
aumentata la funzione di filtro, rispetto al dibattimento, del
giudice dell’udienza preliminare; sicché, ad avviso del giudice
rimettente, l’art. 425 cod. proc. pen. richiederebbe ora, per il
rinvio a giudizio, un accertamento positivo della colpevolezza
dell’imputato;
che il giudice rimettente considera che l’incompatibilità
disciplinata dall’art. 34 cod. proc. pen. riguarda la decisione di
merito che definisce la responsabilità penale dell’imputato, ma
ritiene che l’omessa previsione dell’incompatibilità anche per il
giudice dell’udienza preliminare che debba nuovamente pronunciarsi
sul rinvio a giudizio dopo avere adottato nel medesimo procedimento
un analogo provvedimento, poi annullato, nei confronti degli stessi
imputati e per i medesimi reati, sia in contrasto da un lato con il
principio di parità di trattamento (art. 3 Cost.), essendo la
situazione simile a quelle che determinano l’incompatibilità,
dall’altro con il diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.),
compromesso dal precedente giudizio dello stesso giudice;
che dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
manifestamente infondata, giacché l’incompatibilità presuppone che
il convincimento già espresso dal giudice possa incidere sulla
valutazione nel merito; valutazione estranea all’udienza preliminare,
che costituisce solo un momento processuale interlocutorio, diretto
ad accertare la legittimità della richiesta di rinvio a giudizio;
Considerato che il presupposto interpretativo dal quale muove il
giudice rimettente nel qualificare la funzione dell’udienza
preliminare, pur dopo la modifica apportata all’art. 425 cod. proc.
pen. dall’art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105, è inesatto. La
giurisprudenza costituzionale ha già altre volte affermato che
nell’udienza preliminare il giudice non è chiamato ad esprimere
valutazioni sul merito dell’accusa, ma solo a verificare, in una
delibazione di carattere processuale, la legittimità della domanda
di giudizio formulata dal pubblico ministero (da ultimo, sentenza n.
311 del 1997 e ordinanza n. 97 del 1997), sicché non risulta
pregiudicata la decisione di merito sull’oggetto del processo, in
ordine alla quale è destinato ad operare il regime delle
incompatibilità;
che non porta a diversa conclusione la modifica legislativa che
ha soppresso la parola “evidente”, che qualificava le condizioni
richieste ai fini dell’adozione di una sentenza di non luogo a
procedere nell’udienza preliminare: la modifica stessa non muta le
caratteristiche e la funzione di tale udienza (ordinanza n. 24 del
1996), che rimane destinata a valutare se si possa o meno dare
ingresso alla successiva fase del dibattimento per il giudizio di
merito (sentenze n. 71 del 1996 e n. 51 del 1997);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale deve
essere dichiarata manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal
tribunale di Locri con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 28 novembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola