Ordinanza N. 368 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
06/11/1998
Data deposito/pubblicazione
06/11/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
28/10/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con
ordinanze emesse il 20 giugno 1997 dalla Commissione tributaria
provinciale di Cosenza ed il 9 dicembre 1997 (n. 2 ordinanze) dalla
Commissione tributaria provinciale di Modena, rispettivamente
iscritte al n. 767 del registro ordinanze 1997 ed ai nn. 294 e 295
del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1997 e n. 28,
prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che, nel corso di diversi procedimenti riuniti, promossi
da vari contribuenti avverso avvisi di rettifica e liquidazione di
maggiore imposta, loro notificati dal competente ufficio distrettuale
imposte dirette, la Commissione tributaria provinciale di Cosenza,
con ordinanza emessa il 20 giugno 1997, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non
prevede che, in caso di declaratoria di cessazione della materia del
contendere che consegua all’annullamento da parte della pubblica
amministrazione degli atti impugnati, intervenuto dopo la
proposizione del ricorso, questa possa essere condannata al pagamento
delle spese del giudizio;
che, secondo la rimettente, la denunciata norma, si pone in
contrasto: a) con l’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata
disparità di trattamento tra il cittadino, il quale, rinunciando al
ricorso, deve rimborsare le spese alle altre parti (ai sensi
dell’art. 44 dello stesso decreto legislativo n. 546 del 1992), e
l’amministrazione finanziaria, la quale, in un’ipotesi di sostanziale
rinuncia, resta indenne dal pagamento delle spese di giudizio; b) con
gli artt. 24 e 113 della Costituzione, dato che la possibilità di
conseguire la ripetizione delle spese processuali, spesso rilevanti,
consentirebbe al contribuente di tutelare più efficacemente la
propria posizione e di meglio apprestare le sue difese, potendo egli
essere, viceversa, indotto a desistere dal far valere le sue
legittime pretese; c) con l’art. 97 della Costituzione, poiché il
criterio della soccombenza – esteso in via generale al processo
tributario dall’art. 15 del medesimo testo normativo – costituisce
anche per l’amministrazione finanziaria un elemento vo’lto ad
assicurare il rispetto dei princìpi di buon andamento, correttezza
ed imparzialità della pubblica amministrazione, ponendosi come
limite positivo alla sua attività discrezionale;
che, nel corso di analogo procedimento e con considerazioni
sostanzialmente identiche, la Commissione tributaria provinciale di
Modena, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1997, ha sollevato – in
riferimento agli artt. 3, 24, primo e terzo comma, e 113, primo e
secondo comma, della Costituzione – questione di legittimità dello
stesso art. 46, comma 3, “nella parte in cui non consente al
contribuente di potersi esprimere sulla “rinuncia” , se
unilateralmente decisa dall’Ufficio impositore con atto di
autotutela, al prosieguo della causa, né al giudice di pronunciarsi
sulla soccombenza delle spese del giudizio”;
che la medesima Commissione tributaria provinciale di Modena, con
altra ordinanza emessa anch’essa il 9 dicembre 1997, ha sollevato
ulteriore identica questione di legittimità costituzionale dell’art.
46, comma 3, per violazione degli artt. 3, 24, primo e terzo comma, e
97, primo comma, della Costituzione;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l’inammissibilità ovvero per la manifesta
infondatezza delle sollevate questioni.
Considerato che i giudizi, concernenti la medesima norma, possono
essere riuniti e congiuntamente decisi;
che successivamente alla proposizione degli odierni incidenti di
costituzionalità questa Corte, chiamata al vaglio di questioni
analoghe, ne ha dichiarato la non fondatezza con sentenza n. 53 del
1998;
che, nella motivazione di tale sentenza, la Corte ha dato
esaurienti risposte alle argomentazioni svolte dalle attuali
rimettenti onde giustificare i prospettati dubbi in ordine alla
violazione del principio di uguaglianza, del diritto di difesa e di
tutela giurisdizionale del contribuente, nonché del principio di
buon andamento della pubblica amministrazione;
che, in particolare, questa Corte ha ivi sottolineato come il
legislatore, nell’opera – affidata alla sua discrezionalità – di
conformazione degli istituti del processo tributario a quelli del
rito civile, non abbia travalicato il limite della razionalità; nel
contempo affermando l’inidoneità del richiamo, quale parametro,
all’art. 97 Cost., riguardante le sole leggi concernenti in senso
proprio l’ordinamento ed il funzionamento sotto l’aspetto
amministrativo degli uffici giudiziari (v., da ultimo, sentenze n.
182 e n. 225 del 1996);
che, relativamente a quanto ulteriormente prospettato in
riferimento all’asserita violazione del principio di uguaglianza,
basta solo rilevare la disomogeneità – quanto a presupposti, nonché
ad effetti processuali e sostanziali – fra l’ipotesi di rinuncia al
ricorso e quella di cessazione della materia del contendere, e dunque
la palese inconfigurabilità della paventata disparità di
trattamento emergente dalla comparazione tra gli artt. 44 e 46 del
decreto legislativo n. 546 del 1992;
che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate – in
riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113, della Costituzione – dalla
Commissione tributaria provinciale di Cosenza e dalla Commissione
tributaria provinciale di Modena, con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 1998
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositato in cancelleria il 6 novembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola