Ordinanza N. 379 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
23/07/2002
Data deposito/pubblicazione
23/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/07/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO;
poteri dello Stato, sorto a seguito della delibera della Camera dei
deputati del 17 gennaio 2001 relativa alla insindacabilità delle
opinioni espresse dall’on. Vittorio Sgarbi nei confronti di Giuseppe
Arlacchi, promosso dalla Corte d’appello di Roma, sezione I civile,
con ricorso depositato il 17 luglio 2001 e iscritto al n. 196 del
registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2002 il Giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che la Corte d’appello di Roma, sezione I civile, con
ordinanza del 15 giugno-16 luglio 2001, depositata presso la
cancelleria di questa Corte il 17 luglio 2001, ha proposto ricorso
per conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati
in relazione alla delibera, da quest’ultima adottata nella seduta di
Assemblea del 17 gennaio 2001, che ha stabilito che le dichiarazioni
pronunciate dal deputato Vittorio Sgarbi nel corso della trasmissione
televisiva “Sgarbi quotidiani” del 13 gennaio 1996 nei riguardi di
Giuseppe (Pino) Arlacchi, costituiscono opinioni espresse
nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, con conseguente
insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione;
che la ricorrente premette che Pino Arlacchi ha proposto
appello avverso la sentenza del Tribunale civile di Roma, n. 4142 del
14 settembre 1999, che ha respinto la sua domanda di risarcimento del
danno proposta nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi e della
società R.T.I. Reti televisive italiane S.p.a., per le dichiarazioni
di contenuto diffamatorio che sarebbero state pronunciate in
occasione della citata trasmissione;
che in particolare la Corte d’appello riferisce in fatto che,
traendo spunto da un processo allora in corso presso il Tribunale di
Palermo nei confronti del senatore Giulio Andreotti e da un libro
scritto da Pino Arlacchi, intitolato “Il processo. Giulio Andreotti
sotto accusa a Palermo”, pubblicizzato sulla prima pagina di un
quotidiano nazionale, il deputato Vittorio Sgarbi ha espresso, nella
trasmissione televisiva, giudizi da Pino Arlacchi ritenuti lesivi
della sua identità e del suo impegno scientifico, politico e civile
contro i fenomeni di criminalità organizzata, essendo egli stato
dipinto come un “mercante della giustizia”, che avrebbe tratto
immeritate fortune e vantaggi anche economici attraverso l’opera dei
“pentiti” nonché sfruttando il fenomeno mafioso, e che avrebbe
lucrato “sulla pelle” di imputati per reati di mafia, tra cui lo
stesso Andreotti, aggiungendo l’ulteriore notazione secondo cui Pino
Arlacchi era stato nominato consulente del Ministero dell’interno del
Governo presieduto proprio dal senatore Andreotti, ricevendo per
detto incarico la somma di duecento milioni di lire;
che, in pendenza del giudizio d’appello, proposto da Pino
Arlacchi per inesistenza degli estremi della scriminante del diritto
di critica e di cronaca (riconosciuta in favore del deputato con la
pronuncia di primo grado), è intervenuta, in prossimità della
decisione sul gravame, la delibera della Camera dei deputati del
17 gennaio 2001, che ha ritenuto nella specie sussistere la
prerogativa costituzionale;
che, ciò premesso, la ricorrente ritiene che la Camera dei
deputati abbia esercitato male il proprio potere, affermando
arbitrariamente l’esistenza del nesso funzionale tra le espressioni
ritenute diffamatorie e l’attività parlamentare del deputato
convenuto per risarcimento del danno, in quanto, secondo la Corte
d’appello, le frasi pronunciate nella trasmissione televisiva non
possono dirsi collegate all’esercizio della funzione parlamentare,
costituendo esse semplici apprezzamenti personali formulati dal
deputato alla stregua di un qualsiasi privato cittadino: non potrebbe
in particolare ritenersi – afferma la ricorrente – che la
trasmissione televisiva in discorso costituisca divulgazione e
“continuazione” dell’attività parlamentare tipica, giacché le
dichiarazioni incriminate sono state rese nell’ambito della
conduzione di un programma televisivo (“Sgarbi quotidiani”) e in
attuazione di un contratto di prestazione d’opera retribuita
stipulato tra il deputato e la rete televisiva privata per commentare
ed esprimere opinioni su vicende d’attualità;
che la ricorrente ritiene quindi la delibera parlamentare
lesiva delle proprie attribuzioni – essendo stato il potere conferito
al Parlamento dall’art. 68 della Costituzione esercitato in modo
arbitrario – a tal fine facendo richiamo a talune pronunce della
Corte costituzionale nelle quali si è affermato che nel giudizio per
conflitto instaurato in base all’art. 68 della Costituzione la Corte
è chiamata ad accertare la non arbitrarietà della delibera
parlamentare (sentenza n. 1150 del 1988), ovvero a verificare se vi
sia stato un uso distorto del potere da parte del Parlamento, tale da
vulnerare le attribuzioni della giurisdizione o da interferire sul
relativo esercizio (sentenze n. 443 del 1993 e n. 289 del 1998),
conformemente al principio che “l’immunità copre il membro del
Parlamento soltanto se per le dichiarazioni concorre il contesto
funzionale” (sentenza n. 11 del 2000), ciò che nella specie –
conclude la ricorrente – non può dirsi sussistere;
che, per tali considerazioni, la Corte d’appello solleva il
conflitto di attribuzione, “vertendosi in materia di interferenza
dell’esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati
dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, nelle attribuzioni
previste e garantite dall’art. 102 della Costituzione”, chiedendo a
questa Corte di accertare e dichiarare che non spetta alla Camera dei
deputati affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68 della
Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi
secondo quanto deliberato nella seduta del 17 gennaio 2001 e,
conseguentemente, di annullare la suddetta deliberazione
parlamentare.
Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, a norma
dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in
quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
alla sua competenza, restando impregiudicata ogni ulteriore
decisione, anche relativamente all’ammissibilità;
che, sotto l’aspetto soggettivo, la Corte d’appello è
legittimata a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato, quale organo competente a dichiarare definitivamente la
volontà del potere cui appartiene, poiché, come ripetutamente
affermato da questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6
del 2002), i singoli organi giurisdizionali sono legittimati,
nell’esercizio della funzione a essi assegnata dalla Costituzione ed
esercitata in piena indipendenza, a essere parti nei conflitti
costituzionali di attribuzione;
che del pari, in relazione alla definizione dell’ambito
dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della
Costituzione, deve essere riconosciuta la legittimazione della Camera
dei deputati a essere parte del conflitto costituzionale, essendo
competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che
rappresenta;
che, sotto l’aspetto oggettivo del conflitto, la ricorrente
Corte d’appello lamenta la lesione della sfera delle attribuzioni a
essa costituzionalmente garantite in conseguenza dell’adozione, da
parte della Camera di appartenenza del parlamentare, di una
deliberazione che ha affermato – in modo che si assume arbitrario –
l’insindacabilità delle opinioni espresse da quest’ultimo, secondo
l’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che dal ricorso si ricavano le ragioni del conflitto e le
norme costituzionali che regolano la materia, come prescritto
dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo
1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte
d’appello di Roma, sezione I civile, nei confronti della Camera dei
deputati con il ricorso in epigrafe;
Dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione
della presente ordinanza alla Corte d’appello di Roma, sezione I
civile, ricorrente;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente
ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del
suo Presidente, entro il termine di novanta giorni dalla
comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente
depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di
venti giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 26, terzo comma,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.
Il cancelliere: Fruscella