Ordinanza N. 380 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
06/07/1989
Data deposito/pubblicazione
06/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
03/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell’evasione in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare
la definizione delle pendenze in materia tributaria), promosso con
ordinanza emessa il 27 giugno 1988 dalla Commissione tributaria di
primo grado di Catania nel procedimento civile tra Spampinato
Giovanni e l’Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al
n. 149 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno
1989;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice
relatore Francesco Saja;
Ritenuto che la Commissione tributaria di primo grado di Catania,
sui ricorsi riuniti proposti da Spampinato Giovanni, rappresentato
dal curatore del suo fallimento Salemi Antonio, contro l’Ufficio
I.V.A. della stessa città, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 del
decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, recante “Norme per la
repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul
valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in
materia tributaria”, come modificato dalla legge di conversione 7
agosto 1982, n. 516, nella parte in cui consente la notificazione
dell’avviso di accertamento o di rettifica da parte dell’Ufficio
finanziario sino alla data di presentazione della dichiarazione
integrativa, anziché sino alla data di entrata in vigore dello
stesso decreto legge n. 429/82;
che, secondo il giudice a quo, la normativa impugnata,
rimettendo al potere dell’ufficio finanziario la facoltà, introdotta
dalla legge di conversione, di notificare l’accertamento oltre la
data di entrata in vigore del decreto legge citato, sino a quello
della dichiarazione integrativa, discriminava ingiustificatamente i
contribuenti che, pur trovandosi nella stessa situazione, sarebbero
stati – secondo criteri rimessi al mero arbitrio dalla pubblica
amministrazione – assoggettati ad una attività accertatrice
dell’ufficio esercitabile in modo differente sotto l’aspetto
temporale, potendo così subire un trattamento illegittimamente
diverso in ordine alla determinazione del quantum dovuto a titolo del
c.d. condono tributario;
che inoltre, sempre secondo il giudice remittente, una ulteriore
diseguaglianza si determinava tra i contribuenti, in quanto mentre
per alcuni tributi (imposte dirette, registro, successioni,
donazioni, ecc.) non era possibile notificare accertamenti dopo
l’entrata in vigore del decreto legge sul condono, tale preclusione
era invece prevista per l’I.V.A.;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
comunque non fondata;
Considerato che la Corte si è recentemente pronunciata in materia
dichiarando non fondata, rispetto al medesimo tributo, l’identica
questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 cit., sul
rilievo che le peculiari caratteristiche dell’I.V.A., e in
particolare la estrema difficoltà e la notevole complessità
dell’accertamento definitivo, rendono pienamente legittima la
impugnata disciplina sulla notificazione di detto accertamento (sent.
n. 575 del 1988, ribadita poi dalle ordd. nn. 1075 del 1988, 119 e
121 del 1989);
che l’ordinanza de qua non solleva profili di
incostituzionalità nuovi e, non sussistendo motivo alcuno di
discostarsi da detta giurisprudenza, la questione deve essere
dichiarata manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26 del decreto legge 10 luglio 1982 n. 429,
come modificato dalla legge di conversione 7 agosto 1982, n. 516,
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Commissione
tributaria di primo grado di Catania con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1989.
Il Presidente e redattore: SAJA
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 6 luglio 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI