Ordinanza N. 396 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1996
Data deposito/pubblicazione
16/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof.
Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof.
Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza
emessa l’11 aprile 1996 dal tribunale militare di Padova, nel
procedimento penale a carico di Valdrighi Alessandro ed altro,
iscritta al n. 734 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale,
dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico di
Valdrighi Alessandro e Cifrodelli Fabio, imputati in concorso tra
loro dei reati di percosse ed ingiurie continuate nei confronti di
due commilitoni, il tribunale militare di Padova, con ordinanza
emessa l’11 aprile 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,
3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del
codice penale militare di pace;
che, a giudizio del rimettente, tale norma – nella parte in cui
prevede che i reati per i quali la legge stabilisce la pena della
reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi sono puniti
a richiesta del comandante di corpo – violerebbe: a) l’art. 2 della
Costituzione., determinando una “confisca” della tutela in sede
penale della persona militare a favore di un non meglio precisabile
“interesse pubblico militare”, anche nelle ipotesi in cui il fatto
sia grave e non possa perciò dirsi prevalente l’offesa all’interesse
militare, non essendo “sufficiente ad esaurire i diritti del singolo”
il riconoscimento a favore della persona offesa di un’azione civile;
b) l’art. 3 della Costituzione, poiché l'”espropriazione” del
diritto di tutela del cittadino militare in sede penale porrebbe lo
stesso in una situazione di ingiustificata disparità rispetto al
cittadino civile; c) l’art. 24, primo comma, Costituzione, in quanto
– pregiudicata la possibilità di costituirsi parte civile nel
processo militare – il militare offeso dovrebbe subire la maggiore
lungaggine dell’esercizio dell’azione civile; d) l’art. 52, ultimo
comma, della Costituzione, non reputandosi necessaria – per
l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate – l’attribuzione
al solo comandante di corpo della facoltà di decidere se richiedere
o meno la perseguibilità dei fatti in sede penale, potendosi
configurare una identica facoltà concorrente del militare;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso
per l’inammissibilità o quantomeno per l’infondatezza della
questione;
Considerato che – ripetutamente sottoposta al vaglio di questa
Corte, con riferimento anche ad altri diversi parametri la questione
di costituzionalità della disciplina di cui al secondo comma
dell’art. 260 cod. pen. mil. pace è stata dichiarata non fondata o
manifestamente infondata;
che va ribadito come non possa venire in considerazione la
prospettata violazione del principio di uguaglianza, stante la
peculiarità della situazione propria del cittadino inserito
nell’ordinamento militare – alle cui specifiche regole egli non può
non sottostare – rispetto a quella dei comuni cittadini (v. ordinanze
n. 82 del 1994 e n. 397 del 1987);
che, in linea di principio, tale diversità non viene meno in
presenza di condotte prive di rilevante attitudine offensiva, pur se
riferibili a diritti della persona, poiché in tali ipotesi – che
sono le sole per le quali la denunciata norma impone la richiesta del
comandante di corpo – sicuramente prevale l’esigenza di tutelare il
prestigio e la dignità delle forze armate, evitando che
l’incondizionato esercizio dell’azione penale possa di fatto causare
un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal
reato (cfr. sentenze n. 189 del 1976 e n. 42 del 1975);
che le stesse ragioni conducono a superare le censure riferite
agli artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione, atteso che i
diritti della persona offesa e lo spirito democratico della
Repubblica non possono dirsi compromessi (in siffatti casi di lieve
entità, i quali, a stregua del codice penale, sono normalmente
punibili a querela) dalla previsione della richiesta del comandante,
la quale al contrario – riaffermato che non può non accreditarsi a
chi esercita il comando doti di imparzialità e distacco – si palesa
come strumento idoneo ad adeguare al caso concreto la risposta
dell’ordinamento militare (cfr. sentenze n. 436 del 1995 e n. 449 del
1991, nonché ordinanza n. 467 del 1995);
che, esclusa l’elevazione a rango costituzionale della regola del
simultaneus processus (sentenza n. 60 del 1996), è decisivo – onde
superare anche il dubbio riferito alla prospettata violazione del
diritto di difesa – ancora una volta ribadire che l’esercizio
dell’azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale
non si profila come l’unico strumento di tutela giudiziaria a
disposizione del soggetto danneggiato dal reato, al quale infatti è
data, prima ancora, la facoltà di adire subito il giudice civile,
liberamente e senza preclusioni di sorta (v. sentenze n. 94 del 1996,
n. 532 del 1995, n. 185 del 1994);
che, d’altronde, la separazione del processo civile da quello
penale si atteggia quale mera modalità di esercizio delle forme di
tutela, con la conseguenza che non comporta violazione del dettato
costituzionale il venir meno della competenza di un’autorità
giudiziaria in seguito al verificarsi di una determinata condizione
espressamente prevista in via generale dalla legge (sentenza n. 443
del 1990);
che, pertanto, la questione è manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale
militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24,
primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione, dal tribunale
militare di Padova, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1996.
Il direttore di cancelleria: Di Paola