Ordinanza N. 403 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
20/12/1996
Data deposito/pubblicazione
20/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSK Y, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della
finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8
agosto 1992, n. 359, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 20 aprile
1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino sui
ricorsi proposti da GESAP s.p.a. e da Gestioni esattoriali s.p.a.
contro l’Intendenza di finanza di Torino, rispettivamente iscritte ai
nn. 422 e 542 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 25, prima serie
speciale, dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 16 ottobre 1996 il giudice
relatore Massimo Vari;
Ritenuto che la Commissione tributaria di primo grado di Torino,
con due ordinanze del 20 aprile 1994 – emesse nel corso di giudizi
promossi rispettivamente da GESAP s.p.a. e da Gestioni esattoriali
s.p.a., concessionarie del servizio di riscossione dei tributi di
Torino, contro l’Intendenza di finanza, per l’impugnativa del
silenziorifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’imposta
straordinaria del 6 per mille sui depositi bancari e postali – ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 6, del
d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della
finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8
agosto 1992, n. 359;
che, secondo il rimettente, la disposizione si porrebbe in
contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della
Costituzione, in quanto dispone un prelievo sul risparmio bancario e
postale che colpisce manifestazioni di ricchezza fra loro
“diversissime”, senza tenere conto delle differenti causali dei
depositi e senza considerare che, nel caso di specie, si tratta di
tributi riscossi per conto dello Stato e non di risparmi delle
società ricorrenti;
che sarebbe violato, altresì, l’art. 53 della Costituzione,
trattandosi di prelievo non solo arbitrario, ma addirittura privo di
presupposto, in quanto le somme depositate sui conti correnti sui
quali esso è stato effettuato sono indice rivelatore di ricchezza
non del soggetto tassato (l’ente di riscossione), bensì dello Stato,
per cui conto l’ente di riscossione ha ricevuto i tributi versati dai
contribuenti;
che, a tal proposito, secondo il rimettente, occorre considerare
che l’ente concessionario risponde, dall’entrata in vigore del d.P.R.
28 gennaio 1988, n. 43, del non riscosso per riscosso, e pertanto “ha
già anticipato allo Stato le somme depositate dai contribuenti sui
conti correnti dell’Ente di riscossione”;
che, nel primo giudizio, è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che l’eccezione sollevata venga dichiarata non
fondata, dal momento che la questione è stata già esaminata dalla
Corte nella sentenza n. 143 del 1995, con la quale è stata
considerata non influente la qualità soggettiva del titolare del
conto e la natura del rapporto sottostante, giacché l’imposizione
colpisce oggettivamente il conto;
Considerato che, secondo quanto già affermato dalla Corte nella
sentenza n. 143 del 1995 e successivamente ribadito (sentenza n. 73
del 1996), l’imposta in questione colpisce il bene indice di
ricchezza nella sua oggettività e che, pertanto, non
irragionevolmente la legge la pone a carico di colui che ne risulta
il detentore, indipendentemente da eventuali rapporti sottostanti con
altri soggetti, nell’ambito dei quali troverà definizione il
problema della ritenuta subita dal titolare del conto;
che a tale principio non si sottraggono i rapporti intercorrenti,
in materia di riscossione esattoriale, fra il concessionario e lo
Stato, tanto che l’amministrazione finanziaria ritiene non
assoggettabili alla ritenuta del 6 per mille le somme che affluiscono
sui conti correnti postali, disciplinati dagli artt. 7, comma 4, e
36, comma 2, del d.P.R. n. 43 del 1988, vale a dire su quelli
destinati a recepire le riscossioni dei tributi derivanti dai c.d.
versamenti diretti e da quelli acquisiti mediante i ruoli;
che non si giustifica neppure il dubbio sollevato dal rimettente
relativamente al diverso caso degli importi che, a seguito
dell’adempimento dell’obbligo del “non riscosso per riscosso”,
affluiscono su conti bancari a ripristino delle somme che sono state
anticipate dal concessionario con mezzi suoi propri e che
costituiscono, perciò, ricchezza propria di quest’ultimo;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 6, del d.-l. 11 luglio 1992, n.
333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359,
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria di primo grado di Torino con le ordinanze in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola