Ordinanza N. 408 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1997
Data deposito/pubblicazione
17/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
penale, promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1996, dalla Corte
d’appello di Trieste, nel procedimento penale a carico di Jovanovic
Milanka, iscritta al n. 1342 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale
dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice
relatore Francesco Guizzi;
Ritenuto che, mentre era chiamata a decidere della colpevolezza di
Juvanovic Milanka, accusata del reato di cui all’art. 671 del codice
penale, per aver mendicato valendosi del figlio minore degli anni 14,
che teneva in braccio, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato,
d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale del predetto
articolo;
che, ad avviso del giudice a quo, la disposizione incriminatrice,
pur essendo in linea con la tutela costituzionale dei minori (art.
31 della Costituzione), violerebbe i parametri indicati, perché la
pena minima edittale, stabilita per tale reato, sarebbe in contrasto
con i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità;
che questa Corte, attribuendosi il potere di sindacare l’uso
della discrezionalità legislativa in materia, avrebbe affermato che,
nel rispetto del principio di eguaglianza, la pena deve essere
proporzionata al disvalore del fatto commesso (sentenze n. 422 e 343
del 1993, 313 del 1990 e 409 del 1989);
che l’irragionevolezza delle disposizioni emergerebbe ancora dal
raffronto con l’ipotesi di reato, di cui all’art. 726 del codice
penale;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per
la non fondatezza;
che, secondo l’Avvocatura, con la sentenza n. 519 del 1995 la
Corte costituzionale ha distinto la fattispecie di cui al primo comma
dell’art. 670 del codice penale (mendicità non invasiva) da quella
di cui al secondo comma dello stesso articolo (mendicità invasiva) e
che tale distinzione sarebbe ancora più netta con riferimento
all’art. 671, in ragione dell’interesse costituzionale alla tutela
dei minori;
che inoltre mancherebbe, nel caso di specie, ogni possibilità di
giudizio “trilaterale”, per l’inadeguatezza del riferimento all’art.
726 del codice penale, dettato in materia di atti contrari alla
pubblica decenza e turpiloquio.
Considerato che la Corte costituzionale è chiamata a decidere se
l’art. 671, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in
cui prevede un minimo di pena di mesi tre di arresto, leda gli artt.
3 e 27, terzo comma, della Costituzione, perché in contrasto con il
criterio di ragionevolezza e proporzionalità della pena, non
apparendo congrua quella ivi stabilita, anche nel raffronto con
l’art. 726 del codice penale, ove si presenterebbe, ad avviso del
rimettente, la stessa (o analoga) “oggettività giuridica”;
che, già con la sentenza n. 519 del 1995, questa Corte ha
affermato, in riferimento alla sproporzione della sanzione penale
minima, per l’ipotesi di reato di cui all’art. 670, secondo comma,
del codice penale, di non poter accogliere la questione, per
l’evidente diversità delle condotte indicate quali tertia
comparationis;
che siffatta diversità emerge, allo stesso modo, comparando la
censurata ipotesi di mendicità, invasiva con il tertium indicato
nell’art. 726 del codice penale che è a salvaguardia di beni
giuridici distinti;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 671 del codice penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla
Corte d’appello di Trieste, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola