Ordinanza N. 412 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1997
Data deposito/pubblicazione
17/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale
MARINI;
243 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il
20 ottobre 1996 dal tribunale di Milano nel procedimento civile
vertente tra Filitto Lino e Brugali Guido, iscritta al n. 1324 del
registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
Ritenuto che, nel corso di un processo civile promosso per ottenere
l’adempimento di un’obbligazione di pagamento del corrispettivo
dovuto in dipendenza dell’esecuzione di lavori edili, il tribunale di
Milano, chiamato a decidere in ordine all’ammissibilità del
giuramento decisorio – deferito dall’attore, prestatore d’opera, nei
confronti della controparte – sulle circostanze a fondamento della
domanda, ha sollevato, con ordinanza del 20 ottobre 1996, questione
di legittimità costituzionale “degli artt. 233-243” del codice di
procedura civile per violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione;
che il tribunale rimettente ritiene che la situazione creatasi
con la sentenza di questa Corte n. 149 del 1995, in ordine alla
formula del giuramento del testimone in sede civile, e la
“conseguente” questione di costituzionalità, sollevata da altro
giudice, dell’art. 238 cod. proc. civ., contenente la formula che
deve essere pronunciata dalla parte che presta il giuramento
decisorio (questione poi decisa con sentenza n. 334 del 1996), fanno
sorgere dubbi sulla legittimità costituzionale dell’istituto del
giuramento decisorio, perché, una volta ricondotta a conformità con
la Costituzione la richiamata normativa, con la eliminazione di
qualsiasi riferimento religioso, si verificherebbe che, mentre nel
processo penale e nel processo civile il trattamento dei testimoni è
uniforme, in quanto gli uni e gli altri sono obbligati a “dire tutta
la verità”, al contrario la parte privata nel processo penale
(l’imputato) non lo è, diversamente dalla parte del processo civile
che invece lo è quando le sia stato deferito il giuramento
decisorio, con evidente disparità di trattamento;
che tale disparità, particolarmente incongrua a causa del
maggior interesse sociale connesso al perseguimento delle violazioni
di precetti penali, non sarebbe attenuata dalla facoltà della parte,
cui è deferito il giuramento decisorio, di riferirlo all’altra
parte, perché ciò significherebbe correre comunque un elevato
rischio di soccombenza;
che l’istituto del giuramento decisorio, collegato a concezioni
del processo di carattere religioso (ordalia o giudizio di Dio), una
volta depurato per effetto delle pronunce della Corte dei suoi
riflessi religiosi, perderebbe ogni significato storico che ne
giustifichi la permanenza e rappresenterebbe oggi soltanto un
irragionevole “turbamento della paritaria condizione processuale
delle parti”, apparendo ingiustificato che una di esse, dopo aver
esperito tutti i mezzi di difesa processuale e sentendosi
presumibilmente prossima alla soccombenza, possa invocare un giudizio
di tipo diverso, così imponendo all’altra un adempimento che
renderebbe “meno agevole il diritto di difesa”;
Considerato che il giudice a quo sottopone all’esame di questa
Corte la questione di legittimità costituzionale degli articoli da
233 a 243 del codice di procedura civile, e cioè di tutte le norme
rubricate sotto la voce “del giuramento”, disciplinanti sia il
giuramento decisorio (artt. 233-239) che il giuramento suppletorio
(artt. 240-243), due istituti processuali distinti, nonostante che
nel giudizio principale venisse in rilievo il solo giuramento
decisorio;
che, inoltre, la questione di costituzionalità è stata proposta
in assenza di motivazione sulla rilevanza, e cioè, nella specie, in
difetto di ogni valutazione sull’ammissibilità nel giudizio del
richiesto mezzo processuale in ordine alla sua decisorietà e alla
sua formulazione non generica né ambigua o perplessa;
che, viceversa, dall’ordinanza di rimessione risulta che il
contenuto del giuramento coinciderebbe con quello di una prova
testimoniale dichiarata inammissibile per genericità dal giudice
istruttore e, in sede di reclamo, dal collegio ora rimettente,
essendosi allora esclusa “la rilevanza della prova richiesta ai fini
dell’accertamento dei termini del rapporto in contestazione”;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli articoli da 233 a 243 del codice di
procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal tribunale di Milano con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola